la Repubblica, 28 novembre 2014
Come spiegare a un figlio di dieci anni il verdetto di Ferguson? Prova a rispondere Michelle Alexander che ha portato avanti diverse class action per discriminazione razziale e scritto un libro sulle incarcerazioni di massa degli afroamericani
Mio figlio vuole una risposta. Ha 10 anni e vuole che gli dica che non ha motivo di preoccuparsi. È un ragazzo nero cresciuto in un contesto protetto e sa poco del mondo al di fuori del nostro quartiere, così sicuro e tranquillo. Ha gli occhi spalancati e mi guarda fisso, supplicandomi perché gli dica: “No, tesoro, non hai motivo di preoccuparti. La maggior parte dei poliziotti non sono come l’agente Wilson. Non sparerebbero, né a te né a nessun altro, mentre sei disarmato, stai correndo via o stai correndo verso di loro”. Le parole fanno fatica a uscirmi dalla bocca.
Negli ultimi anni ho raccontato gli orrori del nostro sistema di ingiustizia penale a chiunque fosse disposto ad ascoltare. Ho scritto e parlato a profusione delle guerre dichiarate contro le comunità povere di colore – la “guerra al crimine”, la “guerra alla droga” – della militarizzazione delle nostre forze di polizia, del percorso obbligato scuolaprigione, delle milioni di persone spogliate dei loro diritti, di un sistema penale che non ha precedenti nella storia umana. Eppure sono qui e non riesco a parlare.
Mio figlio vuole che gli dica che Darren Wilson andrà in galera. A 10 anni, sente nelle ossa che l’uccisione di Michael Brown da parte della polizia è stata ingiusta. «Ci sarà un processo almeno, vero mamma?». Mio figlio mi sta facendo una domanda semplice e io conosco la risposta. Wilson non andrà a processo né in prigione. Il sistema è truccato legalmente per fare in modo che poveri colpevoli di reati minori vengano condannati a decenni di prigione, mentre agenti di polizia che uccidono neri disarmati non vengono quasi mai incriminati, né tantomeno finiscono dentro.
Guardo mio figlio negli occhi e mi ascolto mentre comincio a mentire: «Non hai nulla da temere. A te una cosa del genere non potrà mai succedere». La sua faccia si illumina mentre mi dice che a lui la polizia piace e che saluta sempre gli sbirri che passano nel nostro quartiere. È felice di vivere in un mondo in cui può dare per scontato che la polizia è lì per proteggerlo.
Ho la faccia rossa per l’imbarazzo di avergli mentito. E sono arrabbiata di dover dire a mio figlio che ha motivo di preoccuparsi, che Wilson non andrà a processo, perché un poliziotto non viene quasi mai incriminato quando uccide uomini neri disarmati. Devo dirglielo adesso, prima che lo senta da qualcun altro o lo veda nei notiziari, prima che molte persone nella città di Brown saranno così traboccanti di dolore e rabbia, che potrebbero reagire facendo cose che non dovrebbero, come appiccare incendi, rompere vetrine o scatenare scontri.
So che devo spiegare questa violenza, ma non approvarla. Devo aiutarlo a capire che gli adulti spesso non riescono a gestire bene il loro dolore, proprio come lui. Comincio a dirgli la verità e l’innocenza che gli illuminava il volto sparisce mentre i suoi occhi lampeggiano, prima di paura e poi di rabbia. «No!», esplode. «Ci dev’essere un processo! Se uccidi un uomo disarmato non devi almeno essere processato?». Mio figlio ora mi sta dicendo che la gente a Ferguson dovrebbe reagire. Un minuto fa mi raccontava che saluta sempre il “poliziotto gentile”. Ora vuole spaccare tutto.
Gli dico che a volte anch’io provo questi sentimenti. Ma ora sono orgogliosa delle migliaia di persone di tutte le razze che scendono in piazza a manifestare in modo non violento, facendo sentire la loro voce con audacia e coraggio. Gli racconto storie di giovani attivisti che si sono beccati i gas lacrimogeni sventolando cartelli con su scritte tre parole: Black Lives Matter, la vita di un nero vale. Ne ho conosciuto alcuni, dico. Credono, come te, che dovremmo poter vivere in un mondo in cui si possa aver fiducia nella polizia e dove tutte le persone, non importa quale sia il colore della loro pelle, siano trattati con dignità, compassione e attenzione. Questi giovani coraggiosi sanno che la guerra, la violenza e la vendetta non costruiranno mai una nazione giusta.
Mio figlio dice: «In questo momento penso solo che voglio che una cosa del genere non succeda mai più». Sono tentata di dirgli che succederà; anzi, è già successa. Dopo il 9 agosto, quando Michael Brown è stato ucciso, la polizia ha sparato a molti altri uomini neri disarmati. Ma non dico altro. È molto più semplice raccontare la verità su razza e giustizia in America a degli estranei che a mio figlio, che presto sarà costretto a viverla.
(©2014 The New York Times Traduzione di Fabio Galimberti)