Affari & Finanza, 1 dicembre 2014
Matteo Del Fante, il nuovo capo della Terna, vuole comprare la rete elettrica di Fs. Ritratto del perfetto manager pubblico dell’era renziana
Potrebbe essere l’identikit del perfetto manager pubblico dell’era renziana. È nato a Firenze, città cui è ancora molto legato e non solo per la fede calcistica viola, nonostante da anni si sia trasferito con la famiglia a Roma. È ancora relativamente giovane, tanto da poter rappresentare un volto nuovo nel panorama dei dirigenti delle grandi società dello Stato. Per non dire che porta lo stesso nome di battesimo del Grande Capo e, ovviamente, parla con la stessa inflessione toscana; solo meno marcata per l’aver abitato e lavorato a Londra e Milano, dove l’accento si è inevitabilmente affievolito.
In realtà, il comune denominatore tra Matteo Del Fante, classe 1967, e il più giovane presidente del Consiglio che nell’aprile scorso lo ha scelto per succedere al lombardo Flavio Cattaneo alla guida di Terna, la società che garantisce la distribuzione dell’elettricità in tutta Italia, è lo spirito del “rottamatore”. Renzi ha l’ambizione di cambiare un intero paese; Del Fante si è limitato a rivoltare una delle istituzione storiche del nostro paese. Una banca che pur senza essere una vera banca ha finanziato, per oltre un secolo, le opere pubbliche di Comuni e Province, contribuendo a traghettare l’Italia dal Risorgimento al boom economico. E ora prova a trascinarla anche nella nuova era digitale.
È stato Del Fante, prima come consulente esterno di una grande banca americana e poi come direttore dell’area Finanza a trasformare Cassa Depositi Prestiti da una istituzione ottocentesca a quello che viene ormai definito il “fondo sovrano” italiano, capace di confrontarsi alla pari con i fondi dei paesi emergenti, dal Medio Oriente alla Cina. In pratica, l’unica riserva indiana dei disastrati conti pubblici italiani, con una dotazione di 250 miliardi di euro raccolti attraverso il risparmio postale, che costituiscono un polmone d’acciaio con cui far respirare il sistema economico delle imprese, dalle Pmi da pochi milioni di fatturato a grandi aziende come Ansaldo Energia.
«Quando ho cominciato a lavorare per Cassa Depositi – racconta – tutti i fondi venivano gestiti ancora attraverso un unico conto corrente. E si prestavano soldi agli enti locali a un tasso che veniva definito una volta all’anno con una legge». Sembrano racconti di un altro mondo, invece erano solo i primi anni Duemila. Ma come è approdato a Cdp? Dopo gli studi alla Bocconi e una specializzazione alla New York University, Del Fante brucia le tappe a Jp Morgan, dove entra nel 1991. Nel 1999 è già managing director con la responsabilità di tutti i clienti pubblici dell’area Emea. In realtà, lavora con uno solo: «Per il 90 per cento il mio tempo e quello della mia struttura era dedicato all’Italia. E di fronte alle obiezioni dei miei superiori era facile dimostrare i risultati che si potevano ottenere». La svolta professionale arriva con la scelta compiuta nel 2004, quando accetta la proposta dell’allora presidente Antonio Turicchi con cui aveva lavorato gomito a gomito per ristrutturare Cdp e ne diventa uno dei manager di primo piano, giusto pochi mesi dopo la privatizzazione.
Una scelta che – negli ultimi anni – anche altri hanno compiuto, come l’attuale amministratore delegato di Cassa, Giovanni Gorno Tempini, banchiere anche lui a Jp Morgan e poi a Banca Intesa. Ma nessuno, a quel livello, l’ha fatto a carriera appena avviata e così giovane, appena 37enne. Se gli si chiede perché, parla di una scelta da civil servant nella tanto bistrattata pubblica amministrazione italiana, si limita a rispondere: «Mi è sembrato giusto impegnarmi in quella direzione». E per portare un po’ di «sana meritocrazia», dove si è ragionato sempre con altre logiche, a cominciare da quelle di appartenenza di partito o di parrocchia. In dieci anni ha lavorato sottotraccia, senza cercare visibilità, tranne partecipare a qualche convegno. Prima ha creato la società per la gestione immobiliare per poi diventare nel 2010 direttore generale di Cdp. Una discrezione e un riserbo da banchiere, come dimostra il fatto che da aprile ad oggi mai ha rilasciato interviste come nuovo ad di Terna.
Di lui si sa quello che raccontano gli addetti ai lavori. Aperto e di carattere, ma molto riservato. Buon giocatore di tennis, facilitato da un fisico da atleta. Anche se in azienda dovrà fare i conti con il nuovo direttore finanziario di Terna, Pier Paolo Cristofori, oro a squadre alle olimpiadi di Los Angeles ‘84 nel Pentathlon moderno. Del Fante viene anche descritto come un abile negoziatore, capace di scontrarsi con un consulente per un suo atteggiamento eccessivamente indisponente salvo poi sceglierlo perché ha comunque presentato il progetto migliore. Per coerenza con il suo credo nella meritocrazia.
Tutto ciò gli servirà non poco ora che è alla guida di una delle principali società di Piazza Affari. Dove dovrà dimostrare non solo di saper mantenere il livello di dividendi e di soddisfazioni al mercato del suo predecessore, ma soprattutto di saper guidare l’azienda verso il mercato unico dell’energia europeo, una delle grandi scommesse con cui la Ue dovrà dimostrare di fare sul serio. Terna ha le potenzialità e i numeri per essere uno dei 4-5 protagonisti di questa rivoluzione che entro il 2030 (e in via definitiva entro il 2050, secondo i piani di Bruxelles), permetterà di portare l’energia eolica del Portogallo fino in Polonia e viceversa, secondo le necessità, cercando di far pagare meno possibile le bollette.
La strategia di Del Fante non passa, obbligatoriamente, attraverso acquisizioni nel resto del Continente: «Lo faremo solo se si presenteranno occasioni favorevoli». A suo dire, il mercato unico nascerà grazie alle interconnessioni tra paesi, oltre alla creazione di regole comuni e di un’unica Authority. Le 29 interconnessioni tra Italia e i paesi limitrofi sono ancora poche: andranno incrementate, in particolare verso i Balcani e la Tunisia. Perché un domani l’Europa possa portare e vendere energia nel resto del Mediterraneo.
Il mercato potrà valutare le sue doti di negoziatore nelle due partite in cui si è trovato subito coinvolto. La prima è la gara per il 66% della rete elettrica greca, dove si trova a competere con un fondo belga e il colosso State Grid of China: si tratta della più grande utility del mondo con i suoi due milioni di dipendenti e che giusto la settimana scorsa ha concluso in via definitiva l’ingresso nel capitale di Cdp Reti, la holding che controlla il pacchetto di maggioranza di Terna, oltre che di Snam. Ma non ci saranno offerte in comune, essendo entrambi partner “industriali”. Del Fante sta ultimando, invece, la ricerca di una partner finanziario, perché i greci – bisognosi di abbattere il debito pubblico – valuteranno soprattutto l’offerta economica.
Il secondo dossier è l’acquisizione di 9mila chilometri di rete elettrica delle Ferrovie dello Stato. In questo caso, Del Fante non dovrà tanto saper trattare sulla valutazione fatta circolare da Fs (attorno al miliardo di euro): perché il prezzo verrà di fatto individuato dall’Autorità dell’energia in base a quanto valuterà gli asset riconosciuti ai fini regolatori. Il lavoro più difficile sarà creare sinergie ed efficienze con la rete delle Fs, che corre parallela per molti tratti a quella di Terna. E rispondere, così, alle critiche di chi già sostiene che gli italiani, dopo aver pagato la rete di trasmissione ferroviaria con le tasse, ora ne pagheranno la ristrutturazione con le bollette, attraverso la quota riconosciuta a Terna per la remunerazione degli investimenti. Qui sopra, l’amministratore delegato di Terna, Matteo Del Fante in un disegno di Radpour Dariush.