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 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

È iniziata l’era dell’abbondanza del petrolio. Il mondo risparmierà 700 miliardi l’anno con un prezzo compreso fra 70 e 80 dollari al barile. Ma i Paesi produttori soffrono, Russia in testa

Siamo entrati nell’era dell’abbondanza e ci resteremo a lungo. Il prezzo del greggio continuerà a restare basso, indipendentemente da qualsiasi intervento dei Paesi Opec, che ormai pesano solo per il 40% della produzione mondiale. Questa è l’opinione prevalente fra gli esperti del mercato petrolifero, che vedono ulteriori cali in arrivo, più o meno estremi, dopo il crollo di quasi il 30% negli ultimi quattro mesi.
Gary Ross, uno degli analisti più influenti del settore, mette in conto un livello di prezzo analogo a quello attuale, sotto i 70 dollari al barile per il greggio americano Wti e sotto gli 80 per il Brent europeo durante tutto il 2015. Questo porterebbe al mondo un provvidenziale risparmio di oltre 1,8 miliardi di dollari al giorno sul costo dei combustibili fossili e di quasi 700 miliardi in un anno, togliendoli allo stesso tempo dalle tasche dei Paesi produttori, come l’Arabia Saudita o l’Iran.
Le ricadute
Ma i produttori mediorientali dovrebbero essere in grado di assorbire il colpo, mentre la Russia sarà fra i Paesi più colpiti: il suo bilancio 2014 assumeva un prezzo medio del barile a 117 dollari e quello del 2015 a 100. Oltre il 50% dell’economia e del bilancio statale di Mosca dipendono dalle esportazioni di idrocarburi: per quattro quinti dal petrolio e per un quinto dal gas.
Per l’economia globale le ricadute saranno rilevanti: il petrolio è un costo per alcune aziende, ma una fonte di reddito per altre.
In base ai calcoli di David Kostin, strategist di Goldman Sachs, il Brent a 84 dollari porterebbe una crescita degli utili per le società dell’S&P500 del 5 per cento quest’anno e dell’8 per cento l’anno prossimo. Una discesa ulteriore del prezzo a 74 dollari farebbe aumentare di un punto percentuale la crescita degli utili. Il più favorito, ovviamente, sarà il settore dei trasporti. Ma negli Stati Uniti se ne avvantaggerà anche la grande distribuzione, perché i 600 dollari in più che finiranno nelle tasche di ogni famiglia americana dovranno ben essere spesi in qualche modo. In Europa, dove la tassazione varia dal 60 all’80% del prezzo al consumo, le famiglie ne godranno poco e le casse statali ne soffriranno di più.
Poi ci sono gli esperti ancora più ottimisti. Philip Verleger, un economista molto seguito dalle major dell’oro nero, prevede un ulteriore calo del Brent, al di sotto dei 70 dollari al barile. Tom Kloza, un altro oracolo del settore, fondatore dell’Oil Price Information Service, prende addirittura in considerazione l’ipotesi di crolli fino a 35 dollari l’anno prossimo, se il cartello dei Paesi produttori non si metterà d’accordo in primavera su tagli molto consistenti, di almeno un milione di barili al giorno.
Previsioni
Leonardo Maugeri, top manager all’Eni per vent’anni fino al 2011 e oggi docente a Harvard, ha la vista ancora più lunga: è convinto che la rivoluzione americana dell’olio di scisto non si fermerà con il greggio a 70 dollari, ma sarà in grado di finanziarsi e di aumentare la produzione anche a prezzi più bassi. Di conseguenza, il surplus di offerta globale causato dalla nuova produzione made in Usa è destinato a crescere: da 80 milioni di barili al giorno nel 2000 (104% della domanda) agli attuali 100 milioni di barili (108% della domanda), fino a 110 milioni di barili nel 2020. In presenza di un’economia globale che cresce ancora con il freno tirato, il divario domanda-offerta continuerà ad aumentare e il prezzo a calare.
«Non capisco come sia possibile sostenere che il punto di pareggio medio delle estrazioni di greggio non convenzionale sia al di sopra dei 70 dollari», si chiede Maugeri. In base ai suoi calcoli, non è così. «Ad esempio la contea di McKenzie, in Nord Dakota, una delle più prolifiche fra tutti i giacimenti non convenzionali, ha un punto di pareggio a 28 dollari al barile, compreso il tasso interno di rendimento del 10%», precisa Maugeri. Al momento attuale, l’80% dei giacimenti non convenzionali del Nord Ovest hanno un punto di pareggio molto più basso di 70 dollari, che secondo Maugeri si colloca attorno a 40 dollari.
Le analisi pessimistiche, che considerano spacciate molte piccole società estrattive con il barile sotto i 70 dollari, sono state calcolate su dati vecchi, che ignorano il rapidissimo sviluppo delle nuove tecnologie estrattive: «La mia previsione – ribadisce Maugeri – è che le produzioni non convenzionali continueranno a crescere rapidamente nei prossimi anni, malgrado il calo dei prezzi».