1 dicembre 2014
È stato prima violentato e poi ucciso Andrea Loris Stival, il bimbo di 8 anni ritrovato senza vita nel ragusano. A dirlo sono i risultati dell’autopsia: graffi e lividi sul corpo, ferite al volto. Il padre urla: «Perché prendersela con mio figlio? Questa volta l’ammazzo con le mie mani». Lo strazio della madre: «Era timido, non sarebbe andato con uno sconosciuto»
La Stampa
Cominciano a vederci più chiaro, gli investigatori alle prese con il mistero della morte del piccolo Andrea Loris Stival. E quel che vedono, li inorridisce. I risultati dell’autopsia sono sconvolgenti. Il piccolo Andrea Loris è stato violentato e ucciso. Una morte violenta dovuta a un colpo terribile al cranio. E quindi la procura della Repubblica ha avviato un’indagine per omicidio volontario. Al momento l’indagine è contro ignoti, ma ciò non significa che chi indaga brancoli nel buio.
Nessuna telecamera
Il procuratore capo Carmelo Petralia e il sostituto Marco Rota stanno lavorando a tempo pieno. Sanno che il tempo è cruciale. Misurano le notizie. Sperano anche nel colpo di fortuna: qualche telecamera tra le oltre trenta del paese, a visionarle con pazienza, può regalare un’immagine importante. Si cerca il bimbo in un’auto. Loris infatti è morto per mano di qualcuno che conosceva bene. Così bene da fidarsi di lui, marinare la scuola, e andare via assieme. Su questo aspetto in famiglia sono categorici: Andrea Loris era un bambino introverso, non si sarebbe mai allontanato con uno sconosciuto. Ma finora le telecamere sono state avare. Il bimbo non si vede mai.
Caccia allo zainetto
L’ipotesi dell’incidente è stata scartata fin da subito per una serie di motivi. Il principale: è scomparso lo zainetto che il bambino aveva sulle spalle quando la madre l’ha accompagnato a scuola e l’ha salutato come accadeva ogni mattina. Dov’è ora lo zainetto con dentro i quaderni, le penne, le due merendine che la mamma aveva amorevolmente infilato tra i libri? Nel canalone dove è stato trovato il corpo di quel cucciolo d’uomo, lo zainetto non c’è. La magistratura ha dato ordine a polizia e carabinieri di fare il possibile e anche l’impossibile per trovarlo. Lo zainetto può diventare la chiave per risolvere il mistero. Si potrebbe trovare un’impronta che non dovrebbe esserci, una traccia genetica, un segno lasciato dall’assassino. È divenuto così importante, lo zainetto, che i rifiuti di Santa Croce Camerina per qualche giorno non verranno portati in discarica. Prima i cassonetti dovranno essere vagliati.
È un mistero atroce, in verità, la scomparsa di un bimbo che avrebbe dovuto fare appena pochi passi, dalla portiera di un’auto al cancello della scuola, e che invece non varca il portone e se ne va da tutt’altra parte. Dove? Con chi? Perché? Nel frattempo si procede alla vecchia maniera, bussando porta a porta, interrogando commercianti, contadini, passanti. Ci sono molti che pensavano di aver visto qualcosa, ma quando poi si entra nel dettaglio di quella certa felpa o quel certo colore di pantaloni, le certezze di colpo vacillano.
Sequestrata un’auto
Gli investigatori hanno voluto riascoltare anche il cacciatore che ha scoperto il cadavere di Andrea Loris. Avvolgono e riavvolgono il film del suo racconto. C’è qualcosa che non li convince. A qualcuno pare che sia stato troppo fortunato, quel ritrovamento in un canneto come mille altri, quando si era all’imbrunire, in un luogo pochissimo frequentato. Sia chiaro: il signor Orazio Fidone è un testimone e non un indagato. In serata, uscendo dalla questura, affermerà: «Sono sereno».
Qualcuno ce l’ha portato
Proprio lì dove è stato trovato il corpo, un anziano di 87 anni, Peppino Caggia, un ex carabiniere, proprietario del vecchio mulino che dà il nome alla zona, è solito passare le sue mattinate a zappare l’orto. Da due giorni non si dà pace: era stato in campagna anche sabato mattina, tra le 8 e le 11, quando Andrea Loris era già scomparso, ma non ha visto né sentito nulla. Se Andrea Loris è arrivato fino a quel canalone di cemento, di sicuro non ci è arrivato da solo. Sono quasi tre chilometri dalla scuola. E poi la strada è pericolosa, è una provinciale dove le auto corrono. E nessuno l’ha visto.
In conclusione, qualcuno ce l’ha portato, molto probabilmente in auto, e l’ha buttato giù. Loris probabilmente era già morto. Il referto dei medici legali parla di graffi sul corpo e dice che il cranio è gravemente danneggiato. Alla base del canalone ci sono tracce di sangue, ma non abbastanza copiose. Tutto lascia pensare che Loris sia stato ucciso altrove e che l’omicida si sia disfatto del cadavere al mulino vecchio. D’altra parte, l’autopsia ha chiarito che il bambino è morto quasi subito dopo essere scomparso. Chi ha provveduto a disfarsi del corpo probabilmente sapeva che il carabiniere in pensione a una certa ora rientra in paese. Tanti piccoli tasselli per comporre un puzzle: questo è il lavoro degli investigatori.
Corriere della Sera
Non è guardando quel canneto che Loris ha chiuso gli occhi per sempre e non è in quell’angolo accanto al vecchio mulino che la sua voce si è spenta. Lì sotto, fra il terriccio, le canne e il canale senz’acqua, quel bambino così magro che sembrava un fuscello ci è arrivato ormai morto oppure privo di sensi.
Gli inquirenti sono ormai convinti che sia stato ucciso altrove e poi abbandonato nel punto in cui il cacciatore Orazio Fidone lo ha trovato sabato pomeriggio. E dopo le prime dodici ore la possibilità della morte accidentale è scomparsa dalle ipotesi dell’inchiesta. Per la Procura di Ragusa è sicuramente omicidio, per più di un motivo.
La ragione fondamentale viene dall’esito dell’autopsia: il bambino aveva ferite alla testa «compatibili» con la «caduta» da un’altezza «fra i tre e i cinque metri» e di sicuro il luogo di uno scenario simile non può essere quello del ritrovamento dove, fra il livello della strada e il punto del canale dove si trovava il corpo, c’è un’altezza di circa un metro e mezzo: troppo poco per le fratture al cranio descritte dal medico legale.
Chi ha nascosto Loris fra quelle canne puntava probabilmente a ritardare il più possibile la sua scoperta oppure si è semplicemente disfatto del cadavere appena si è imbattuto in un luogo abbastanza isolato per ritenere di non essere visto. Isolato, sì, ma comunque non deserto. Perché proprio sabato nel vecchio mulino accanto (pochi metri dal punto in cui Loris è stato trovato) verso le nove del mattino è arrivato il proprietario (un maresciallo dei carabinieri in pensione che si chiama Giuseppe Caggia) che giura di essere rimasto lì tutta la giornata, salvo una pausa fra le 11.30 e le 15.30. «Non ho sentito niente e nessuno. Né una voce che chiedeva aiuto né un grido né una macchina che sgommava. Niente».
Ucciso altrove e portato a Punta Braccetto, magari proprio nelle ore in cui il maresciallo è tornato a casa per pranzo. E chi «gli ha voluto così tanto male», come dice sua madre Veronica, ha fatto sparire il suo zainetto per provare a salvarsi. Era a forma di ovetto, blu con righe gialle, pieno di libri, quaderni e cancelleria. Loris ce l’ha sulla schiena quando le telecamere di un negozio inquadrano lui, la sua mamma e il fratellino più piccolo mentre salgono in macchina fra le 8.10 e le 8.15. L’auto si avvia in direzione della scuola. Veronica racconterà poi di aver lasciato il bimbo non proprio davanti al portone ma a un incrocio vicino, a 50-70 metri dall’ingresso. E una vigilessa conferma: ha visto il piccolo a piedi vicino alla scuola, poco prima delle 8.30.
C’è un’altra testimone il cui racconto è arrivato (in modo non diretto) al nonno del bambino: direbbe che Loris alle 9.10 era a 500-600 metri dalla scuola, senza lo zainetto in spalla. Ma di tutto questo non c’è nessun verbale né si è potuto capire se la teste è certa dell’identità del piccolo perché non è stata ancora rintracciata.
Gli orari e i passaggi obbligati per allontanarsi dalla zona della scuola. È da sabato pomeriggio che gli inquirenti stanno guardando ad uno ad uno i tanti video raccolti dalle telecamere di Santa Croce Camerina. Si è cominciato ovviamente da quelle più vicine alla scuola ma per ora niente: non c’è traccia del passaggio del bambino dopo l’orario in cui sua madre lo ha lasciato. Dettaglio che ha messo in campo la possibilità che Loris non si sia allontanato a piedi.
Qualcuno potrebbe averlo aspettato, magari d’accordo con lui, oppure potrebbe averlo caricato a forza su un’auto o un furgone. Anche perché i cani della protezione civile che avrebbero dovuto rintracciare il suo passaggio vicino alla scuola durante le ricerche non hanno individuato tracce in direzione del luogo in cui poi è stato ritrovato.
Dopo le prime 24 ore di indagini la più grande incognita di questa storia resta il movente.
La possibile pista della violenza sessuale non soltanto non è esclusa ma sembra trovare qualche elemento di conferma anche nell’esito dell’autopsia, tanto da far dire a un investigatore che «potrebbe esserci stata una violenza sessuale». Ed è sempre l’autopsia a svelare che Loris aveva ematomi sul volto e graffi, forse segno del suo tentativo di difendersi oppure lasciati dalla caduta fra la strada e il canneto dove il cacciatore lo ha trovato. «Mi sono diretto da solo, d’istinto, verso la zona del vecchio mulino» ha ripetuto Orazio Fidone ai carabinieri e alla polizia della prima ora ma anche ieri sera, quando è stato sentito di nuovo come testimone.
Lui era ancora in questura quando Veronica è uscita di casa per andare in obitorio con il medico legale e il capo della Squadra mobile, Nino Ciavola. Per tutto il giorno aveva ripetuto «voglio vederlo, fatemi vedere il mio bambino». Centinaia di volte sempre e solo quello: fatemelo vedere. Alle dieci di sera è arrivato il momento. Il peggiore di tutta la sua vita.
La Stampa
«Perché prendersela con mio figlio? Questa volta lo ammazzo con le mie mani». Queste parole, captate da alcune persone presenti, le avrebbe pronunciate Davide Stival, il padre di Andrea Loris, entrando in questura a Ragusa. Una frase che arriva al termine di una giornata terribile, iniziata con il riconoscimento del corpo del bimbo di 8 anni e continuata con gli sconvolgenti risultati dell’autopsia. Una frase che sembra avere un’unica interpretazione: il padre di Andrea Loris ha dei sospetti su chi potrebbe essere stato. Anzi, qualcosa di più di un sospetto.
Solo poche ore prima, intorno alle quattro del pomeriggio, mamma Veronica, 25 anni, e papà Davide, 29, erano stati al Mulino Vecchio a vedere dove era stato ritrovato il loro bambino. Muti, stretti uno all’altra, avevano sostato solo pochi minuti. Poi in fretta li avevano portati via da lì. La madre senza più lacrime da piangere.
La notte l’aveva passata in bianco. Solo dopo la mezzanotte, quando il marito era rientrato dal Nord dove stava facendo una consegna con il suo camion. A lei, a suo marito tornato precipitosamente dal Nord dove era con il suo camion per una consegna, i due erano andati alla morgue dell’ospedale Paternò Arezzo di Ragusa per vedere il corpo del loro bambino ancora chiuso nel sacco verde nel quale era stato deposto poco prima, dopo essere stato prelevato dal canalone di Mulino Vecchio. Lì mamma Veronica aveva urlato tutta la sua disperazione: «Che cosa ti hanno fatto, Loris? Che cosa gli hanno fatto al mio bambino!». E poi, più tardi, quando incontrando il sindaco e il governatore Crocetta, li aveva implorati: «Aiutatemi, fatemi vedere il mio bambino per l’ultima volta».
Papà Davide, a cui Andrea Loris era molto legato, non l’ha lasciata sola un minuto. Poi però, in mattinata, ha dovuto fare un sopralluogo con i poliziotti e, uscendo dalla casa, è riuscito solo a sospirare un: «Ormai non c’è più nulla da dire».
Una famiglia come tante altre, quella degli Stival, che abita qui, in questo pezzo di Sicilia. Il bisnonno paterno era originario del Veneto ma si erano tutti trasferiti in Libia fino a quando, all’inizio degli Anni 70, Gheddafi cacciò via gli italiani. Per il ritorno in patria, la scelta cadde sul Ragusano.
Il figlio primogenito di Davide e Veronica Stival (hanno anche un bambino di 4 anni) ha per primo nome Andrea, come il nonno, ma tutti in famiglia e a scuola lo chiamavano Loris. «Un bambino come tanti nella nostra scuola - dice la dirigente dell’istituto comprensivo Psaumide di Camarina, Giovanna Campo, la scuola dove Loris frequentava la terza - un ragazzo sveglio, vivace, intelligente, sereno con gli insegnanti e con i compagni». Le stesse parole che dice la sua maestra, Teresa Iacono, ancora sotto choc: «Era un bambino splendido, vivace, socievolissimo, andava d’accordo con tutti». Sabato la maestra Teresa non era a scuola, era il suo giorno libero, l’hanno chiamata al telefono per avvertirla che Loris era sparito e pure lei, come decine di compaesani, è uscita in strada per cercarlo: «Fino a quando è arrivata quella orrenda notizia», dice con la voce che le trema. A mamma Veronica, prima ancora che le maestre, erano stati i compagni a dirle: «Ma oggi Loris non è venuto!», sprofondando la donna nel panico.
L’immagine di Loris scolaro modello, appassionato di arti marziali, si scontra con le parole di alcuni degli stessi parenti e conoscenti degli Stival che confermano come già in passato il bambino un paio di volte avesse marinato la scuola, allontanandosi però di poche decine di metri e restando in paese. Dice la prozia Antonella Stival, che ieri mattina è tornata al «Mulino vecchio» dove era già stata la sera del ritrovamento: «Era un po’ introverso, non si fidava di nessuno e non dava confidenza agli estranei e la mamma lo seguiva sempre passo passo». Eppure quella mattina, e questo pare ormai un fatto certo, la mamma lo ha fatto scendere dall’auto vicino alla scuola ed è tornata a casa mentre Loris ha cambiato strada allontanandosi verso sud. Una vigilessa che fa servizio ogni giorno davanti alla scuola ha riferito di aver visto la mamma in auto ma non il bambino. In quei momenti cominciavano le ultime, ancora misteriose, ore di vita di Loris.
Sono le tre e mezza del pomeriggio quando Veronica, con un filo di voce, dice: «Portatemi lì, voglio andare a vedere dove l’hanno buttato». Meno di un’ora dopo, questa giovanissima mamma alle prese con un dolore che l’annichilisce, infagottata in un giaccone nero che stride con i 28 gradi di una anomala domenica d’inverno, sparisce dietro la canne del canalone maledetto. «Che cosa gli hanno fatto? Ditemi che cosa hanno fatto al mio bambino», la si sente urlare mentre, il capo rovesciato all’indietro, gli occhi ormai senza lacrime, le gambe che cedono, ritorna verso l’auto della polizia sorretta dal capo della squadra mobile di Ragusa Nino Ciavola e da Davide, suo marito, giovanissimo anche lui, una goccia d’acqua con il piccolo Andrea (il nome del nonno) che tutti però chiamavano Loris. Sono passate 24 ore dal ritrovamento del suo bambino, ma Veronica non è ancora riuscita a raccontare nei dettagli agli inquirenti cosa è successo sabato mattina né se vi fosse qualche motivo di preoccupazione attorno a questo piccolo che i familiari definiscono “autonomo” ma “introverso”. Di una cosa Veronica però è sicura e lo ha ripetuto per tutta la notte a chi le è stato vicino: «Loris non dava confidenza a nessuno, non sarebbe mai andato con chi non conosceva». Bambino particolare Loris: attaccatissimo al padre di cui sentiva molto l’assenza per il suo lavoro di autotrasportatore che, come sabato, lo portava spesso fuori. Intelligentissimo ma diffidente, lo descrive la zia Antonella, mingherlino ma amante delle arti marziali. Andare a scuola non era proprio la sua passione, la mamma lo teneva sotto controllo con particolare attenzione proprio perché, con Davide sempre via, si sentiva particolarmente responsabile di quei due bambini piccoli.
Una tragedia troppo grande per questa coppia di giovanissimi genitori, 25 anni lei, 29 lui, che stanno insieme da quando erano ragazzini. Loris è nato che Veronica aveva solo 17 anni, quattro anni dopo è arrivato Diego, che ieri mattina affidato ad alcuni familiari, continuava a chiedere di suo fratello. Nessuno gli ha ancora detto che Loris non c’è più.
«Ridatemi Loris, fatemelo abbracciare, voglio toccarlo, baciarlo ». È quasi una supplica quella che Veronica rivolge, nel primo pomeriggio, al presidente della Regione Rosario Crocetta che è andato a trovare la famiglia nella casa al terzo piano di via Garibaldi. Glielo hanno fatto vedere sabato sera il piccolo Loris all’obitorio dell’ospedale di Ragusa, ma non toccare prima dell’autopsia per evitare qualsiasi contatto che potesse cancellare indizi utili per il medico legale. Ma lei, che non riesce ancora a realizzare che Loris non c’è più, vuole abbracciarlo subito.
Piange, singhiozza, invoca il nome di suo figlio, alterna momenti di silenzio catatonico ad un’unica domanda che diventa quasi un’invocazione, la stessa che gli inquirenti più tardi rivolgono alla città: «Possibile che nessuno abbia visto niente per tutta la giornata? Possibile che nessuno in una cittadina come questa dove ci conosciamo tutti abbia notato un bambino aggirarsi per strada in orario di scuola, o salire su un’auto con qualcuno, o percorrere i tre chilometri della strada regionale fino al vecchio mulino? Possibile che tutte le telecamere che ci sono in città non abbiano ripreso nulla? Chi sa parli, vi supplico».
Nella stanza dei bambini c’è il “vestitino” per il funerale che Davide ha provveduto a comprare subito ieri mattina appena rientrato in paese. Lui, della terribile morte di suo figlio ha saputo nel peggiore dei modi, dalla radio mentre guidava il suo camion a nord di Roma. Anche per questo, in via Garibaldi, la famiglia che si stringe attorno a Veronica e a Davide aggredisce con violenza verbale i giornalisti che stazionano sotto casa: «Avvoltoi, siete degli avvoltoi, sparite». Grida che precedono l’urlo bestiale di mamma Veronica che si affaccia per un attimo al balcone gridando: «Andate via tutti, andate viaaaaaaa».
Nessuno lo dice in questa famiglia- clan di origine albanese ma ormai naturalizzata italiana da due generazioni che sono gli Stival, ma tutti, a cominciare dal nonno paterno Andrea a cui era molto legato, fino alla zia Antonella, da subito ha nutrito il “dubbio” che a Loris sia potuto succedere «qualcosa di molto brutto». Anche loro arrivano al canalone a dare un’occhiata: «Non siamo una famiglia da Mulino bianco ma siamo uniti e Loris aveva due genitori meravigliosi – dice Antonella Stival lasciando capire che qualche screzio familiare c’è stato ma nulla che possa avere a che vedere con la fine del piccolo – Quel che è certo è che Loris qui non c’è arrivato da solo, aspettiamo che siano gli inquirenti a dirci che cosa è successo».
Nonostante le parole della preside della scuola Giovanna Campo che cerca di tranquillizzare, in paese la psicosi dell’orco arriva anche in Chiesa. «Bambini, state sempre insieme e se vedete qualcosa di strano chiamate gli adulti », dice il parroco durante l’omelia mentre gli inquirenti arrivano anche a scuola a sequestrare tutti i compiti di Loris nella speranza di poter trovare tra le righe di qualche tema di quel bimbo di 8 anni l’indizio di qualche segreto inconfessabile.