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 2014  novembre 28 Venerdì calendario

«Occorre una rete di protezione europea per i debiti sovrani» ha fatto sapere il presidente della Bce Mario Draghi. «Bisogna condividere i rischi degli shock altrimenti avremo recessione e spinte secessionistiche». Il banchiere pensa forse agli eurobond? Vuole per caso dire che non bastano gli attuali meccanismi di difesa?

«Una qualche forma di rete di protezione per il debito sovrano potrebbe essere utile», sostiene il presidente della Bce, Mario Draghi parlando all’Università di Helsinki. E questo accenno, volutamente tenuto nel vago, finisce per sollevare una serie di punti interrogativi. Il banchiere pensa forse agli eurobond? Vuole per caso dire che non bastano gli attuali meccanismi di difesa? Draghi non aggiunge una sola parola, sul punto. Ma è dal senso complessivo del suo discorso che emerge altro.
C’è scritto per esempio che i paesi che fanno parte dell’area euro «devono investire di più in altri meccanismi per condividere i costi degli shock». E ancora: che «una qualche forma di condivisione dei rischi è essenziale per ridurre il costo dell’aggiustamento ed evitare che le recessioni lascino ferite profonde», o anche per «scongiurare tentazioni secessionistiche». Al dunque, in un discorso che appare complementare a quello di Jackson Hole, dove apriva a politiche monetarie e di bilancio espansive, Draghi lancia l’«Unione di bilancio».
Il suo ragionamento, sempre molto cauto per via degli «svariati rischi di peggioramento» che incombono su Eurolandia, parte da quello che lui stesso definisce un «equivoco», o anche «il fraintendimento» di chi sbagliando pensa che l’unione economica non sia una unione politica. Quindi ricorda che in tutte le economie nazionali «i trasferimenti di bilancio permanenti avvengono dalle regioni più prospere a quelle più depresse, dalle aree più densamente popolate a quelle meno abitate, dalle aree più ricche di risorse naturali a quelle meno dotate». Accade negli Usa, ma anche in Germania, Italia, Finlandia. Questi trasferimenti di bilancio, «purchè restino equi», spesso aiutano «a cementare la coesione sociale e a scongiurare tentazioni secessionistiche». Ma dentro Eurolandia uno strumento del genere non c’è, non è previsto. Per questa ragione i paesi dell’euro «devono investire maggiormente in altri meccanismi per ripartire il costo degli shock». Naturalmente molti di questi scossoni si possono prevenire con «politiche giuste». Ma per altri shock «l’aggiustamento interno sarà in genere più lento rispetto a una situazione in cui i paesi sono in grado di correggere subito i prezzi relativi attraverso il proprio tasso di cambio». Ecco, proprio «in queste circostanze una qualche forma di ripartizione del rischio oltre i confini nazionali è essenziale per contribuire a ridurre i costi di aggiustamento in quei paesi». Ma anche per evitare «che le recessioni lascino segni profondi e indelebili».
Rete di protezione del debito sovrano, condivisione dei rischi, unione di bilancio e, non ultimo, maggiore condivisione di sovranità attraverso un “salto in avanti dalle regole comuni verso istituzioni comuni”: un tasto, quest’ultimo, molto caro a Berlino e alla signora Merkel in particolare. Draghi ripete ancora una volta – e gli osservatori vi notano una risposta a Weidmann – che il consiglio della Bce all’unanimità ha deciso di usare ulteriori strumenti non convenzionali, se mai servissero. Di nuovo puntualizza che una task force di tecnici è già al lavoro per studiare eventuali nuove misure contro il rischio deflazione. Anzi, proprio il calo dell’inflazione in Spagna e Germania, secondo gli operatori di mercato, avvicina sempre di più la nuova mossa della Bce, sul modello del quantitative easing americano. Per l’ennesima volta Draghi insiste sul fatto che la Bce da sola non può farsi carico della crescita. Bisogna invece che «tutti gli attori politici» a livello nazionale ed europeo facciano la loro parte»: da questo punto di vista è benedetto il piano – investimenti di Juncker.
Conti pubblici solidi non bastano contro la crisi, argomenta Draghi. Per diradare le nubi sul futuro della moneta unica, occorre che ciascuno abbia un vantaggio a restare nell’euro, attraverso «qualche forma di condivisione del rischio fra Paesi». Di qui l’idea di una «rete di protezione per il debito sovrano».