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 2014  novembre 28 Venerdì calendario

È morta P. D. James, la Lady del thriller. Dei suoi 94 anni, una settantina li aveva trascorsi tra delitti, misteri e una fede incrollabile nella deduzione. Firmò una ventina di gialli e considerava Agatha Christie una scrittrice modesta

Corriere della Sera
Dei suoi 94 anni, una settantina li aveva trascorsi tra delitti, misteri e una fede incrollabile nella deduzione. P. D. James, scomparsa ieri a Oxford, prima di diventare la baronessa Phyllis Dorothy James di Holland Park (titolo ottenuto nel 1991 quando la Regina la nominò Pari del Regno e le assegnò un seggio alla Camera dei Lord), aveva iniziato lavorando al Dipartimento di polizia e criminologia del ministero dell’Interno. Lì aveva prestato servizio per quasi trent’anni.
Minuta, capelli bianchi tagliati corti e maniere dolci, ha scritto una ventina di gialli, quattordici dei quali con protagonista Adam Dalgliesh, poliziotto gentile di Scotland Yard, poeta a tempo perso, comparso per la prima volta nel romanzo d’esordio, Copritele il volto (1962). Dalgliesh era accomunato dalla sensibilità e da un certo tormento a un altro personaggio creato da P. D. James, Cordelia Gray, forse la prima investigatrice privata della letteratura gialla che però durò soltanto due libri: quando l’attrice che la impersonava nella serie tv restò incinta, la scrittrice capì che per lei non ci sarebbero state altre indagini. «Ho dato a Dalgliesh le qualità che ammiravo in un uomo – avrebbe spiegato anni dopo – perché speravo che potesse diventare un personaggio ricorrente. L’ho voluto coraggioso ma non troppo, comprensivo ma non sentimentale, intelligente e con un’infuocata passione per la poesia metafisica inglese». Il successo vero, internazionale, sarebbe però arrivato soltanto nel 1980 con Sangue innocente e senza Dalgliesh: «Il lunedì la settimana cominciava come al solito. Il venerdì ero milionaria» avrebbe commentato anni dopo con un certo distacco ironico.
Definita l’«unica vera erede di Agatha Christie», P. D. James ha sempre rifiutato l’ascendenza, considerandola una scrittrice modesta. Qualche anno fa aveva regolato i suoi conti con la creatrice di Poirot in un saggetto perfido e intelligente dedicato alla detective fiction dove la inchiodava a una sostanziale incapacità di penetrazione psicologica. Definì i cattivi di Agatha Christie personaggi disegnati con «un unico largo tratto di penna», cosa che avrebbe permesso loro di godere di un’universalità che tutti i lettori del mondo potevano condividere. Aveva preferito, in ultimo, pagare il suo tributo a quella che definiva la sua «maestra e compagna di strada»: Jane Austen, il nume sacro della letteratura inglese che non aveva mai finito di leggere. «L’aspirazione è avere come modello Jane Austen per la trama, Graham Greene per lo stile ed Evelyn Waugh per i dialoghi», disse qualche anno fa al Festival di Mantova.
Così nel 2008 con La paziente privata (delitto nella clinica di chirurgia estetica), abbandona Dalgliesh al suo destino (perfida, lo fa innamorare) e si mette a lavorare al sequel di Orgoglio e pregiudizio. Si applica all’impresa col solito rigore, studiando e cercando di riproporre anche nel linguaggio una versione coerente con l’originale. Nel 2011 esce Morte a Pemberley che riapre casa Darcy, sei anni dopo le nozze. Elizabeth, madre felice di due figli, regna sulla magione e mentre fervono i preparativi per il primo ballo della stagione arriva la notizia di un omicidio, portata, tanto per essere filologici, dalla sciagurata sorella Lydia. Brillante e sempre con la battuta pronta, P. D. James ha ricoperto vari incarichi, vinto numerosi premi e partecipato, fino alla fine, a congressi, dibattiti televisivi, tavole rotonde con altri scrittori: «Ogni evento a cui ho partecipato con lei era una gioia» ha twittato ieri lo scrittore scozzese Ian Rankin.
Ma la sua vita non è sempre stata facile e molto di quello che aveva vissuto ricadeva nelle trame. Figlia di un esattore delle tasse e di un’insegnante, abbandona la scuola a 16 anni. A venti è già sposata e quando il marito torna dalla guerra con seri disturbi psichici si ritrova a dover provvedere da sola al mantenimento delle due figlie.
La scrittura di romanzi di genere («purtroppo ho aspettato quarant’anni prima di farlo. Mi sembrava di non avere tempo, c’erano sempre cose da fare») inizia come una forma di apprendistato verso la scrittura alta, ma non considerava il giallo un genere minore: «Sono giunta alla conclusione che si può scrivere dentro i confini della detective story ed essere comunque considerata una scrittrice seria, capace di dire qualcosa di vero riguardo agli uomini e alla società in cui vivono». Nel 1992 aveva fatto anche un rapido passaggio nella distopia e anche quello era stato un successo: I figli degli uomini era diventato un film diretto da Alfonso Cuaròn apprezzato dalla critica. Nel 2001 in Morte in seminario aveva portato Dalgliesh a indagare sull’omicidio di un arcidiacono in un seminario della Chiesa d’Inghilterra. D’altronde P. D. James si è sempre calata volentieri nelle cronache del suo tempo. E soprattutto non ha mai garantito che i colpevoli venissero puniti.

Cristina Taglietti

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la Repubblica
La piccola donna dall’aspetto mite e dai modi gentili, che per mezzo secolo ha raccontato l’arte feroce del delitto, se n’è andata senza fare rumore. Phyllis Dorothy James, meglio nota con le iniziali di P.D., è scomparsa ieri a 94 anni nella sua casa vicino a Oxford, «pacificamente», precisa il suo agente, come se dalla “Signora Omicidi”, il suo soprannome, ci fosse da aspettarsi un finale drammatico anche nella realtà. Considerata l’erede di Agatha Christie, era probabilmente la più nota autrice contemporanea di gialli in lingua inglese.
Ha venduto decine di milioni di copie in tutte le lingue, pur avendo pubblicato il primo romanzo quando aveva già 42 anni e raggiunto il successo autentico soltanto un decennio più tardi. Ma ha avuto una lunga vita e il tempo di prendersi tante soddisfazioni, scalando la classifica dei bestseller praticamente in tutti i paesi in cui è stata tradotta e vedendo le sue opere portate innumerevoli volte sul piccolo e sul grande schermo. Era nota soprattutto per la serie sull’ispettore Adam Dalgliesh, per thriller come Morte sul fiume, Una mente per uccidere, Una certa giustizia ( tutti usciti in Italia con Mondadori), ma si è distinta anche per un romanzo utopista come I figli degli uomini ( arrivato con lo stesso titolo al cinema qualche anno fa) e per un “sequel autorizzato” (dagli eredi) di Jane Austen, autrice che amava molto.
Fino alla mezza età la “gran dama del mistero”, un altro dei suoi nomignoli, si fece le ossa come impiegata del ministero degli Interni, prima nell’ufficio giudiziario, quindi in quello criminale, esperienza che le risultò estremamente utile per la sua seconda vita di scrittrice. Ma scrivere era sempre stato il suo sogno, la sua passione. «Con la vecchiaia diventa più difficile, ma quando sei uno scrittore non puoi fare altro che scrivere e così continuo a farlo», aveva detto l’anno scorso alla Bbc, annunciando che stava portando avanti un’altra detective story. «Lavorare con lei era una gioia», ha dichiarato in un comunicato il suo editore inglese Faber & Faber, «è stata una delle scrittrici più importanti del nostro tempo e ci mancherà moltissimo».
I colleghi giallisti di lingua inglese esprimono sentimenti analoghi. «Era intelligente, spiritosa ed allegra, è sempre stato un piacere incontrarla», dice Ian Rankin. «Vorrei ringraziarla per avermi incoraggiato a scrivere ai miei inizi», commenta dall’America Patricia Cornwell. «Era un esempio di come il noir possa diventare letteratura, scriveva benissimo e avrebbe dovuto vincere il Booker», il più prestigioso premio letterario britannico, osserva A.S. Byatt, una che quel premio lo ha vinto. E tuttavia i riconoscimenti non le sono certo mancati, dal premio alla carriera della Crime Writers Association nel 1987 alla Medal of Honour for Literature nel 2005, senza dimenticare che nel 1991 è stata nominata membro della camera dei Lord, diventando la “baronessa James di Holland Park”.
Proprio a Holland Park, il quartiere londinese dove aveva una casetta e risiedeva spesso, andai a intervistarla per Repubblica cinque anni or sono. «Le regole per scrivere un buon giallo sono scrivere bene, avere un trama forte e una costruzione ben oliata», disse servendo un tè in salotto. «La mia aspirazione è avere come modelli Jane Austen per la trama, Graham Greene per lo stile ed Evelyn Waugh per i dialoghi, tre scrittori che ho amato molto e che mi hanno molto influenzata». Domandai il suo giudizio su Agatha Christie, la maestra del giallo a cui veniva spesso paragonata: «Non la metterei in una categoria molto alta come scrittura, ma era bravissima a costruire un puzzle perfetto», rispose, «le sue trame erano poco realistiche ma era lo stesso un formidabile intrattenimento, e poi ha creato un paio di personaggi di grande fascino come Poirot e Miss Marple ». Aggiunse che, tra i due, lei prediligeva la seconda.
Raccontò che, per i suoi romanzi, partiva da un’idea o da una località, tracciava uno schizzo della trama, faceva ricerche per un anno e poi scriveva a mano la prima stesura, che dettava quindi alla sua «fedele segretaria», per infine correggere e riscrivere il dattiloscritto stampato. Un metodo da era pre-internet, da cui non si era mai discostata. «L’Inghilterra è molto cambiata rispetto alla mia gioventù», affermò prima che ci lasciassimo. «In meglio, perché allora c’era una miseria terribile, ricordo bambini che sgomitavano per un pezzo di pane; in parte in peggio perché oggi è un paese meno gentile e più diviso. Ma resta pieno di stimoli per uno scrittore: puoi imbatterti in un’idea per un romanzo a ogni angolo. Come è capitato a lei, poco fa, suonando il campanello sbagliato nella casa accanto». Mi aveva risposto, in russo, la guardia del corpo di qualche milionario di Mosca. «Non penseranno che lei è andato lì per errore, l’avranno seguita fin qui, adesso la pedineranno», osservò divertita, quando glielo raccontai. La Signora Omicidi era già pronta a confezionare un nuovo giallo.
Enrico Franceschini

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La Stampa
Phyllis Dorothy James, baronessa di Holland Park, morta serenamente nella sua casa di Oxford all’età di 94 anni, pubblicò il suo primo romanzo nel 1962, quando già aveva 42 anni e baronessa non era. Era un’impiegata, lavorava nell’amministrazione di un ente ospedaliero e aveva una famiglia da mantenere (due figlie e un marito da tempo ricoverato in un ospedale psichiatrico). Ma aveva trovato il tempo e l’ispirazione per scrivere un giallo, Copritele il volto. Fu un vero successo. Il libro piacque molto e altrettanto piacque il suo protagonista, l’ispettore di Scotland Yard Adam Dalgliesh, che era quasi l’opposto dell’agente James Bond che proprio quell’anno trionfava sugli schermi di tutto il mondo grazie al fascinoso Sean Connery di 007 licenza di uccidere.
Dalgliesh era una figura rassicurante, il poliziotto su cui contare perché le persone per bene possano sentirsi tranquille e protette dalla legge: un uomo coraggioso e intelligente, ma anche comprensivo, delicato, sensibile. Un ispettore-poeta, si disse. Dalgliesh (cognome scozzese che dovrebbe essere pronunciato «delglìsc») divenne il protagonista di altri 13 gialli, l’ultimo dei quali fu pubblicato nel 2008.
Quell’ispettore non sarà Poirot e P. D. James non sarà Agatha Christie. Ma certamente detective e scrittrice non sono lontani da queste due icone della detective story inglese. E, almeno nel Regno Unito, grazie agli adattamenti televisivi la loro notorietà non è di molto inferiore a quella della Christie e di Poirot.
Molti dei gialli di P. D. James hanno per sfondo gli apparati burocratici britannici, in particolare quelli di cui l’autrice aveva esperienza diretta, quelli della Sanità Pubblica e dell’amministrazione giudiziaria (dopo la morte del marito, e fino al 1978, P. D. James lavorò infatti al Ministero degli Interni). Molti, soprattutto, toccano i grandi temi che preoccupano e interessano l’opinione pubblica, la droga, i pericoli del nucleare, dando ad essi una dimensione di attualità e di serietà: l’indagine non si muove in un mondo di fantasia (alla Fleming / James Bond) o in un mondo «privato» (alla Christie), ma nel mondo reale con i suoi problemi reali. In alcuni degli ultimi, per la verità, l’ambiente era più chiuso, ristretto, forse anche come conseguenza del suo relativo ritirarsi dalla scena pubblica anche per ragioni d’età.
Ma sia nei primi che negli ultimi suoi lavori, mai si dimenticava del fatto che, naturalmente, un giallo è un giallo. E P. D. James non solo non ambiva a modificare le regole del genere, ma addirittura, come scrisse nel suo libro A proposito del giallo, pensava che tutto sommato bisognasse attenersi ad almeno alcune di quelle che nel lontano 1929 aveva enunciato il teologo e scrittore Ronald Knox. Magari non quella per cui «non devono comparire dei cinesi»; ma sicuramente quella per cui il detective «non deve giovarsi di un’intuizione inspiegabile» e, soprattutto, «non deve raccogliere indizi che non siano subito messi a conoscenza del lettore».
La Baronessa Phyllis Dorothy James, di famiglia modesta, che aveva frequentato la scuola solo fino all’età di sedici anni per andare a lavorare, era però una convinta sostenitrice delle posizioni del Partito Conservatore. E come tale sedette nella Camera dei Lords, dove la regina Elisabetta l’aveva insediata nel 1991, (E, in particolare, si rese protagonista di una campagna clamorosa contro alcuni boss della Bbc).
P. D. James non scrisse soltanto i gialli con protagonista l’Ispettore Dalgliesh, ma anche quelli con protagonista Cordelia Gray; e un romanzo distopico, I figli degli uomini, pubblicato nel 1992, che fu adattato per il grande schermo e nel 2006 divenne il film diretto da Alfonso Cuarón, con Julianne Moore e Michael Caine.
E infine, a conclusione della sua lunghissima carriera di scrittrice, nel 2013, scrisse un anomalo giallo, Death Comes to Pemberley, che prende spunto dai personaggi di uno dei romanzi più popolari e più amati di tutta la letteratura inglese: Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. Milioni di lettori e di lettrici sanno che, alla fine del romanzo, Elizabeth e Darcy si fidanzeranno. Diventeranno marito e moglie, avranno dei bei bimbi, vivranno felicemente nella loro bella magione nella campagna inglese. Ma a quel punto, immagina P. D. James, in quel luogo di pace avviene un delitto. E qui scatta il giallo. In una deliziosa e autoironica dichiarazione , la «baronessa del delitto» (così fu battezzata dai media inglesi) chiese scusa a Jane Austen per avere immaginato una storia del genere. «Mai la Austen l’avrebbe scritta - dichiarò P. D. James -. Ma se l’avesse fatto l’avrebbe certo fatto meglio».
Paolo Bertinetti