il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2014
Il segreto del complotto perfetto? Non fornire prove. Al tempo delle Br e della Banda Baader-Meinhof dilagava la tesi del Grande Vecchio. Adesso arriva Gioele Magaldi con il suo libro Massoni, società a responsabilità illimitata. Sostiene di possedere una poderosa documentazione, ovviamente nascosta
Gli amici te li scegli ma i parenti no. Ci ho pensato spesso quando, in riunioni familiari, ho ascoltato in silenzio perentorie affermazioni sulle scie chimiche, quelle strisce bianche frutto della condensazione che si forma in alta quota sulle ali degli aerei e che sarebbero effetto di esperimenti condotti da imprecisate società (sempre partecipate dalla Cia) con micidiali armi chimiche. Oppure quando mi hanno informato sulla riconducibilità alle MULTINAZZZIONALI (quali non è mai stato specificato) di ogni nequizia politico-sociale-ambientale; qui ciò che mi disturbava non era tanto la tesi (l’inquinamento ambientale è certamente da imputare alle grandi società di estrazione; e anche qualche colpo di Stato) ma l’arrogante certezza disinformata di chi la sosteneva.
E anche quando mi hanno contestato (come se fosse colpa mia) il Tso imposto a un pm di Roma, Paolo Ferraro, che indagava su un presunto Progetto Monarch, un complotto della massoneria e di sette esoteriche in ambienti politici, militari, finanziari e radicato – manco a dirlo – anche nella magistratura; qui, contravvenendo a una regola che mi ero imposto di osservare, ho rotto il silenzio per precisare: «Guarda che l’hanno sospeso dalla magistratura per infermità mentale». «Ovvio (sorriso di scherno), bisognava impedirgli di arrivare fino in fondo».
Questa mania del complottismo è molto antica. Mi ricordo, al tempo delle Br e della Rote Armee Fraktion (meglio conosciuta come Banda Baader-Meinhof), del dilagare della tesi del Grande Vecchio. Dovunque si leggeva di questa figura occulta, di volta in volta un uomo solo al comando o una ristretta cerchia di onnipotenti, che controllava e utilizzava per i suoi scopi occulti il terrorismo internazionale. Gli scopi occulti non si sapeva quali fossero (la destabilizzazione, certo. Ma in favore di chi? E per ottenere cosa?) però, che esistesse, i complottologi lo sapevano per certo. Come facevano a saperlo restava oscuro; ma lo sapevano. Quando arrivò Licio Gelli questa gente ebbe un orgasmo: eccolo il Grande Vecchio. Ma poi nemmeno lui gli bastò; dietro c’era sicuramente qualcun altro.
Adesso arriva Gioele Magaldi con il suo libro Massoni, società a responsabilità illimitata – La scoperta delle Ur-Lodges (Chiarelettere). La saga delle saghe: la massoneria, le super logge, la Trilateral, il Bilderberg e l’elenco infinito degli affiliati, da Lenin a papa Giovanni XXIII, da Osama bin Laden a Mario Monti, da Merkel a Draghi (che fanno finta di litigare e che in realtà si spartiscono il mondo). Quando ne ho letto su Il Fatto, mi è venuto in mente Cesare Pascarella (La scoperta de l’America), quando fa dire a uno degli avventori dell’osteria dove il narratore racconta le gesta straordinarie di Cristoforo Colombo: “Ma ’bi pazienza, fermete un momento... – Ma ste fregnacce tu come le sai?”. Perché Magaldi – secondo me – un problema ce l’ha. Documentazione niente. Lui dice che possiede tonnellate di documenti, nascosti in luoghi sicuri tra Londra, Parigi e New York. Perché non in un garage della Garbatella a Roma non si sa. Mi ricorda un tipo con cui ebbi a che fare quando ero pm, Igor Marini, quello che sosteneva che Prodi, Dini e Fassino avevano preso tangenti in occasione dell’acquisto di un pacchetto di azioni di Telekom Serbia da parte di Telecom Italia. “Ho tutte le prove”. “Va bene, dove sono?” “In una cassaforte del notaio X (non mi ricordo il nome) a Lugano”. Mi disse pure che era morto in un incidente di deltaplano ma che lui sapeva per certo che lo avevano ammazzato. “Adesso la cassaforte sta negli archivi notarili”. Cominciai a organizzare una rogatoria internazionale, ma fui preceduto dalla Commissione di inchiesta parlamentare che mandò alcuni dei suoi membri in missione segreta a Lugano; tanto segreta che gli svizzeri non ne sapevano niente. Motivo per cui li arrestarono tutti. Naturalmente nella cassaforte non c’era niente. “Però conservo altri documenti in un locale segreto che si trova nell’hotel Columbus in via della Conciliazione a Roma”. Così, imperterrito, mi disse Marini. “Passate di qua, salite di là, aprite quella porta...”. Non c’era niente, solo un antico muro di mattoni spesso due metri. Conclusi che si trovava bene in galera.
Magaldi, anche lui, ha la risposta pronta: “Non li ho pubblicati perché sono migliaia; sarebbe venuta fuori un’antologia di migliaia di pagine”. Se la cavava meglio il narratore di Pascarella: “Eh, le so (le fregnacce) perché ci ho bona memoria. – Già! Te ce sei trovato! Che significa? – Le so perché l’ho lette ne la storia. – Ne la storia romana? È naturale. – Ne la storia più gran-ne e più magnifica, – Che sarebbe er gran libro universale”.
Per carità, magari Magaldi sa davvero tante cose. Lui – dice – ha bazzicato con i potenti; e io più che qualche processetto... Però sputtanare tanta gente non è una cosa bella. Lenin mi è sempre stato simpatico e anche Papa Giovanni. Pure Merkel e Monti mi sembrano brave persone (anche se a Il Fatto arriveranno migliaia di lettere di italiani indignati che ce l’hanno con loro). Quello che proprio non mi va giù è sbattere Draghi in prima pagina: un orgoglio per l’Italia, un signore che si trova a gestire la più grande crisi economica della storia e che quotidianamente deve combattere (davvero, altro che per finta) con i Paesi ricchi che non hanno pietà di quelli poveri. Almeno con riferimento a Draghi uno straccio di prove le vorrei proprio vedere. Come si dice, le chiacchiere stanno a zero.