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 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

Renzi non crede più in Berlusconi e al Quirinale vorrebbe un presidente a-politico, privo di reale autonomia, sul modello del presidente tedesco, la cui figura non si sovrappone mai a quella del Cancelliere

Un rebus avvolto in un enigma, diceva Churchill a proposito dell’Unione Sovietica di Stalin. E un rompicapo senza apparente soluzione sta diventando la ricerca del nuovo presidente della Repubblica. Renzi si è reso conto che non sarà una guerra lampo, ma il rischio di una lunga paralisi è troppo alto per il governo.Nell’intervista di ieri a Repubblica e poi nell’intervento televisivo a “In mezz’ora”, il presidente del Consiglio ha fatto capire di non credere più negli accordi con Berlusconi e di cercare un piano B che può coinvolgere i Cinque Stelle in crisi, o magari i fuoriusciti e i dissidenti del movimento grillino. Ma siamo ancora ai segnali politici, messaggi suscettibili di essere contraddetti il giorno dopo. «Berlusconi non può pensare di dare ancora le carte» dice Renzi. E sulla carta non ha torto: il famoso “patto del Nazareno” non è mai stato una diarchia, bensì un’intesa politica in cui uno era alla guida (il premier) e l’altro ricavava alcuni vantaggi espliciti e impliciti dal trovarsi ancora nel cuore dei giochi.Cosa è cambiato? Un solo aspetto, ma decisivo: l’uscita di scena di Napolitano è arrivata prima del previsto (nonostante infiniti indizi al riguardo) e il presidente del Consiglio si trova con il cesto delle riforme ancora semi-vuoto. A questo punto anche per un Berlusconi declinante, incapace di tenere a bada un partito sfilacciato, la tentazione è troppo grande. Perché dare il via al candidato di Renzi, ammesso che oggi esista, quando si può alzare il prezzo e negoziare? Del resto, se il “patto” non serve come griglia per eleggere il capo dello Stato, vuol dire che è talmente fragile da risultare inconsistente. Non stupisce che i nodi e le contraddizioni stiano venendo al pettine.Negli ultimi giorni Berlusconi si mostra più baldanzoso: è tornato a occuparsi di politica in pubblico e ha ripreso uno dei suoi cavalli di battaglia, gli attacchi ai magistrati. Significa che vede Renzi in difficoltà sia sulla legge elettorale sia sull’elezione del capo dello Stato e spera di ricavarne qualche utile marginale. Ma non vuol dire che abbia rinunciato a far pesare i suoi voti nella scelta del successore di Napolitano. Al contrario. Aver messo sul tavolo il nome di Giuliano Amato non rappresenta una scelta definitiva, ma solo un modo per cominciare a giocare. Il problema è che Renzi non accetta, almeno per ora, di trattare da pari a pari con il centrodestra. Perché, appunto, «Berlusconi non dà le carte».Detto in altri termini, il premier respinge il metodo di fondo, quello che consiste nel dare la precedenza al suo semi-alleato per individuare insieme un nome di garanzia autorevole e neutrale, accettabile da tutti. Non siamo nel 1985, quando De Mita convinse il Pci a votare Cossiga, che in fondo era cugino di Berlinguer; e nemmeno nel 1999, quando Veltroni costruì un’ampia rete di sicurezza intorno a Ciampi. Oggi Renzi guarda a un presidente della Repubblica che sia, in un certo senso, a-politico: ossia privo di reale autonomia e soprattutto poco propenso a sviluppare una propria iniziativa istituzionale, sia pure nell’ambito della «persuasione morale». Il modello del presidente tedesco, la cui figura non si sovrappone mai a quella del Cancelliere, è ben vivo nella sua mente. Ecco perché è così difficile per lui discutere con altri le possibili candidature: al momento sarebbe un dialogo fra sordi, visto che non tutti – dentro e soprattutto fuori della maggioranza – condividono l’identikit politico-istituzionale del nuovo capo dello Stato secondo Renzi.Senza dubbio Amato non corrisponde ai requisiti che il premier ritiene debbano essere prioritari. Ma una volta esclusa Forza Italia, è tutto da dimostrare che sia agevole raccogliere i voti necessari in Parlamento, fra un Pd diviso, i centristi e i Cinque Stelle, a favore di un «mister X» o di una «miss X». Ci vuole più forza politica a imporre un candidato imprevisto di quanta sia necessaria per far votare un nome conosciuto e sperimentato. Tuttavia siamo solo ai primi passi della contesa. Aspettiamoci molti colpi di scena.