La Stampa, 28 novembre 2014
Bruno Bozzetto premiato al Torino Film Festival ci racconta l’uomo medio, eroe di molte sue storie: «Il mio signor Rossi non sa più parlare senza telefonino»
Un signore decide di cucinare gli spaghetti alla carbonara. Non conosce la ricetta, prende il cellulare e telefona alla moglie per avere chiarimenti. Una, due, tre volte, fino a quando lei non decide di alzarsi dalla poltrona del salotto e raggiungerlo in cucina.
Bruno Bozzetto, che racconta la storiella, non ha dubbi: se dovesse inventare oggi un nuovo ciclo di avventure del Signor Rossi partirebbe «dall’alienazione da telefonino». E di cose da narrare ne avrebbe tante: «L’altro giorno ho visto cinque ragazzi seduti insieme in un bar, stavano uno di fronte all’altro e chattavano senza guardarsi in faccia... Ho dei nipotini che, per cambiare pagina, fanno scivolare il dito sul libro e si stupiscono perché non succede niente. Telefoni, tablet e il resto sono giocattoli nuovi, come era a suo tempo la tv, non abbiamo ancora capito come usarli».
Anche Internet non sempre aiuta. Anzi: «Io mi scoraggio, siamo immersi in un flusso ininterrotto di comunicazione, sappiamo tutto e invece non sappiamo niente. Se uno, al Polo Nord, dà un pugno alla zia, noi siamo immediatamente informati e subito dopo ci dicono anche come, perché, e che cosa ne pensano gli altri, sulla Rete». Così cadono le più granitiche certezze: «Sapevo che “Una mela al giorno leva il medico di torno”, di recente ho letto da qualche parte che mangiare troppe mele equivale a fumare un numero spropositato di sigarette».
L’uomo medio, quello che il famoso disegnatore ha raccontato con i suoi personalissimi tratti a partire dagli Anni Sessanta, era, e continua a essere, fragile, sovrastato dagli avvenimenti e dall’inarrestabile corsa del progresso: «Dal punto di vista umano nulla è cambiato, il fatto è che oggi ci sono troppe distrazioni».
E soprattutto, dice Bozzetto, troppo rumore: «Il silenzio è il modo migliore per riordinare le idee e farsele venire, l’uomo forzatamente distratto non riesce a confrontarsi con se stesso. Ovunque c’è sempre musica, ma vivere come in un film è alienante. Così stiamo perdendo l’abitudine di parlare con gli altri, e questa è una tragedia».
Se non ci guardiamo più in faccia, se non ci scambiamo sentimenti ed emozioni, diventa impossibile inventare, muoversi tra pieni e vuoti, tracciare linee che possono diventare tutto: «Mancano gli spazi bianchi, e la creatività si spegne. È tutto barocco, carico, anche al cinema, con tutti quegli effetti speciali».
Essere in troppi può far male: «Sono sempre stato appassionato di libri di etologia, se si aumenta il numero degli animali in una gabbia i comportamenti cambiano, l’uomo, in fondo, è come un topo, la sovrappopolazione sta deformando la nostra mente». Lui, che ha letto undici volte «Il deserto dei tartari» e quando è andato a vederlo al cinema è uscito dopo dieci minuti dalla sala («Me l’ero immaginato troppo bene, era come se l’avessi già visto»), ricomincerebbe dal futuro: «Sto preparando un lungometraggio, ho in testa una storia su una società tutta piena, occupata da macchine, cose, persone».
Il metodo di lavoro è sempre lo stesso: «Mi guardo intorno, sto attento a tutto, se trovo uno spunto che mi piace lo sviluppo, poi lascio sedimentare... Ci ritorno sopra dopo un po’ e, se mi piace ancora, vuol dire che funziona». Se dovesse fare un film sull’Italia di oggi, Bozzetto inizierebbe analizzando tutte le categorie, «quelli vessati, quelli che rubano» e tutte le angolazioni «l’Italia rispetto all’Europa, l’Italia nella Storia».
Ne verrebbe fuori un nuovo racconto, diretto ed essenziale, uguale a un signore di 76 anni, premiato in tutto il mondo, vitale come un ragazzino, e convinto che, per ritrovarsi, basterebbe fare due cose: «Guardare il cielo vale più che andare in chiesa, osservare le stelle ci fa capire chi siamo». La seconda è premiare chi vale: «Per far andare avanti il mondo, bisogna incoraggiare quelli che meritano. Al bambino che ruba la marmellata è giusto dare una sberla. L’etica purtroppo è diventata mimetica, e io invece sono per la meritocrazia».