Corriere della Sera, 1 dicembre 2014
Chi comanda davvero nella Striscia di Gaza? Hamas e Al Fatah sono due famiglie distinte di palestinesi
Chi governa attualmente nella Striscia di Gaza? Le chiedo anche se in quel Paese il ruolo di Abu Mazen è ancora determinante.
Piero Cazzani
Pavia
Caro Cazzani,
Gaza è ancora la roccaforte di Hamas. L’ultimo conflitto con Israele, dall’8 luglio al 26 agosto di quest’anno, e le circa 2.200 vittime dei bombardamenti israeliani hanno avuto l’effetto di rendere la città, agli occhi dell’opinione pubblica palestinese, ancora più «martire» di quanto già fosse in passato. Ma potrebbero pregiudicare l’intesa che Abu Mazen e l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) avevano concluso con Hamas in aprile per la creazione di un governo comune.
Il governo esiste, quanto meno sulla carta, è presieduto da un esponente dell’Olp, Rami Hamdallah, e ha prestato giuramento il 2 giugno. Ma Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, ha deplorato i missili lanciati da Hamas contro la popolazione civile israeliana e ha dimostrato in tal modo che fra le strategie delle due organizzazioni vi sono ancora importanti differenze. Un breve riepilogo può forse aiutarci a ricostruire la natura dei rapporti fra le due anime della società palestinese.
Quando nacque, all’inizio degli anni 70, Hamas era il braccio palestinese della Fratellanza musulmana e rappresentava quindi l’alternanza religiosa al nazionalismo laico, con venature marxiste, di Al Fatah, l’organizzazione di Yasser Arafat. Sotto la guida dello sceicco Ahmad Yassin, Hamas si dedicò principalmente a iniziative educative e assistenziali. Molti anni dopo, nel 2004, Yassin fu vittima di un assassinio mirato dei servizi israeliani, ma in una prima fase la sua organizzazione poté contare sulla benevolenza di Israele, a cui piaceva contrastare in questo modo l’organizzazione laica di Arafat.
La svolta militare di Hamas risale all’inizio degli anni Ottanta quando ogni soluzione politica della questione palestinese sembrava sempre più lontana; e la sua popolarità nella società palestinese crebbe sino alla vittoria nelle elezioni del 2006. Furono elezioni libere, difficilmente contestabili, ma il loro risultato non piacque né all’Olp, né a Israele, né agli Stati Uniti, né ad altre potenze occidentali. Accadde così per certi aspetti quello che era accaduto in Algeria alla fine del 1991, quando il governo, dopo i risultati favorevoli al partito islamico nel primo turno delle elezioni politiche, aveva bruscamente soppresso il secondo turno. Con una aggravante: i Paesi che non vollero riconoscere il successo di Hamas, si consideravano maestri di regole democratiche e avrebbero dovuto mettere alla prova la conversione alla democrazia dell’organizzazione islamica.
Sono stati necessari otto anni perché le due parti riuscissero a ricucire lo strappo e ad accordarsi, nello scorso aprile, su un governo comune. Alla fine di settembre, un mese dopo la fine dell’ultimo conflitto di Gaza, i rappresentanti di Hamas e Fatah si sono incontrati al Cairo e hanno annunciato di avere raggiunto un accordo per estendere alla Striscia le competenze e responsabilità del nuovo governo palestinese. Ma la storia di questa lunga crisi ci ha insegnato che troppo spesso gli annunci sono soltanto buone intenzioni.