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 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

Gianna Nannini reinterpreta i grandi classici della musica italiana, da Il cielo in una stanza a O’ sole mio. «A me piace prendere rischi. Sono riuscita ad attualizzare queste vecchie canzoni. Sono i pezzi della mia memoria: mi attraggono razionalmente ma soprattutto emotivamente»

Si potrebbe dire, anzi si deve dire, che Gianna Nannini ha preso il toro per le corna. Parliamo del suo nuovo disco, una sorta di avventura della memoria nel più classico repertorio italiano, da Claudio Villa a Modugno, a Paoli, Endrigo, De Andrè, Guccini, Battisti, Dalla, fino a Vasco Rossi. Un album di cover, dal titolo che gioca sul patriottico e sul fatto che si tratta di grandi successi, Hitalia, con Gianna che affronta il catalogo alla garibaldina: voce spiegata, batteria che pesta, chitarre che sfrigolano. «È un disco quasi metal, uno dei più tosti che abbia fatto» spiega, per nulla intimorita dall’aver osato quasi oltre il sacrilegio.
Con “’O sole mio” non aveva rischiato tanto nemmeno Elvis.
«Presley ne ha fatto una ballad e non potevo copiarla. Così l’ho resa quasi punk rock. È il brano che ho stravolto di più».
Ma anche con le altre canzoni il disco non va leggero, da “Dio è morto” di Guccini a “Lontano dagli occhi”.
«A me piace prendere rischi. Sono riuscita ad attualizzarle, grazie alla complicità del mio produttore Wil Malone, uno che ha lavorato con gli Iron Maiden».
Ci sono alcuni duetti, con Massimo Ranieri, Gino Paoli e anche con Vasco in “C’è chi dice no”.
«Per Il cielo in una stanza, molto bassa per me, ci voleva la voce di un uomo. E Gino è stato fantastico con i suoi toni caldi pazzeschi. Vasco l’ho sognato di notte. Mi mancava la sua impronta vocale e lui alla fine ce l’ha messa. Quando ho sentito il risultato mi sono venuti i brividi».
“L’immensità” si apre con un parlato, un flashback su un concerto di Don Backy a Livorno.
«Ero piccolina. Gli dissi che volevo diventare cantante. Ero vestita tutta di pelle e lui mi ha risposto, guardandomi: il personaggio c’è, dipende dalla voce. Ed eccomi qua».
Sono tutte canzoni legate a ricordi personali?
«Sono i pezzi della mia memoria: mi attraggono razionalmente ma soprattutto emotivamente. Io sono cresciuta con la canzone popolare che è parte delle mie radici italiane, toscane ed europee».
C’è perfino “Mamma”...
«La cantava mio padre, tifoso di Claudio Villa, che a me non piaceva proprio. Il babbo diceva che la mia voce non era fatta per il canto. Così sono scappata di casa».
E ora canta “Mamma” in versione rock.
«L’ho dedicata a mia madre che è morta quest’anno. Tutto l’album è per lei e vuole essere una spinta per la valorizzazione della musica italiana doc. Non mi va che siamo considerati come dei pigs non solo per l’economia ma anche per la musica. Possibile che dobbiamo essere considerati dei polli nel pop rock? Negli anni 60 non era così».
Gianna, di questi tempi viene spesso accostata a Sanremo, c’è qualcosa di vero?
«Succede tutti gli anni. Al Festival non ci sono mai andata, se non come ospite con la mia opera Pia de’ Tolomei».
A marzo andrà in Austria per Rock meets classic, di che si tratta?
«È una serie di eventi nelle arene dove le band rock, come i Deep Purple, sono accompagnate da orchestre sinfoniche. Io sarò l’unica donna. Farò Dio è morto, un pezzo che sembra tratto da un’opera verdiana. Poi, a maggio, andrò in tour con i miei classici e alcune di queste cover».
Nel frattempo non ha scritto nulla di nuovo?
«Avevo degli inediti, ma li ho lasciati da parte per dedicarmi a Hitalia. E poi la mia bambina mi prende moltissimo. Vuol dire che quei pezzi, come il vino, miglioreranno invecchiando».