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 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

Il Front National di Marine Le Pen si dà un ripulita: via croci celtiche e immagini di Giovanna d’Arco. Ora si punta all’Eliseo. Al congresso di Lione si omaggia addirittura De Gaulle, che per i reduci d’Algeria come Jean Marie era solo «un traditore»

Manca Giovanna d’Arco. Sparita dai gadget, ignorata sui poster, mai citata nei discorsi. E dire che il Front National la venerava: ogni Primo maggio i big del partito contro festeggiano deponendo una corona di fiori davanti alla sua statua parigina. Marine Le Pen le si era sempre ispirata: entrambe donne, bionde, guerriere e incaricate da Dio di salvare la Francia, una dagli inglesi, l’altra da tutta l’Europa.
I simboli, si sa, sono politica. La loro assenza, ancora di più. Questo congresso del Fn, chiuso ieri da madame Le Pen, segna il passaggio da un partito solo di lotta a un partito forse di governo. «Per la prima volta, è concreta l’ipotesi di arrivare al potere», dice Steeve Briois, il segretario generale. E la presidentessa Marine proclama dalla tribuna: «Non c’è alcun dubbio per nessuno che sarò al secondo turno delle Presidenziali del 2017».
Il Fn non diventa più moderato nella sostanza, perché basterebbe mettere in atto appena metà di quel che propone per sfasciare non solo la Francia, ma anche l’Europa. Ma nella forma, sì. È entrato nel gioco, governa qualche città, è sdoganato dai media, non è più impresentabile, si è «dédiabolisé», de-diabolizzato. Il diavolo veste in giacca e cravatta. E adesso fa politica, passa dalla protesta alla proposta.
Infatti non è stata carbonizzata un’altra volta solo la povera Pulzella. Nei banchetti (pochi) non c’è più traccia della destra più tosta. In libreria tutto tace sull’Action française, su Vichy, sulla guerra d’Algeria. Non pervenuti nemmeno i lefevriani, cioè l’ultima espressione di una tradizione di destra cattolica e reazionaria che in Francia è antica e culturalmente «nobile». Il gadget più smerciato, bottiglie di Beaujolais nouveau a parte, è l’orsetto con maglietta del Fn, dieci euro spesi male (è orripilante, e non per ragioni ideologiche). Un orsetto nella tana del lupo nero: decisamente, non è più lo stesso Front. Tanto che si parla perfino di cambiargli nome, però dopo molte riflessioni Le Pen ha deciso che se ne discuterà, forse, l’anno prossimo.
Sono cambiati anche i militanti. Certo, si incontrano ancora i frontisti della Francia profonda, «paysans» con i baffoni da Astérix in arrivo dalle campagne, indignatissimi per l’abolizione del servizio militare o della pena di morte. Ma sono sparite le teste rasate in bomber nero e croce celtica. E nel mostruoso Centro dei congressi di Lione si aggirano soprattutto molti ragazzi incravattati, magari con buoni studi alle spalle. Florian Philippot, vicepresidente «incaricato della strategia e della comunicazione», cioè l’uomo più importante del partito dopo la donna che lo incarna, è un «énarque», insomma è uscito dalla mitica Ena, la superscuola della classe dirigente francese che, di destra o di sinistra, finora aveva sempre considerato quelli del Front degli alieni. Ha fatto scalpore che, gollista da sempre, Philippot sia andato a portare una corona di fiori sulla tomba del Général. I superstiti dell’Oas e i nostalgici dell’Algeria francese (per esempio, Jean-Marie Le Pen) si sono indignati. Tutti gli altri hanno trovato il gesto non solo giusto, ma naturale.
Un opuscoletto distribuito alla stampa vanta le «promesse mantenute» degli amministratori locali frontisti (perfido il sottotitolo: «Quello che i media non vi diranno»). Il messaggio è chiaro: siamo capaci anche di amministrare, non solo di sbraitare contro chi l’ha fatto finora.
Briois è il simbolo di questa nouvelle vague pragmatico-amministrativa. Sette mesi fa, è stato eletto al primo turno sindaco di Hénin-Beaumont, cittadina nel profondo Nord devastato e deindustrializzato. «Ma il modello è Béziers», dice. È la città del profondo Sud, non meno malmessa, dove il Front non ha presentato il suo candidato ma ha fatto vincere Robert Ménard, giornalista ex di sinistra e fondatore di un’associazione politicamente correttissima come Reporters sans frontières. Spiega Briois: «Dobbiamo allargare il partito, aprirci agli esterni, “rassembler”, unire». La strategia è chiara. I quarantenni con buoni titoli di studio e cravatte tremende che discutono nei corridoi non potrebbero essere più d’accordo.