il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2014
Matteo Salvini, il leader nuovo con il vizio antico di pensare prima alla famiglia. Eletto a 21 anni, ha portato la prima moglie a lavorare in Consiglio comunale a Milano. La seconda è finita in Lombardia con Maroni. E a Bruxelles si portò un Bossi
Gli immigrati vanno cacciati perché creano degrado, professa Salvini, ma a volte anche buoni affari. Il leader del Carroccio lo sa bene visto che ha acquistato un appartamento nel cosiddetto fortino milanese di viale Bligny 42 per appena 40 mila euro. Lui ovviamente non ci vive. È, appunto, un investimento.
La zona è quella dei Navigli e con una cifra simile non ci si compra neanche una cantina, ma al civico 42 vivono 700 stranieri, è saltato fuori l’affare e Salvini ci si è avventato. Perché lui, in fondo, è renziano: conta ciò che si dice in tv, i fatti rimangano marginali. Come le invettive contro i meridionali, dipinti come maniche di raccomandati nelle strutture pubbliche, o gli strali schifati nei confronti delle parentopoli della casta.
Poco conta che lui abbia fatto lavorare prima sua moglie Fabrizia Ieluzzi per dieci anni al Comune di Milano, quando lui a Palazzo Marino era consigliere, e poi abbia fatto assumere l’attuale compagna, Giulia Martinelli, in Regione dall’amico Roberto Maroni con un compenso che sfiora i 70 mila euro annui. Ma in Padania le parentopoli non esistono. Poi, certo, arriva la Corte dei conti e scopre che l’ex capogruppo leghista al Pirellone, Stefano Galli, con i soldi della Regione ha pagato anche il pranzo di nozze della figlia (soldi poi restituiti) e concesso una consulenza al genero. O la procura che rinvia a giudizio l’intero gruppo consiliare per le cosiddette spese pazze e salta fuori che tra i rimborsi fantasiosi contestati dai magistrati ai leghisti lombardi ci sono anche numerose ricevute di pasti consumati nei pub della catena Brando di cui è comproprietaria Giulia Martinelli. Anche lei, come il compagno, ha fiuto per gli affari.
Lui però eccelle nel settore politico. È entrato nei Palazzi nel 1993 senza mai uscirne. Ventidue dei suoi 41 anni li ha trascorsi da eletto. Più della metà dell’esistenza l’ha vissuta stipendiato dai contribuenti. Che a volte gliene hanno pagati pure due, di stipendi. Salvini entra in consiglio comunale a Milano nel 1993 e ne esce solamente nel 2012. Nel frattempo, dal 2004 in poi, siede anche al Parlamento europeo. E la busta paga che arriva da Bruxelles ammonta a circa 18 mila euro al mese. In dieci anni, con un rapido calcolo al ribasso, Salvini ha ricevuto dalla Comunità più di 2 milioni di euro. Certo, per conquistarsi quel seggio ha dovuto crescere a pane, Padania e acqua del Po. Dietro a Umberto Bossi dal 1990, fedele e silente, amico del Trota Renzo e di tutta la famiglia.
Quando nel 2004 Salvini sbarcò per la prima volta a Bruxelles scelse come suo portavoce Franco Bossi, il fratello “sfortunato e poco sveglio” di Umberto, diceva il Capo. Della delegazione padana faceva parte anche Riccardo, il primogenito del Senatùr. E già allora Salvini, da direttore di Radio Padania Libera, sparava a zero contro il clientelismo in terronia e le assunzioni nel pubblico di amici e parenti.
Ma la coerenza in via Bellerio è un principio saldo come i confini della Padania. Scivolati dal Po ai piedi dell’Etna. Cambiare idea è lecito. Salvini è passato dalla secessione all’unità d’Italia, dal “Napoli merda” al “viva il Vesuvio”. Ma soprattutto è riuscito, in poco più di dieci anni, a coprire l’intero asse sinistra-centro-destra. Entrato nella Lega nel 1990, nel 1997 ha dato vita ai Comunisti Padani dicendo di voler sviluppare “il progetto di Bertinotti al Nord”, ha poi lasciato la spilletta di Che Guevara che era solito portare sul bavero della giacca per sposare le tesi della famiglia Le Pen (che invece da generazioni l’idea non l’hanno mai cambiata) e ora partecipa a dibattiti circondato da busti e poster del Duce in compagnia dei suoi nuovi alleati: Casa Pound. Ormai c’è una sorta di sodalizio: le nostrane teste rasate, infatti, si prestano a fare anche servizio d’ordine ai comizi leghisti. L’ultima occasione? A Roma la settimana scorsa per la visita dell’ideologo, nonché tutore di Salvini in Ue per oltre dieci anni, Mario Borghezio. Le radici sono importanti.
E per quanto Salvini non sia mai riuscito, nonostante la devozione mostrata, a entrare nelle grazie del vecchio capo, Umberto Bossi, che per farsi tenere il posacenere ha sempre preferito altri come l’ex governatore in mutande verdi Roberto Cota, il Matteo padano ci tiene alla coerenza leghista. Anche negli studi, per dire, ha tentato di seguire le orme del leader: iscritto alla facoltà di Storia ha pagato le tasse per 16 anni consecutivi per poi rinunciare. Ma senza fingere di essersi laureato, cosa che invece Bossi ha fatto per due volte.
Ma se il Senatùr è passato alla storia per aver dato vita a un movimento identitario e ideologico, Salvini sarà ricordato per colui che quel partito lo ha azzerato: le casse di via Bellerio sono infatti in profondo rosso, il giornale la Padania il primo dicembre stamperà l’ultimo numero e tutti i 71 dipendenti del Carroccio sono stati appena spediti in cassa integrazione. Eppure, nonostante i drammatici conti del partito, Salvini ha deciso di rinunciare a costituirsi parte civile contro l’ex tesoriere Francesco Belsito.
Quello che in dieci interrogatori ha raccontato di aver dato soldi in nero a tutti i vertici del partito, di ieri e di oggi. Per carità: al processo dovrà dimostrare tutto. E Salvini ora ha altro di meglio da fare. Travestire di nuovo il vecchio Matteo.