il Giornale, 1 dicembre 2014
La mega-truffa degli incidenti stradali a Napoli, dove si paga l’Rc auto più cara d’Europa. È la capitale del risarcimento danni: il 60% dei processi è celebrato qui. E gli imbroglioni hanno sempre ragione, grazie a un sistema su cui tutti guadagnano: giudici, testimoni, medici e liquidatori
Una gigantesca truffa, un affare da quattro miliardi euro che ricasca sulle tasche di milioni di italiani onesti, e che a Napoli è invece considerato un «non delitto», a metà strada tra l’arte di arrangiarsi e la giustizia sociale. Per raccontarla bisogna venire in una vecchia caserma dismessa, la Garibaldi di via Foria. Uffici dove l’umidità fa fiorire l’erba. Un solo ascensore che funziona, e la coda per prenderlo arriva fin sulla strada. Al secondo piano, il «ruolo generale». Qui, ogni giorno che Dio manda in terra si abbattono le centinaia di ricorsi che fanno di questo ufficio la più grande fabbrica italiana di truffe. Sono le truffe del tozzatozza, come chiamano qui i tamponamenti tra automobili. Truffe depenalizzate. «A memoria d’uomo – dice Nicola Di Foggia, giudice di pace – non mi ricordo di una sola persona che sia finita in galera per truffa alle assicurazioni».
Benvenuti negli uffici del giudice di pace di Napoli. L’anno scorso, trentacinquemila cause intentate contro le assicurazioni. «Il settanta per cento del contenzioso sugli incidenti stradali – spiega Vittorio Verdone, direttore centrale dell’Ania, l’associazione delle assicurazioni – è a Napoli». Settanta per cento, una percentuale stellare. «E se andate nelle sedi giudiziarie di Marigliano e Nola, nell’entroterra, i numeri sono ancora più folli», racconta un avvocato esperto di tozzatozza. Sia chiaro: liti tra assicurati e assicuratori avvengono in tutta Italia. Qualcuno che prova a fare il furbo c’è sicuramente anche a Bolzano. Ma solo qui l’imbroglio del tozzatozza è assurto al rango di ammortizzatore sociale. Si frega l’assicurazione perché è giusto farlo, perché è un modo per recuperare una parte dei soldi spesi per assicurare la macchina, che qui costa il quintuplo che altrove.
Ogni giorno, duecento ricorsi per incidenti stradali vengono depositati all’ufficio del «ruolo generale». In teoria, ognuno che fa la coda potrebbe consegnarne quattro, ma si chiude un occhio per i «giovani di studio» (spesso con i capelli bianchi) degli avvocati specializzati in tozzatozza. I fascicoli vengono smistati equamente sui tavoli dei centotrenta giudici di pace. E qui arriva l’altra stranezza. Perché, sempre secondo i dati delle compagnie di assicurazione, a Napoli il giudice di pace dà quasi sempre ragione alla presunta vittima. «Un’anomalia assoluta rispetto al resto d’Italia», brontola Verdone dell’Ania, che se la prende anche con il «plateale conflitto di interessi» dei giudici di pace che fanno anche gli avvocati.
Vero o non vero? Il giudice Di Foggia allarga le braccia, specie quando gli si chiede se è vero che i testimoni sono sempre gli stessi, e c’è gente che riesce casualmente ad assistere a venti o trenta incidenti uno dopo l’altro: «Da tempo chiediamo di realizzare una anagrafe dei testimoni. Certo, la prima domanda che facciamo in udienza è: lei ha già testimoniato altre volte? In caso positivo, facciamo la tara al racconto che ci viene offerto. Ma da qui a incriminarli ce ne corre, anche perché nessuno denuncia mai nessuno. E quando si presentano qui si può stare certi che la lezione l’hanno imparata bene». I testimoni di professione, d’altronde, sono solo una pedina della catena di montaggio che sta dietro al business delle truffe: il sistema non potrebbe funzionare se dietro non ci fossero avvocati, periti, liquidatori, medici, autoriparatori che partecipano al gran ballo dell’imbroglio. Ognuno per la sua parte, ognuno con la sua motivazione.
A rendere tutto ancora più surreale, è che questo avviene in una città dove ad avere la macchina o la moto regolarmente assicurata è una minoranza. Il trenta per cento dei veicoli che circolano a Napoli semplicemente non sono assicurati: si va in giro con il tagliando fasullo, che si compra nei quartieri spagnoli per venti o trenta euro. Ma anche chi è assicurato, se può imbroglia: più della metà dei mezzi assicurati risulta residente in una città diversa. Per risparmiare sul premio, ci si arrangia con un parente che sta al nord, e che ha il buon cuore di intestarsi il mezzo.
Perché – e questo è l’altra faccia del problema – mettersi in regola a Napoli costa cifre folli. Verificato ieri: lo stesso scooter che a Udine si assicura per 301 euro all’anno, sotto il Vesuvio ne costa 1.542. E vai a sapere se è nato prima l’uovo o la gallina, se sono i napoletani a inventarsi le truffe per difendersi dalle compagnie esose, o se sono gli assicuratori ad alzare i premi per fronteggiare un malcostume divenuto piaga sociale. «Io credo – dice Angelo Pisani, avvocato di Maradona ma anche di utenti bistrattati – che quando si taglieggiano i cittadini con premi di millequattrocento euro si creano le condizioni per il degrado. La verità è che a nessuno conviene che il sistema funzioni, c’è un indotto di periti e medici al servizio delle assicurazioni che campa sul contenzioso. Il marcio sta all’interno del sistema e le conseguenze le paga la gente per bene». L’unica certezza è che a rimetterci sono gli automobilisti di tutta Italia, sui quali le compagnie spalmano una bella parte dei costi che sopportano in Campania. La grande truffa del tozzatozza la paghiamo tutti.
Se si potesse frugare nell’archivio dei giudici di pace napoletani, se ne potrebbe ricavare un affresco sull’arte dell’imbroglio. Ma l’archivio non è a Napoli: incredibilmente, è custodito a Scansano, in provincia di Perugia. Così per ricostruire teoria e pratica della truffa sulle assicurazioni bisogna affidarsi alla tradizione orale, ai racconti di chi in questo modo ci vive. La tipologia dell’imbroglio si poggia su tre categorie principali: incidenti mai avvenuti, incidenti gonfiati, incidenti la cui responsabilità viene ribaltata. Più dei danni alle auto, la vera fabbrica di risarcimenti sono i danni alle persone, a partire dal classico «colpo di frusta», patologia quasi impossibile da analizzare clinicamente. A «G2», la velocità media di un impatto nel traffico caotico di una città, lesioni consistenti sono praticamente impossibili. Ma basta infilare la tac di un parente al posto della propria, ed il gioco è fatto. Una invalidità del due, due e mezzo per cento non si nega a nessuno. Auto su cui viaggiava una persona sola, nel racconto dei testimoni si popolano di due, tre, quatto passeggeri, tutti ovviamente tramortiti dall’urto. Così il monte dei risarcimenti assurge a vette inverosimili.
Come si possa uscire da questa follia è impossibile a dirsi, tanto intrecciati sono elementi di psicopatologia delle masse e di codice civile. Da tempo si parla di creare un’«anagrafe dei testimoni», per schedare gli specialisti del tozzatozza fasullo, ma il garante della Privacy si oppone; così le compagnie di assicurazione si arrangiano con le loro banche dati, ma è un’arma spuntata. Alla fine del 2013, nel decreto Destinazione Italia doveva entrare un articolo che prevedeva la scatola nera sulle auto e i «risarcimenti in forma specifica» (tradotto: riparazione dell’auto al posto dei quattrini) ma sono piovuti emendamenti su emendamenti, e il governo per fare in fretta ha preferito ritirare. «Ma alla fine – dice il giudice Di Foggia – il problema è uno solo: fregare le assicurazioni, qui non è un reato».