il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2014
Giorgio Albertazzi e l’amicizia con Beppe Grillo: «Sono fedele. Come elettore questa storia delle espulsioni mi sembra una cosa da vecchio Pcus. Non mi piace il sistema né il linguaggio. Grillo è cambiato anche nel modo di vestire. Renzi annuncia molto e conclude poco ma ha voglia di cambiare. E di cambiare abbiamo bisogno»
Il legame è il dentista di Pegli. Non è lì che si conoscono, Giorgio Albertazzi e Beppe Grillo, ma è in quella sala d’attesa che diventano amici. Il dentista che ritorna, perché anche Bersani, quando ancora sognava un suo governo di minoranza, è allo stesso odontoiatra che si rivolge per cercare di avvicinare Grillo. Albertazzi, il Maestro, è lì che diventa simpatizzante del Movimento 5 Stelle. Lo racconta lui al Fatto Quotidiano.
Miracoli dell’odontoiatria, Maestro?
«Non esageriamo. È un professionista di Pegli, ma da tempo immemorabile è il dentista degli attori e della gente dello spettacolo. Amico mio, amico di Grillo».
Vero che le piacque subito la declinazione politica di Grillo?
«Sì. Anche perché Grillo politico lo è sempre stato. Ha semplicemente affinato la tecnica, con il trascorrere degli anni. Ma il programma Te la do io l’America era già politico, una satira corrosiva».
Albertazzi è ancora amico di Grillo e suo grande elettore?
«Sono fedele. Come elettore questa storia delle espulsioni mi sembra una cosa da vecchio Pcus. Non mi piace il sistema né il linguaggio. Grillo è cambiato anche nel modo di vestire».
A cosa si riferisce?
«Se dico Grillo mi viene in mente Daniel Cohn-Bendit».
Quello che è stato il leader dei Verdi europei e nacque nel maggio 1968 come rivoluzionario?
«Sì, mi riferisco a lui. Con il tempo lo vidi cambiare Nell’atteggiarsi, ma anche negli abiti, come saliva in scena e non più sulle barricate».
Anche Grillo ha cambiato abito?
«Forse non l’atteggiamento, ma ha smesso gli abiti».
Cosa le imputa?
«Soprattutto la scelta della sua classe dirigente. Lasciata al caso. Ha pescato dei ragazzi intelligenti e preparati, altri no».
Dicono sia la democrazia ai tempi di Internet.
«La democrazia è una cosa seria».
Ha sentito delle espulsioni?
«Sono qui che seguo, non conosco ancora i risultati. Ma immagino che vada a finire come vuole lui».
Parlava di ragazzi: essere giovane basta per far politica?
«No, essere giovane è un grande vantaggio, ma non può essere un premio. Ci sono giovani preparati e altri incapaci».
Il suo giudizio è netto, ma quando parla di Grillo si vede che prova affetto...
«Me lo immagino. Perché gli voglio bene a prescindere. Ma non so se lo voterei ancora. Ha perso quello smalto iniziale. La politica è così, quando entri là dentro è come buttarsi in una vasca, inevitabilmente ti bagni. Lui portava lo spirito radicale, non nel senso pannelliano del termine, mi è piaciuta molto la sua operazione. Ma alla fine si è bagnato anche lui».
Lo facciamo il gioco della torre?
«Mi vengono in mente le serate con Luchino Visconti, comunista vecchio stampo. Era lui, dopo una giornata di lavoro, che iniziava con il gioco della torre. Si divertiva da matti, era la perfidia delle distrazioni serali. In genere finiva in una cosa tra registi, attori, produttori».
E quando toccava a lei?
«A volte in modo pavido provavo a tirarmi indietro. No, non potevo scegliere tra due amici. E così dicevo: Luchino, mi butto io. Ma non funzionava».
E allora chi butta tra Renzi e Grillo?
«Iniziale diffidenza, poi è prevalsa una certa toscanità. Io credo che ci sia una parte in Renzi molto spettacolare, che annuncia molto e conclude poco. Ma intimamente ha la voglia di cambiare. E di cambiare abbiamo bisogno».
Da grillino a renziano?
«No. Ho già detto che critico il Movimento 5 Stelle, ma non dispero».
Però qualcuno bisogna buttare.
«Facciamo così. Oggi, causa espulsioni, butto Grillo. Però mi tengo la possibilità di tornare indietro. L’espulsione mi riporta al significato di partito, non mi piace affatto. Se Grillo torna a fare l’arbitro e non il giudice resto con lui».