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 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

Stipendi d’oro: giudici e alti burocrati continuano a guadagnare molto più dei loro colleghi stranieri. Altro che tetto di 240 mila euro. Dalla Consulta a Bankitalia, ecco il club dei nababbi di Stato

Alessandro Criscuolo, da poche settimane presidente della Corte Costituzionale, ha di che essere soddisfatto. Rispetto ai suoi colleghi del resto d’Europa è una specie di nababbo. Tra ponderose sentenze e sottili valutazioni giuridiche porta a casa uno stipendio di 432mila euro l’anno. Roba da far sfigurare i poveri giudici costituzionali degli altri Paesi: il presidente del Bundesverfassungsgericht tedesco si deve accontentare di 196mila euro, quello inglese di poco più di 235mila. Per non parlare dei giudici della Corte Suprema americana: qui il presidente è costretto a tirare la cinghia con l’equivalente di 189mila euro. Insomma, Criscuolo guadagna più del doppio degli omologhi di Paesi ben più ricchi dell’Italia. E non è che ai suoi colleghi vada peggio. Ognuno degli altri 13 giudici della Consulta guadagna 360mila euro l’anno. I loro corrispondenti tedeschi 160mila, quelli americani 166mila. All’estero siamo sempre a meno della metà che nella Penisola.
Uno scandalo? Può darsi, ma soprattutto una regola che vale praticamente per tutte le amministrazioni pubbliche: la classe dirigente italiana avrà magari qualche cosa da imparare per quanto riguarda il funzionamento della macchina statale, ma quanto a difesa dei propri interessi economici e corporativi ha pochi rivali. Il tema è annoso e il governo ha cercato di metterci una pezza con il tanto celebrato tetto di 240mila euro per gli stipendi pubblici, corrispondenti all’indennità del Presidente della Repubblica. Ma in Italia le leggi corrono sempre il rischio di trasformarsi in grida manzoniane. E il limite ai salari sembra già un colabrodo. Dai funzionari parlamentari (vedi anche articolo alla pagina successiva) alla Banca d’Italia, chi poteva opporsi all’abbassamento degli stipendi lo ha fatto con decisione degna di miglior causa. E nella giungla dell’amministrazione italiana i privilegi rimangono una costante.
Da questo punto di vista la Corte Costituzionale è un caso di scuola. La sua indipendenza è doverosamente ancorata nella Carta Fondamentale e il tetto di Renzi & C. dalle sue parti non conta. I giudici, nella loro totale autonomia, hanno deciso di tagliarsi stipendio e indennità di ben 100mila euro a partire dal primo maggio 2014. Atto meritorio. Volendo cavillare il problema era il mostruoso punto di partenza. Fino al 30 aprile il presidente della Corte guadagnava quasi 550mila euro l’anno (quasi tre volte tanto che in Germania) e i suoi colleghi seguivano a ruota. Anche dopo l’autoriduzione restano a disposizione di ogni singolo giudice una foresteria e un’auto blu. Auto e autista sono assegnati fino a un anno dopo il raggiungimento della pensione. Interessante il confronto con la Corte Costituzionale tedesca dove le auto blu sono in tutto due: una per il presidente e una per il vice. Gli altri magistrati si dividono un’auto di servizio. Anche così, probabilmente, si spiegano i bilanci tanto diversi tra loro: la Corte Costituzionale italiana costa ai cittadini 41 milioni di euro (a cui si aggiungono 20 milioni per le pensioni di ex giudici e dipendenti), la Corte tedesca 29 e quella inglese addirittura 13. Differenze non da poco, ma si sa, noi italiani per fare bella figura non badiamo a spese.
Un altro bastione impermeabile al tetto dei 240mila euro è Banca d’Italia. Qui l’indipendenza è legata all’appartenenza al Sistema europeo delle banche centrali. Anche in Europa ci sono però Governatori di serie A e Governatori di serie B. A Mario Draghi, numero uno della Banca Centrale di Francoforte, è affidata la politica monetaria e sotto molti aspetti la sopravvivenza della moneta unica. Compito impegnativo remunerato con 378mila euro l’anno, a cui si aggiungono 90mila euro di benefit vari. Sempre a Francoforte è il potentissimo Jens Weidmann, Governatore della Bundesbank, l’istituzione più amata dai tedeschi. Il suo stipendio viaggia di conseguenza: 418mila euro. Molto più modesto il salario del numero uno del Banco de España: 166mila euro l’anno. Forse anche per l’imbarazzante confronto il Consiglio Superiore di Banca d’Italia sta riducendo anno dopo anno gli emolumenti dei vertici: tre anni fa il governatore guadagnava 758mila euro, poi diventati 495. Un mese fa altro taglio: 450mila euro al governatore Ignazio Visco; 400mila al direttore generale Salvatore Rossi, 315mila ai tre vicedirettori.
Resta il fatto che, Bce a parte, a superare la pattuglia tricolore è solo il Governatore britannico Mark Carney con più di un milione di euro (compresi benefit pensionistici e valore dell’affitto dell’abitazione nel centro di Londra che gli è stata assegnata). Qualche differenza a dire la verità c’è: a Carney, che era numero uno della Banca del Canada ed è stato strappato con un’offerta sonante al precedente datore di lavoro, spetta una responsabilità, quella di determinare i tassi di interesse, che i colleghi italiani non hanno più.
In generale per quanto riguarda il livello degli stipendi nell’amministrazione pubblica italiana vale un principio: lungo tutta la scala gerarchica si guadagna meno che all’estero. La cuccagna inizia quando si arriva ai vertici: Roberto Perotti, economista e docente alla Bocconi, sul sito lavoce.info l’ha chiamata la regola del «poco a tanti e tanto a pochi». In una serie di articoli Perotti e il suo collega Filippo Teoldi hanno passato in rassegna gli emolumenti dell’alta burocrazia. Il confronto con quanto avviene oltre le nostre frontiere è sconfortante, basta qualche esempio per rendersene conto. Scrivevano qualche mese fa i due economisti: in Italia «i ministeri della Salute e dello Sviluppo economico hanno rispettivamente 125 e 165 dirigenti di seconda fascia che guadagnano in media 110mila euro, quanto i 17 dirigenti di prima fascia del Ministero dell’Economia britannico. I 300 dirigenti apicali di Regioni e Province guadagnano 150mila euro, quanto uno dei quattro direttori generali del Ministero dell’Economia e il capo di gabinetto del ministero degli Esteri britannico. I quasi 700 dirigenti apicali del Servizio Sanitario nazionale guadagnano ben più di un dirigente di prima fascia del Ministero (in tutto, come detto, sono 17, ndr) dell’Economia britannico». E si potrebbe continuare.
I soldi per pagare gli alti burocrati ci sono, grazie anche al fatto che si paga poco chi sta sotto. Sempre Perotti e Teoldi hanno fatto un test e messo a confronto gli stipendi di maestre, professori di scuola superiore e vigili del Fuoco in Italia e Gran Bretagna. In tutti e tre i casi gli stipendi britannici sono molto più alti, sia in valore assoluto, sia in rapporto al Pil procapite.
Si spiega anche così il fatto che nel suo complesso la pubblica amministrazione italiana (contrariamente al luogo comune) non costi più che negli altri Paesi. Nicola Bellè, docente di management pubblico, in un recente studio condotto insieme ad altri professori della Bocconi, ha fissato a 2.717 euro la spesa per retribuzioni nell’amministrazione statale per residente. Meno della media europea, fissata a 2.736. La retribuzione dell’amministrazione pubblica incide sul Pil per il 10,6%: anche qui meno della media europea, e meno anche dell’amministrazione statale del Regno Unito (10,8%) i cui dirigenti di vertice guadagnano così poco rispetto ai loro colleghi italiani.
Un altro esempio di differenza tra stipendio della base e dei vertici è la magistratura. Qualche settimana fa un ponderoso rapporto del Consiglio d’Europa ha messo a confronto le retribuzioni dei magistrati del Vecchio Continente. A fine carriera gli italiani sono tra quelli che guadagnano di più (vedi anche tabella in pagina). Al secondo posto assoluto dopo i britannici se si considera lo stipendio in rapporto al salario medio del Paese. A inizio carriera, invece, non è affatto così: i giovani magistrati precipitano alla ventesima posizione della graduatoria continentale.
Ancora più interessante il caso dei circa 900 ambasciatori italiani. A giudicare dallo stipendio non guadagnano poi molto. Ma il più volte citato Perotti è riuscito a quantificare gli emolumenti reali dei vertici della diplomazia italiana, tenendo conto cioè delle varie indennità incassate, e a confrontarli con i diplomatici stranieri: gli italiani in servizio nelle capitali d’Europa e Nord America guadagnano in media quasi tre volte i loro colleghi tedeschi. Qualche ambasciatore ha parlato di «gogna mediatica», il Ministero ha avviato una faticosa riforma. Perotti è stato chiamato a far parte di un gruppo di lavoro costituito a Palazzo Chigi per il riordino della spesa pubblica. Auguri.