la Repubblica, 28 novembre 2014
L’assalto al portavalori sull’A1, la rapina in autostrada che sembra un film di Hollywood. Tra Lodi e Piacenza seminati chiodi e tir dati alle fiamme per intrappolare un blindato con 5 milioni di euro. Sparatoria con armi da guerra, poi il furgone sfugge al colpo. Caccia al commando. Panico tra gli automobilisti e traffico in tilt per ore
È ancora buio sulla A1, alle 6.15 di ieri mattina, quando poco prima del casello di Lodi, in direzione Milano, si scatena un inferno. Armi da guerra e chiodi a tre punte sull’asfalto. Davanti agli occhi degli automobilisti fiamme e fuoco. «Era tutto giallo, mi sono trovato davanti a due colonne di fuoco altissime», racconta sull’autostrada, dove resterà bloccato per quattro ore, Walter Alisei, 55 anni, dipendente di un’azienda di Corsico. Era partito molto presto da casa, a Milano, doveva raggiungere Modena per lavoro. È l’uomo che ha chiamato il 115 chiedendo soccorso. «Ero terrorizzato». Il commando che voleva rapinare un portavalori del gruppo Battistolli, scortato da altri due furgoni blindati, era composto da almeno una quindicina di banditi, probabilmente italiani (testimoni li hanno sentiti urlare «state indietro, state indietro»). Aveva già provato il colpo con un primo blocco di mezzi incendiati sull’autostrada e dribblati dai blindati. Alle 6 passate, il secondo tentativo. Degno di un film. Due camion incendiati, uno a destra e uno a sinistra della carreggiata, e una macchina che bruciava in mezzo. Dopo avere allestito la linea di sbarramento infuocata, i banditi hanno preso a sparare. I colpi usciti da mitragliatori e fucili sono stati una trentina. Centrate le gomme di due dei tre mezzi, costretti a fermarsi. Le guardie giurate alla guida, però, erano riuscite a creare un varco per far sgusciare via il portavalori che trasportava oltre cinque milioni di euro, guidato da un 35enne che presta servizio presso la sede di Valenza Po del gruppo. Rimasti bloccati in quattro – due a bordo di ciascun blindato – i vigilantes sono stati circondati dai banditi, che, usciti da cinque macchine, hanno tentato l’assalto a volto coperto. Confidavano nel terrore delle guardie giurate, ma si sono scontrati con la loro professionalità: i vigilantes avevano dato l’allarme e azionato il sistema “spuma block” per far uscire dall’interno dei furgoni un liquido che solidifica attorno ai valori, avvolgendoli in sacchi di polimero inespugnabile. I vigilantes si sono abbassati tra i sedili e il cruscotto, per non guardare quello che accadeva: «Abbiamo sentito un fracasso, erano parecchi e avevano tante armi. Noi però eravamo tranquilli, sapevamo che i blindati hanno una tecnologia che protegge noi e il carico che trasportiamo». Alla fine i banditi hanno desistito perché stava passando troppo tempo. Fallito l’assalto, sono usciti dall’autostrada raggiungendo una provinciale attraverso un varco che si erano creati rimuovendo un pezzo di guard rail. Hanno abbandonato le macchine (tutte recuperate, ora allo studio della Scientifica) e a Graffignana in quattro hanno fermato una donna portandole via la sua Fiat Sedici e continuando con quella. Le telecamere di Autostrade per l’Italia potrebbero restituire immagini utili agli investigatori, la Squadra mobile di Lodi guidata da Alessandro Battista e la procura da Vincenzo Russo. Ci sono sospetti su un gruppo criminale pugliese che aveva colpito l’8 aprile 2013 sulla A9 a Turate (Como), rubando lingotti d’oro per milioni da un furgone, incendiando camion e lasciando chiodi sull’asfalto. Non tutti vennero arrestati, la banda potrebbe essere ancora attiva.
Simone Bianchin
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PRIMO punto: non c’è nulla di improvvisato. Quanto è accaduto ieri a Lodi è accaduto in passato (e spesso il colpo è riuscito) e accadrà ancora in futuro. «Perché l’Italia – ragione un investigatore che da tempo si occupa soltanto di assalti ai blindati – in questo momento è la patria alle rapine ai portavalori». Secondo punto: l’assalto di ieri non è un caso. A cambiare le carte in tavola sono state le nuove regole sul trasporto dei valori, spiega Vincenzo Del Vicario, segretario del Savip, sindacato autonomo della vigilanza privata. Il problema, spiega, è nato con la chiusura dei caveau periferici di Banca d’Italia: le giacenze di contanti sono state affidate a società private, costrette a spostare spesso il denaro. «Prima la legge imponeva che non si potesse viaggiare con più di 516 mila euro a bordo. Ora i massimali sono stati alzati e in media si gira con un milione e mezzo di euro. Inoltre, per ragioni di sicurezza spesso ci si muove in gruppo, ma l’effetto è che si rischia di più: in poche centinaia di metri viaggiano cinque-sei milioni di euro. È chiaro che tutto questo diventa interessantissimo per la criminalità organizzata, pronta anche a chiudere le autostrade per provare il colpo». Dell’allarme si sono accorte anche le assicurazioni, che da tempo quasi rifiutano di coprire il rischio di assalti. Anche perché «il sistema di schiuma block che dovrebbe rendere intrasportabili i soldi in caso di rapina – dice ancora Del Vicario – non funziona mai in questi casi». Le indagini che la Polizia sta conducendo da tempo hanno dimostrato che esistono veri e propri specialisti degli assalti: hanno una cultura della pianificazione elevatissima e non trascurano alcun dettaglio. Usano apparecchi elettronici per inibire le frequenze della Polizia, sono armati come in guerra, in alcuni casi hanno utilizzato addirittura elicotteri per seguire meglio i blindati. Conoscono abitudini delle aziende trasportatrici e vie di fuga. Le indagini hanno sempre dimostrato che il cuore del business è in Puglia, nella zona tra Foggia e Cerignola. Il questore del capoluogo, Vincenzo Silvis, ha raccontato così un assalto a un caveau di alcune settimane fa. «Una banda, probabilmente di cerignolani, di circa 20 persone, armate con armi lunghe, ha portato ben 19 mezzi pesanti, tutti rubati: camion, macchine, caterpillar, ruspe. Ha bloccato mezza città, incendiato mezzi, una volante è riuscita eroicamente a saltare il fuoco dei mezzi che bruciavano. Era una scena infernale. La volante si è trovata davanti una macchina che ha esploso 30 colpi di calibro 7,62 Nato. C’erano due macchine con due kalashnikov, i nostri due poliziotti hanno reagito con 38 colpi. Non è successo nulla, ma è stato solo un caso».
Giuliano Foschini e Fabio Tonacci