la Repubblica, 1 dicembre 2014
Francisco Javier Romero Taboada, il tifoso del Deportivo massacrato di botte dagli ultras del Frente Atlético e poi buttato nel fiume, è stato ripescato morto alle 9 del mattino. È la vittima numero nove in trent’anni di violenza tra tifoserie rivali nel «campionato più bello del mondo»
A mezzogiorno in punto, quando l’arbitro dà il segnale d’inizio dell’incontro Atlético-Deportivo, dalla curva nord del “Vicente Calderón” si leva l’urlo «Assassini, assassini». A quell’ora, Francisco Javier Romero Taboada, quarantatreenne, moglie e un figlio di quattro anni, è ancora in vita, ma i tifosi galiziani – le poche centinaia che hanno avuto accesso allo stadio scortati dalla polizia – hanno già un presentimento che si rivela tragicamente fondato: “Jimmy”, come era soprannominato, muore nel primo pomeriggio all’Hospital Clínico, quando la partita si è appena conclusa e intorno allo stadio la tensione è ancora altissima. I sub dei vigili del fuoco l’avevano ripescato alle 9 del mattino nelle acque del Manzanarre dove era stato gettato dopo l’aggressione, con trauma cranico e in parata cardiorespiratoria: tutti i tentativi di rianimarlo sono stati inutili. È la vittima numero nove in trent’anni di violenza tra tifoserie rivali nel «campionato più bello del mondo». Ed è il secondo a cadere per mano degli ultras del Frente Atlético, il gruppo di ideologia neonazi già responsabile, sedici anni fa, della morte del tifoso della Real Sociedad Aitor Zabaleta.L’ultima giornata nera del fútbol è la storia di uno scontro cercato e pianificato, e della mancanza assoluta di prevenzione. Ora che è avvenuto l’irreparabile, si viene a sapere che – nonostante la Commissione nazionale contro la violenza avesse dichiarato la partita «di basso rischio» – le frange più estreme delle tifoserie dell’Atlético e del Depor si erano date appuntamento via WhatsApp da diversi giorni, e che anzi già una settimana fa, alla vigilia dell’incontro tra i “colchoneros” e il Málaga, su alcuni forum su Internet già si parlava della “sfida” tra aficionados radicali per questa domenica. Di primo mattino, erano le 8.40, decine di violenti del Frente Atlético armati di bottiglie, mazze di ferro, bastoni e coltelli sono andati ad attendere l’arrivo dei pullman provenienti da A Coruña su cui viaggiavano gli ultras del gruppo Riazor Blues. La battaglia campale si è scatenata nella zona di Madrid Rio, il grande parco realizzato pochi anni fa lungo le rive del Manzanarre, a poche centinaia di metri dallo stadio. A quell’ora, il dispositivo di polizia – già ridotto in quest’occasione visto che non erano arrivate segnalazioni di possibili scontri – era ancora del tutto assente: troppo presto per temere che potesse accadere qualcosa di grave.Così, per lunghi minuti, quel parco che nei fine settimana è solitamente un’oasi per sportivi e famiglie con bambini, è diventato un campo di battaglia. Una violenza cieca a colpi di spranga e lancio di sedie sottratte dalle terrazze dei bar di Madrid Rio. Da una parte, a dare manforte alle frange estremiste dell’Atlético, c’era anche un gruppo degli Ultras Boys, gli “hinchas” di estrema destra dello Sporting Gijón. Dall’altra, in appoggio ai radicali di sinistra galiziani dei Riazor Blues, tifoserie estremiste dello stesso orientamento ideologico: i Bukaneros del Rayo Vallecano e gli Alkor Hooligans dell’Alcorcón. Una prova chiara del fatto che lo scontro era stato preparato nei dettagli. A farne le spese, Romero Taboada, appartenente al gruppo “Los Suaves”, l’ala più estrema dei Riazor Blues, finito in acqua in fin di vita, mentre un altro tifoso gettato nel fiume ha riportato solo leggere contusioni. In tutto, i feriti sono undici e 24 le persone arrestate. Ma al “Vicente Calderón”, a mezzogiorno, si è giocato lo stesso: la Liga ha provato a sospendere la partita, dalla Federazione non è arrivata nessuna risposta. A fine gara, sorprendentemente, l’allenatore “rojiblanco” Simeone, se l’è cavata con una frase: «È un problema sociale, non del calcio».