Corriere della Sera, 28 novembre 2014
Shock nel mondo del cricket: è morto Phillip Hughes, per colpa di una pallina che viaggiava a 145 chilometri all’ora. Colpito al collo, sotto l’orecchio sinistro, da un bouncer, il lancio più veloce che ha come obiettivo spalle e testa del battitore, si era rialzato, poi era entrato in coma ed era stato operato. Ma non ce l’ha fatta
Domenica avrebbe compiuto 26 anni e sperava di tornare in Nazionale per giocare, dal 4 dicembre, il test con le Indie Occidentali a Brisbane. Ma la carriera, i sogni, la vita di Phillip Hughes sono stati spezzati martedì scorso da una pallina che viaggiava a 145 chilometri all’ora. Colpito al collo, sotto l’orecchio sinistro, da un bouncer, il lancio più veloce che ha come obiettivo spalle e testa del battitore, Hughes non si è più rialzato ed è morto ieri, al St. Vincent’s di Sydney, dopo un intervento chirurgico d’urgenza e due giorni di coma indotto per «rottura dell’arteria cervicale».
«È uno choc aberrante, una giovane vita stroncata sul campo di cricket, il nostro sport nazionale. Hughes era amato, ammirato e rispettato dai compagni di squadra e dai tifosi» ha detto in televisione Tony Abbott, il primo ministro australiano. L’orazione funebre del capo del governo per la vittima di una tragedia che ha colpito al cuore tutto il Paese.
Hughes era nato a Macksville, sulla costa nord del New South Wales. Il padre, Greg, ha una piantagione di banane, la madre, Virginia, nata in Sicilia (Hughes aveva il doppio passaporto), si occupa della casa. Phillip se l’era sempre cavata bene nello sport e dopo essersi fatto notare nel rugby a XIII, aveva scelto il cricket arrivando in Nazionale nel 2009, a 20 anni. Martedì aveva già battuto 63 punti per South Sydney prima che il proiettile di sughero e cuoio lo uccidesse.
Hughesy, come lo chiamavano i compagni, non è il primo a morire sul campo di cricket. Il 27 ottobre di un anno fa toccò al sudafricano Darryn Randall, colpito alla testa. Due incidenti mortali in oltre 300 anni. Ma è bastata una nota della Masuri, l’azienda che produce il caschetto indossato da Hughes, per innescare la polemica: «Non portava l’elmetto di ultima generazione». «I modelli più recenti hanno la griglia rinforzata e proteggono un po’ di più la testa – ha cercato di spiegare a una nazione attonita e impietrita Edouard Ferdinands, professore di biomeccanica dell’Università di Sydney —, ma Hughes è stato colpito al collo e non esistono caschi che proteggono il collo. Ci sono aziende che stanno lavorando su un elmetto interno, e lo studio per alzare gli standard di sicurezza è continuo, in tutti gli sport, ma un margine di rischio purtroppo esiste sempre. Un battitore rischia di essere colpito dalla palla: in teoria, per eliminare ogni pericolo, dovrebbe indossare un casco integrale, ma a quel punto non riuscirebbe più a battere. Hughes è stato molto sfortunato, la sua morte è una tragica fatalità».