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 2014  dicembre 02 Martedì calendario

Un viaggio nell’era primordiale del cosmo. Così il satellite Planck ci spiega com’era l’Universo neonato

Cinquant’anni fa due radioastronomi americani, Arno Penzias e Robert Wilson, erano alle prese con un misterioso segnale registrato al Bell Laboratory. Ben presto si resero conto che lo strumento aveva catturato nientemeno che la prima luce dell’Universo. Questo debolissimo segnale, che oggi chiamiamo «fondo cosmico di microonde», ha viaggiato per l’intera età dell’Universo (quasi 14 miliardi di anni) e ci regala un’istantanea di com’era nella prima infanzia.
Da allora i cosmologi non hanno smesso di investigare questo straordinario fossile luminoso, le cui caratteristiche racchiudono un tesoro di informazioni. Nel 1992 il satellite della Nasa «Cobe» misurò per la prima volta piccole «increspature» nell’intensità della luce primordiale, a testimonianza che quel giovanissimo Universo già conteneva regioni di maggiore o minore densità, veri e propri «semi gravitazionali», dai quali avrebbero preso forma le galassie, le stelle e tutte le strutture che osserviamo oggi.
Sulla spinta di quella epocale scoperta, 22 anni fa, due gruppi in Italia e in Francia proposero indipendentemente all’Agenzia Spaziale Europea un progetto per spingere a grande precisione le misure di «Cobe». Nasceva così il satellite «Planck», lanciato nel 2009, il quale ha prodotto un’immagine ad alta definizione delle increspature primordiali, rilasciata lo scorso anno, di gran lunga superiore a quelle ottenute in precedenza.
Ieri è iniziato un nuovo passo in questa straordinaria storia. A Ferrara, 200 scienziati di tutto il mondo hanno aperto una conferenza, che continuerà per tutta la settimana, nella quale si presentano gli ultimi risultati della missione e, stavolta, analizzando i dati secondo un diverso punto di vista.
La luce – si sa – è un fenomeno ondulatorio. E come un’onda che si propaga su una fune agitata in su e in giù, così ogni raggio di luce «vibra» e si propaga in un piano, chiamato «piano di polarizzazione». «Planck» ha misurato con precisione senza precedenti il piano prevalente di vibrazione della luce primordiale nelle diverse direzioni del cielo. Si tratta di una proprietà finissima, con un segnale equivalente a pochi milionesimi di grado Kelvin, ma di estremo interesse. La statistica della polarizzazione, infatti, contiene una ricchezza di informazione sull’Universo primordiale almeno pari a quella della misure delle increspature di intensità.
Cosa ci dicono i nuovi risultati di «Planck»? Confermano in modo spettacolare il modello cosmologico standard, il quale con soli sei parametri descrive le proprietà globali dell’Universo. Combinando le misure di polarizzazione con quelle di intensità, «Planck» ha migliorato la conoscenza dei parametri che governano l’espansione, la composizione e la curvatura dell’Universo, arrivando alla precisione dell’1%. Paradossalmente, oggi conosciamo meglio l’Universo neonato di quanto conosciamo l’interno della Terra.
La polarizzazione, inoltre, è sensibile alla presenza di forme esotiche di materia ed energia nell’Universo. La materia oscura, in particolare, che costituisce il 26% delle galassie, è uno dei principali misteri della fisica: ora «Planck» dimostra che le misure di polarizzazione possono darci informazioni cruciali sulle sue proprietà. I nuovi risultati, inoltre, impongono nuovi limiti sulla massa dei neutrini e dimostrano che il numero di specie di queste particelle sfuggenti è tre, come previsto.
Ma non è finita qui. Entro il 2015 la «Collaborazione Planck» (sostenuta da una formidabile componente italiana attraverso l’Asi, l’Inaf e le università di Milano, Padova, Ferrara, Trieste, Sissa e La Sapienza) produrrà l’analisi finale dei dati della missione. E le sorprese dal cosmo sono sempre in agguato, come ben sanno Penzias e Wilson.