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 1984  maggio 25 Venerdì calendario

Inchiesta Ambrosoli, fu Sindona ad ordinare l’omicidio (articolo del 25/5/1985)

Ecco le prove che accusano Michele Sindona dell’ omicidio di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca privata italiana assassinato a Milano da un killer il 12 luglio 1979. Mentre l’ inchiesta milanese è alle ultime battute, e i suoi atti sono quindi ancora coperti dal segreto istruttorio, queste prove sono pubbliche negli Stati Uniti. Chiunque può rivolgersi al tribunale distrettuale di Brooklyn e ottenere copia degli atti che hanno fatto decidere al giudice Leo Glasser di concedere l’ estradizione di Michele Sindona in Italia. Si tratta di prove chiare, complete, inequivocabili, che costituiranno l’ ossatura del processo italiano, quando il Parlamento avrà finalmente approvato il nuovo trattato di estradizione che consente il "prestito" del bancarottiere alla Corte d’ Assise di Milano. Queste prove sono state raccolte e ordinate dai giudici milanesi con una procedura il più possibile vicina a quella statunitense, per accelerare il processo di estradizione. Ecco così che questi documenti si sono fatti stringati, asciutti, senza ombra di quella farraginosità di cui spesso le carte giudiziarie italiane abbondano. Michele Sindona ne esce con le ossa rotte: questi atti sostengono che è un assassino. La svolta nelle indagini sull’ omicidio di Giorgio Ambrosoli si può collocare con precisione al 25 febbraio ’ 83. Quel giorno un trafficante di droga di nome Henry Hill (ma forse si tratta di un nome di copertura) fece alcune rivelazioni esplosive. Hill era stato dal 1974 al ’ 77 compagno di cella nel penitenziario di Lewisburg di William Joseph Aricò e di Robert Venetucci. Uscito di galera aveva frequentato Aricò dal luglio 1978 fino al dicembre ’ 79. Nel settembre del 1978, raccontò Hill, Aricò lo informò di esser stato ingaggiato da Michele Sindona, al quale era stato presentato da Venetucci, per alcuni lavoretti in Italia. Il "contratto" riguardava diversi omicidi su commissione. Aricò aveva bisogno di armi per il suo "lavoro": Hill gli vendette un revolver calibro 44, due revolver 357 Magnum, e due revolver Smith & Wesson 38. Il supertestimone Hill aggiunse: Aricò dopo aver acquistato le armi si era allontanato spesso da New York dicendo che andava in Italia a svolgere il suo "lavoro" per conto di Sindona. Nell’ estate 1979, di ritorno da uno dei suoi numerosi viaggi, Aricò aveva raccontato a Hill di aver ucciso a Milano l’ avvocato Giorgio Ambrosoli. Aricò, disse ancora Hill, viaggiava con un passaporto falso a nome Robert McGovern. La polizia americana consultò gli archivi. William Joseph Aricò, detto "Bill lo sterminatore", era stato fermato il 23 marzo 1981 al confine fra Stati Uniti e Canada per una violazione valutaria. Aveva mostrato il passaporto McGovern ed era stato rilasciato: non risultava ricercato. I doganieri avevano però trattenuto il passaporto dal quale risultavano numerosissimi viaggi in Italia fra il ’ 78 e l’ 81. E anche la sua agenda e altre sue carte erano state trattenute. Esaminate dopo le rivelazioni di Hill, si dimostrarono decisive. C’ erano numero di telefono e 01130 biglietto da visita di Robert Venetucci; nome e indirizzo di casa (via Maggiolini, a Milano) di Enrico Cuccia, amministratore delegato di Mediobanca, uno dei "nemici storici" di Sindona; un foglio con l’ indicazione di tre banche milanesi compresa Mediobanca; alcuni foglietti dell’ Hotel Splendido di Milano; e i biglietti da visita di una certa Mariangela Quaglierini. Scattarono i controlli della Guardia di Finanza a Milano. Aricò-McGovern c’ era stato nove volte fra il novembre ’ 78 e il luglio ’ 79, quasi sempre all’ hotel Splendido, e altre otto volte fra il luglio ’ 80 e il gennaio ’ 81. Una volta era arrivato con un certo Luigi Cantafio, tre volte con Rocco Messina, e una volta infine, nel giugno 1979, s’ era portato anche la moglie Jean. Due coincidenze balzavano agli occhi. Aricò era a Milano dal 15 al 17 novembre 1978, e appunto il 16 qualcuno aveva incendiato la porta di casa di Enrico Cuccia. Aricò era a Milano fra l’ 8 e il 12 luglio 1979: Giorgio Ambrosoli era stato ucciso nella notte fra l’ 11 e il 12. Quella notte Ambrosoli era uscito per riaccompagnare a casa alcuni amici che con lui avevano visto in tv un incontro di pugilato. Poco dopo la mezzanotte, mentre scendeva dalla sua auto, gli avevano sparato tre colpi di 357 Magnum. Erano in tre, aveva fatto capire l’ avvocato ai primi soccorritori prima di morire. Alcuni testimoni oculari dissero che i killer erano fuggiti su una 127 rossa. William Aricò era sbarcato alla Malpensa la mattina dell’ 8 luglio, e aveva noleggiato all’ Avis dell’ aeroporto una Opel Ascona. La mattina dell’ 11 aveva restituito l’ auto all’ agenzia "Avis" vicino alla Stazione Centrale. Alle 14.30 aveva noleggiato alla "Maggiore", sempre nei pressi della Centrale, una Fiat 127 rossa: l’ utilitaria era stata restituita la mattina seguente, 12 luglio, verso le 8. Alle 11.45 era partito dalla Malpensa per New York con il volo Twa 843. Le due auto erano state noleggiate utilizzando una carta di credito American Express intestate al suo vero nome William Aricò. Secondo i magistrati milanesi, non c’ è praticamente dubbio, quindi, che sia stato Aricò a uccidere l’ avvocato Ambrosoli e a partecipare alle intimidazioni a Cuccia: molte altre testimonianze contribuiscono a provarlo. "Bill lo sterminatore", però, è morto in circostanze poco chiare: il 19 febbraio scorso è precipitato mentre tentava di evadere dal Metropolitan Correctional Center di Manhattan insieme con Miguel Sepulveda, un trafficante colombiano di cocaina. A legare il nome di Aricò a Sindona, però, non ci sono soltanto le dichiarazioni di Henry Hill. Lo stesso Enrico Cuccia, costretto con gli attentati e le minacce a incontrare Sindona a New York il 10 e l’ 11 aprile 1979, ha raccontato che nel secondo incontro: all’ hotel Pierre, il bancarottiere minacciò apertamente: "Farò sparire Ambrosoli senza lasciare traccia". C’ era poi la mano di Sindona anche nelle numerose telefonate minatorie che Ambrosoli aveva ricevuto prima di essere ucciso. Ambrosoli le registrava, e una di queste telefonate arrivò una volta che davanti a lui c’ era l’ avvocato di Sindona, Rodolfo Guzzi: l’ indomani la stessa voce aveva richiamato, e sapeva che le telefonate venivano registrate. L’ avvocato Guzzi aveva, verosimilmente, riferito a Michele Sindona e questi aveva avvertito il "picciotto". Ad accusare Michele Sindona ci sono anche, agli atti, i nastri dell’ intervista che il giornalista americano Luigi 01182 Di Fonzo fece a Nino Sindona, figlio del bancarottiere, il 18 e 19 marzo 1983. Nino Sindona, in sostanza, racconta questo. Fu Luigi Cantafio, che era in affari con Sindona, a presentare Robert Venetucci al bancarottiere. E Venetucci fece a sua volta da tramite fra Sindona e Aricò. Michele Sindona, racconta ancora il figlio, aveva assunto "Bill lo sterminatore" perchè minacciasse Cuccia e Ambrosoli sparando in aria, ma il killer aveva esagerato uccidendo l’ avvocato. In seguito, Venetucci e Aricò si erano messi a ricattare Sindona costringendolo a versare un bel po’ di denaro. Nino Sindona sostiene di aver versato somme cospicue direttamente a Venetucci, e c’ è poi traccia di due versamenti da 20 mila dollari l’ uno che il figlio del bancarottiere fece dalla Svizzera sul conto della Ace Pizza Corporation, una società di Venetucci, presso la banca Leumi di New York. Ma perchè Nino Sindona avrebbe accettato di rivelare al giornalista Di Fonzo tutte queste cose, contribuendo a inguaiare il padre, e anche se stesso per il ruolo avuto nella vicenda? E’ difficile credere a una specie di "pentimento", o a una confessione estorta. Si tratta, molto più probabilmente, dell’ ennesima mossa di Michele Sindona, l’ ultima e la più disperata, per trarsi fuori dall’ accusa di omicidio. Nino Sindona racconta infatti, nel marzo ’ 83, molte cose che magistrati e polizia hanno già ascoltato dal superteste Henry Hill circa un mese prima, e che hanno avuto modo di verificare ampiamente. Si tratta di ammissioni che hanno un solo obiettivo plausibile: accreditare la versione di un Aricò mandato soltanto per spaventare Ambrosoli, e che invece uccide e poi usa l’ omicidio per ricattare. E’ una versione che non regge. Commentano i giudici milanesi in una loro relazione al tribunale americano: "Questa versione contrasta con il fatto che anche dopo l’ omicidio Ambrosoli, William Aricò continuò (dal luglio 1980 fino al gennaio 1981) a recarsi a Milano interessandosi assiduamente alla persona di Enrico Cuccia e tentando di localizzarlo. Cuccia aveva infatti cambiato casa, con una decisione provvidenziale. "Se Aricò avesse ucciso Ambrosoli autonomamente - concludono i magistrati di Milano - andando al di là degli ordini di Sindona, quest’ ultimo gli avrebbe ovviamente tolto l’ incarico di continuare ad occuparsi di Cuccia".