Affari&Finanza, 1 dicembre 2014
L’Italia parte all’assalto dei fondi del piano Juncker. Dalla stazione ferroviaria dell’aeroporto di Venezia (spesa prevista 114,2 milioni) al potenziamento del porto commerciale di Augusta in Sicilia (52 milioni). E poi la bretella di Campogalliano-Sassuolo (520 milioni) e l’alta velocità Genova-Tortona (6,1 miliardi)
Dalla stazione ferroviaria dell’aeroporto di Venezia (spesa prevista 114,2 milioni) al potenziamento del porto commerciale di Augusta in Sicilia (52 milioni), dalla bretella di collegamento Campogalliano-Sassuolo che unirà il distretto della ceramica all’A1 (520 milioni) fino alla linea ad alta velocità Genova-Tortona (6,1 miliardi). E così via con strade, autostrade, porti, aeroporti, ferrovie, perfino piscine comunali e centri congressi. Ha più di 200 voci l’elenco consegnato dal governo alla task-force di Bruxelles Developing investment project pipelineincaricata di raccogliere le opere di tutti i Paesi dell’Ue che si candidano ai finanziamenti del piano Juncker. Il capitolo Italia è stato inserito dai funzionari comunitari nel maxifaldone europeo (1700 opere ognuna con illustrazione del lavoro, stato di avanzamento e finanziamenti previsti), e messo sul tavolo della presidenza. È il più corposo in assoluto. Il totale dei finanziamenti previsti assomma a circa 1.400 miliardi. In questo mare magnum, non si sa ancora con quali criteri, la presidenza sceglierà le poche fortunate infrastrutture che avranno accesso ai sospiratissimi finanziamenti europei. «A questo punto osserva l’economista Rainer Masera – si aprirà una sottile questione interpretativa: non è chiaro ancora se il famoso “sgravio” dal computo deficit/pil varrà al momento di conferire le quote nazionali al nuovo fondo appositamente costituito, oppure quando partiranno i lavori veri e propri».
Nel mega-file depositato presso la Commissione c’è di tutto, grandi, piccole e piccolissime opere. Se l’Anas chiede la bella somma di 2,9 miliardi per completare la Salerno-Reggio Calabria “chiudendo” gli ultimi 59 chilometri (“in diversi segmenti”, è specificato), il consorzio dei comuni Menaggio-Centro lago di Como si accontenta di 700mila euro per migliorare le strutture di connessione in banda larga (la più risparmiosa è in questa categoria la Croagh Patrick Community di West Mayo, Irlanda, che chiede 200mila euro). La Regione Friuli-Venezia Giulia ha la stessa intenzione ma ha bisogno di 18 milioni. Né manca di saltare sul carro dei fondi Ue la Infratel, società inhouse del ministero dello Sviluppo costituita per attuare il Piano nazionale banda ultralarga per ridurre il digital divide, che chiede 64 milioni di finanziamento. Il Programma obiettivo competitività regionale e occupazione del Veneto chiede invece 40 milioni sempre per l’accesso al web veloce, che è al centro degli obiettivi di un’altra ventina di enti pubblici come la Regione Emilia-Romagna che ha bisogno di 20 milioni (sono 159 in tutta Europa), ma anche di gruppi pubblico-privati come l’associazione Giga Ciro, costituita da un gruppo di docenti italiani di geofisica e idrogeologia: ha fatto inserire nel bando un suo progetto di banda larga senza peraltro precisarne né i contorni né il costo.
Scorrendo l’infinita congerie dei progetti italiani non mancano i punti su cui interrogarsi. L’autostrada Catania-Ragusa è inserita per 815 milioni: ma in realtà il progetto è già in fase di avvio dei cantieri, è stato quasi interamente finanziato e prevede per la metà fondi privati. L’upgrade della A4 Trieste-Venezia, in particolare un ponte sul Tagliamento e il casello di Palmanova, viene indicato due volte, al capitolo 1080 e 1082 per 440,7 milioni, e sempre due volte (1081 e 1083) viene citata la terza corsia fra S. Donà di Piave e Alvisopoli per ben 560 milioni. Due volte (voci 1092 e 1123) è presente anche il “people mover” fra la stazione e l’aeroporto di Bologna da 107 milioni. Sembra quasi un copia-incolla venuto male di vecchi documenti del Cipe: a parte le imperfezioni pratiche, si vanno a ripescare a fianco di alcuni progetti che sarebbero in effetti plausibili, come il collegamento ferroviario fra i terminal 1 e 2 di Malpensa (114 milioni) o gli ampliamenti dei porti di Genova (150 milioni) e di Civitavecchia, progetti di infrastrutture a lungo discussi e probabilmente non indispensabili. Nella fretta è stato inserito, per esempio, un impianto di energia solare a Maraza in Emilia, da realizzare in joint-venture con gli spagnoli di Abengoa: i proponenti hanno avuto all’ultimo momento il buon senso di precisare che il finanziamento di 260 milioni va verificato a causa delle modifiche nella legislazione italiana sulle rinnovabili. C’è da immaginare quali possibilità abbia un’opera del genere di passare il vaglio dei puntigliosi funzionari comunitari.
Altrove c’è un inspiegabile sfasamento dei tempi e dei modi: si chiede un contributo all’ampliamento dell’interporto regionale di Puglia, a ridosso della zona industriale di Bari, con la realizzazione di una serie di piattaforme logistiche: ma sul totale dichiarato del progetto di 150 milioni, 60 erano già presenti nella vecchia programmazione e 90 nella prossima stando ai dati della Regione Puglia secondo cui di questi ultimi 60 provengono dal finanziamento pubblico (già stanziati) e 40 da partner privati.
Una delle cose non chiare del piano-Juncker è se nei famosi (e miserrimi) 16 miliardi garantiti da “risorse comunitarie” entrerà parte dei fondi regionali di sviluppo. Sarebbe utile chiarirlo, per fare un esempio, pensando al raddoppio ferroviario della Bari-S.Andrea Bitetto: già presente nei finanziamenti del fondo Pon, riappare ora per 120 milioni di euro. Diventa altrettanto confusa la situazione della tratta La Malfa-Carini del nodo ferroviario di Palermo (129 milioni) e di quella Fiumetorto-Ogliastrillo della Palermo-Messina (333 milioni), già finanziati con fondi Por. C’è poi, a minare la credibilità del contributo italiano al documento preparatorio, una serie di sovrapposizioni con lo Sblocca- Italia: la Autostrade del Lazio Spa chiede 2,7 miliardi per la lungamente attesa autostrada Roma-Latina (68,3 chilometri), appena inserita nel suddetto decreto ma già finita in un limbo di incertezza per motivi ambientali, di espropri e non ultimo di fondi: ora ci riprovano con il piano Juncker. Sempre nello Sblocca-Italia è inserito l’intervento sulla cosiddetta “Telesina”, la statale 372 che collega Benevento con Caianello e quindi con l’A1. L’Anas chiede ora alla Ue 588 milioni per portarla a 4 corsie, ed è l’ennesimo tentativo: i lavori erano stati inseriti nel “Piano per il Sud” del Cipe nel 2011 (per 90 milioni) poi annullato, quindi riproposto con il “Decreto del fare” del 2013, infine inserito nel decreto Renzi del giugno scorso. Il primo cantiere dovrebbe aprire il 31 agosto 2015, ma ora perché riaprire la questione con il piano Juncker, rialzando per di più così tanto la posta?
Altre volte ancora l’impressione è che si voglia riproporre per intero maxi-commesse pubbliche già ridimensionate dalle autorità di controllo nazionali ed europee, oppure semplicemente troppo ambiziosi. Il porto di Venezia ripropone l’hub offshore per grandi navi completo di oil e container terminal, che in effetti eviterebbe il passaggio delle navi in laguna ma costa la bellezza di 948 milioni di euro. Il progetto “Porta di Salerno” della Regione Campania, con soggetto attuatore l’Autorità portuale, viene riproposto per 146 milioni. Si tratta di una serie di collegamenti ferroviari e stradali da e per il porto che però era già stato ridimensionato da una serie di modifiche a 25 milioni, il 17% di quanto previsto. Sempre in Campania, riemerge il raccordo Salerno-Avelpresentati, lino – investimento programmato 246 milioni – già varato dal Cipe nel 2011: la regione non era riuscita a rispettare i termini, l’ha allora riprogrammato nel febbraio 2014 incappando però in difficoltà finanziarie che ora cerca di superare.
Il problema vero, ricorda Paolo Guerrieri, economista della Sapienza di Roma, è che «i soldi sono tremendamente pochi. Sarebbero pochi, rispetto alla mole dei lavori anche se davvero si arrivasse a 300 miliardi come promesso da Juncker. Ma sono pochissimi se si guarda alla realtà dei fatti, che parla appena di una ventina di miliardi, una frazione di quelli richiesti, e appoggia le sue speranze su una non meglio precisata “leva” con il settore privato». La debolezza del meccanismo della “leva” è confermata anche da Brunello Rosa, capo macro-economista del Roubini Global Economics: «Un meccanismo del genere funzionerebbe in tempi di espansione economica. Ma in un momento di recessione è difficile trovare soci privati che si impegnino in programmi di investimento così ambiziosi: le abbiamo viste tutti le immagini della partita di pallone giocata nelle corsie vuote della BreBeMi». E poi, riprende Rainer Masera, «basare sul leverage un piano di tale importanza in un momento in cui viceversa l’uscita dalla crisi si basa in tutto il mondo sul deleverage pubblico e privato, mi sembra quantomeno anacronistico».