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 2014  novembre 28 Venerdì calendario

I tedeschi sono gli avversari più duri di Google. Mathias Doepfner, il numero uno del più grande gruppo editoriale in Europa, Axel Springer, ad aprile scrisse una lettera in cui accusava il colosso californiano di voler istituire un monopolio e uno Stato sovrannazionale, di favorire le proprie aziende, di essere poco trasparente. Soprattutto, puntò il dito contro la Commissione europea, rea di «non essere all’altezza del compito», di non aver agito con forza sufficiente per proteggere ad esempio gli editori

Quando si muovono i pesi massimi, difficile far finta di niente. E quando Mathias Doepfner, il numero uno del più grande gruppo editoriale in Europa, Axel Springer, vergò ad aprile una lettera alla Frankfurter Allgemeine Zeitung sostenendo che «abbiamo paura di Google», a qualcuno devono essere tremati i polsi. Non solo in California: anche a Bruxelles. «Devo dirlo con grande chiarezza e sincerità – scrisse l’ad del colosso editoriale di Berlino che pubblica, tra gli altri, il tabloid Bild – perché nessuno dei miei colleghi ha il coraggio di farlo pubblicamente. Ed essendo i più grandi tra i piccoli, dobbiamo forse imparare a parlare con chiarezza, in questo dibattito».
Nella lettera, Doepfner accusò Google di voler istituire un monopolio e uno Stato sovrannazionale, di favorire le proprie aziende, di essere poco trasparente. Soprattutto, puntò il dito contro la Commissione europea, rea di «non essere all’altezza del compito», di non aver agito con forza sufficiente per proteggere ad esempio gli editori. Quelli tedeschi sono in primo piano da tempo per rivendicare anche il fatto che il motore di ricerca paghi per gli articoli che appaiono nelle sue ricerche.
Poco prima, a febbraio, il commissario uscente all’Antitrust, Joaquin Almunia, aveva accettato la terza proposta di Google di garantire la stessa posizione a tutti nelle ricerche, con la possibilità di favorire chi avrebbe pagato di più. Per le aziende europee che stanno muovendo contro il colosso di Cupertino, una soluzione inaccettabile. Soprattutto su pressione della Germania e della Francia, Almunia ha riaperto la procedura, poi ceduta alla sua erede, Margarethe Vestager, che dovrà prendere una decisione in merito. Su cui peserà, ovviamente, il voto di ieri del Parlamento europeo. Anche il governo tedesco ha aumentato le pressioni, ultimamente. A metà novembre il vicecancelliere e ministro dell’Economia Sigmar Gabriel (Spd) e altri tre colleghi hanno scritto una lettera a Bruxelles chiedendo che «venga analizzato in che modo per i motori di ricerca si possa introdurre una regolamentazione che vada al di là del divieto di cartello».
Uno dei due promotori della risoluzione approvata è proprio un tedesco e sul suo profilo non sono mancate le polemiche. Il collegio elettorale dell’europarlamentare Andreas Schwab (Cdu) è infatti Offenburg, dove è situato il quartier generale dell’altro grande gruppo editoriale con sede in Germania che sta muovendo da tempo, insieme ad Axel Springer, contro Google: Burda. Tra l’altro Schwab lavora per lo studio legale CMS Hasche Sigle, lo stesso di Ole Jani, il padre tedesco del “Leistungsschutzgesetz”, la legge che punta a proteggere gli editori chiedendo ai motori di ricerca di pagare per gli articoli pubblicati.
Sulla richiesta del Parlamento europeo – non vincolante – di spezzare Google, Schwab ha ammesso già giorni fa che «non è ancora chiaro come potrà essere eseguita». La palla ora passa alla Commissione europea. E la Vestager ha già detto che si prenderà tutto il tempo necessario per decidere.