la Repubblica, 1 dicembre 2014
«È tutta una questione di pancia». Così Cinzia Th Torrini, la regina delle fiction italiane, spiega il suo successo. Da Elisa di Rivombrosa in poi, è la regista che in televisione non sbaglia mai
Chi la vede sul set, sa che la signora minuta con l’accento toscano non fa sconti. Cinzia Th Torrini (quel “Th” aggiunto al nome è un vezzo che non ha mai voluto spiegare), regista, regina delle fiction acchiappa Auditel, da Elisa di Rivombrosa a Un’altra vita con Vanessa Incontrada, ottiene sempre quel che vuole. Era una ragazza quando riunì, nel film Hotel Colonial, John Savage, Robert Duvall e Massimo Troisi, poi si è dedicata alla tv. Dice che parla «alla pancia» che non è snob, che il melò fa bene al cuore e che «prima le reti avevano molto più coraggio, ma oggi conta solo l’Auditel». Ha finito di girare in Tunisia Anna e Yusuf che andrà in onda a primavera su RaiUno, storia d’amore tra un’italiana (Incontrada) e un magrebino (Adel Bencherif, l’attore de Il Profeta).
Premiata col Gonfalone d’Argento per il documentario Firenze capitale dell’arte e dell’artigianato, sta scrivendo una fiction per la Rai, sul mondo degli artigiani «un grosso progetto nato per amore nei confronti della mia città».
Oggi come si costruisce un successo popolare?
«Dall’inizio, anche se non è una mia sceneggiatura cerco di capire tutte le psicologie e di farle modificare, se ci sono controsensi. Anche nei personaggi negativi non deve essere tutto bianco o nero, ho bisogno di capire cosa c’è di positivo nel negativo. M’interessa esplorare la mente umana, cerco le contraddizioni che rendono le persone vere».
Chiaro. Ma quando si crea l’alchimia e una storia arriva al grande pubblico?
«Quando parla alla mia pancia e la mia pancia parla a me. Se arriva a me allora so che posso parlare a milioni di pance, viviamo le stesse emozioni. In ogni film c’è dentro il mio cuore, sembra un po’ una frase da De Amicis ma è così. Mi commuovo tre volte: quando giro, quando monto i film e li rivedo».
Quindi è un generale dal cuore tenero.
«Che io sia una dura è una leggenda che mi precede, chi non mi conosce arriva sempre timoroso sul set. Sono determinata ma non lo faccio per il piacere di essere tosta, il tempo è poco non va sprecato. Sono pratica».
Ha raccontato tante storie di donne.
«Ultimamente, sì. Ma ho girato tante storie al maschile, da Don Gnocchi a Kidnapping».
Però si è specializzata nel genere strappacuore, qual è il confine tra melò e soap?
«Non analizzo il mio lavoro. Quando faccio recitare gli attori devono sentire dentro quello che dicono e quello che fanno, non devono solo dire le battute. Quella per me è la differenza tra le soap è quello che faccio io: lo stato d’animo dev’essere dentro di loro, questa è la chimica. Lo sa che adesso a Ponza vanno tutti sullo scoglio dove si vedevano la Incontrada e Liotti, e si fanno le foto?».
Sarà. Ma quella scena, come altre, confinavano con la fantascienza.
«Ma no, certe scene non si devono analizzare razionalmente. Un’altra vita era scritta bene, toccava tanti aspetti della femminilità, una storia corale indirizzata anche agli uomini perché insegna come trattare con le donne. È vero, sono romantica, non ci si deve vergognare di emozionarsi. Una signora mi ha fermato sull’aereo, mi ha ringraziato era una grande fan della fiction, poi si è presentata: era un prefetto».
Secondo lei un regista uomo e una regista donna hanno un modo diverso di girare?
«Le scene d’amore sì, anche se gli uomini adesso si stanno un po’ ammorbidendo. Mi sembra sempre che le donne siano quasi violentate in quelle scene, non vedi la gioia. Questo mi angoscia».
Paolo Virzì parlò di «fiction camomilla».
Che ne pensa?
«Anni fa si potevano toccare argomenti e temi molto più forti. Se pensa che nella serie Dalla notte all’alba raccontavo di un chirurgo cocainomane che riusciva a essere lucido solo se assumeva droga... La realtà è che siamo sulla tv generalista, il pubblico è largo e ci sono anche persone fragili, non è la tv via cavo che può osare. E abbiamo una missione: dare valori».
Ma scusi, anche prima tra il pubblico ci saranno state «persone fragili». Allora c’era più libertà?
«L’Auditel non era così importante, non ti faceva perdere la poltrona. È chiaro che se fanno pubblicità ai pannolini, o se parli agli anziani, li devi anche rassicurare. La differenza è stata questa. Noi come autori abbiamo sempre chiesto di fare l’indice di gradimento».
Oggi il gradimento – o le critiche – lo registrano su Facebook o Twitter.
«Non a caso con Un’altra vita eravamo terzi su Twitter. Io lavoro al meglio sempre, non vivo con l’ansia di vincere, ma di fare buoni prodotti».
Chi sono i suoi registi preferiti?
«Cassavetes per come raccontava le donne, e Peter Weir. Tra gli italiani Mario Monicelli, perché piangere e ridere insieme è la cosa più bella».