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 2014  novembre 26 Mercoledì calendario

Biografia di Claudio Caligari

• Arona (Novara) 7 febbraio 1948 - Roma 26 maggio 2015. Regista. Tre film: Amore tossico (1983), L’odore della notte (1998), Non essere cattivo (2015). «Se c’è un aldilà sono fottuto».
• «Noto per un piccolo film indipendente Amore tossico, diventato di culto fra i giovani d’una generazione per la sincera voglia di protesta. Era quasi un documento (ne aveva girati davvero su quell’argomento), con attori presi dal vero, su un gruppo di ragazzi dal braccio d’oro, fatti e strafatti senza indulgere in pietismi o retorica: la vita vera di un gruppo di tossici come molto cinema sulla droga non ha quasi mai rappresentato con tale cruda verità. Piacque a Marco Ferreri, fu premiato a Venezia e Caligari entrò in quella sparuta schiera di autori che guardano in faccia la peggiore realtà e non si fanno sedurre dal lieto fine, sulla scia del neo realismo, degli Accattoni pasoliniani e del cinema di denuncia di Citti, Vicari, Frezza, Di Costanzo, Munzi, Segre. Caligari era fra i pochi non allineati, né arresi alla dittatura delle commedie italiane in rosa televisivo» (Maurizio Porro) [Cds 27/5/2015].
• «Girò, nell’adorante plauso della critica, Amore tossico. Un’opera senza budget e con molta anima premiata al Festival di Venezia del 1983. Per firmare il successivo L’odore della notte (Mastandrea, Giallini, tocco e direzione degli attori molto personali) Caligari attese 15 anni. Dal ’98 a oggi, nonostante la mano non sia stanca: “Ho scritto almeno altre 9 sceneggiature”, il suo posto nell’asfittico cinema italiano è fuori dalla porta. Qualche ironico dubbio: “C’è stato un momento in cui nella difficoltà di portare avanti i miei progetti, il rammarico diede duri colpi all’orgoglio. Ragionavo e mi ripetevo: ‘Sarebbe stato meglio girare una cazzata, non avrei avuto problemi’”. Invece, con il primo piano della “pera” l’acquisto della brown sugar a “dù scudi” e il faro a illuminare la raggelante normalità dei ventenni di Roma “a rota di ero”, venne il disturbante Amore tossico. Un germe da estinguere. Un baco del sistema: “Quando Marco Ferreri vide per la prima volta il film non si trattenne: “Questo fa una barca di soldi!”. Invece uscì a gennaio, a 4 mesi da Venezia, in sole 15 copie, con tutti gli esercenti d’Italia a chiedere vanamente il film. La magistratura, a causa dei guai della produzione, aveva sequestrato il negativo. Amore tossico scomparve rapidamente, con piena soddisfazione dei censori: “Sa cosa dicevano? ‘Questo sa come comunicare. È pericoloso’”» (Malcom Pagani) [Fat 16/3/2013].
• «Per dare forma all’idea, annusare le tracce di Pasolini che aveva previsto la devastante comparsa della droga nelle borgate romane e ambientare il racconto nel sottoproletariato cittadino, impiegammo 5 anni. Qualcuno proponeva Verona. Mi imposi su Roma, le cui borgate erano già nella storia del Cinema. Per trovare gli attori cominciammo a frequentare realtà borderline. A improvvisare provini felliniani. Sei mesi di lavoro. Tre per penetrare nello scetticismo, tre per spiegargli che a differenza di quanto gli avevamo inizialmente detto, non avevamo intenzione di scrivere un saggio, ma di girare un film. Quando ci fu totale fiducia, a Cesare, il protagonista di Amore tossico, rivelai la vera intenzione. Ci pensò, poi mi disse: “Lo faccio perché condivido l’operazione politica”. La diffidenza era normale. Commettevano dei reati. Rischiavano l’arresto. Nelle case che frequentavamo la possibilità che irrompesse la Polizia era altissima. Ferreri, nume tutelare dell’operazione, pretese la presenza di due medici sul set dove è ovvio, i ragazzi non si iniettavano droga ma sostanze non nocive» (a Pagani, cit.).
• «Quando esce, Amore tossico si prende cinque prime pagine. Repubblica, Corriere, Stampa… Anche perché lo stesso giorno arrestarono la protagonista, Michela Mioni. Un vicequestore, che era nelle liste della P2, fece quest’arresto a orologeria per ottenere la prima pagina grazie alla pubblicità che gli faceva il film (…) Beh, anche il titolo ha aiutato. Pensa che si doveva chiamare Eroina di strada» (a Christian Raimo) [Internazionale.it 15/11/2014].
• «Negli anni, il film crebbe fino a ricevere uno status di culto incredibile, grazie ai suoi interpreti romani, Michela Mioni e Cesare Ferretti in testa, e a una serie di battute ormai storiche con uno slang da tossico romano (spada, schizzo, farma) che i critici del tempo non potevano capire. Da “ma come... dovemo svorta’ e te pij er gelato?” a “Vacce te che sei più presentabile, a me il limone nun me lo vendono, sanno che me ce drogo”, da “se sbattemo per mette insieme quattro lire per fasse uno schizzo...” a “Oggi me sa che proprio col quasi se famo”. Da “Me dai tre o quattro buste, quelle che hai, te le piazzo e te porto i soldi a tamburella!” alla nostalgica “Quanto era bona la robba na’ volta, mica come adesso”. Amore tossico era la cronaca fedele delle giornate dei tossici di Ostia, alla ricerca di una dose o del metadone per andare avanti. Un film maledetto. Molti dei suoi interpreti non si ripresero mai e lo stesso Claudio Caligari ebbe problemi per riuscire a chiudere un film negli anni successivi. Troppo estremo, troppo duro. Ci vollero Marco Risi e Maurizio Tedesco per produrgli diciotto anni dopo L’odore della notte con un cast spettacolare, Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Giorgio Tirabassi, che era più o meno la storia di una banda criminale nella Roma degli anni ’90, l’Arancia meccanica. Rapine nelle ville dei ricchi. Vanno anche a casa di Little Tony, che interpreta clamorosamente se stesso, e subisce l’umiliazione di stonare davanti a Giallini che gli ha chiesto di cantargli Cuore matto. E Giallini conclude con il celebre “Little, tu me stoni”. Un film che venne presentato alla “Settimana della Critica” di Venezia nel 1998 e apre il discorso sulla Roma criminale prima delle serie tv, dei Romanzi criminali vari, e riporta alla luce un personaggio scomodo come Claudio Caligari» (Marco Giusti) [Dagospia 27/5/2015].
• «Mi sono avvicinato al cinema tardi, alla fine degli anni settanta, avevo quasi trent’anni. A Milano tentai di fare l’aiuto di Marco Ferreri. Cercavo di lavorare sul set. Cercai Bellocchio, che allora era amico di Silvano Agosti, di Stefano Rulli e Sandro Petraglia, che avevano scritto la loro prima cosa, Nel più alto dei cieli di Silvano Agosti, un film bunueliano. Quegli sono gli anni del movimento del ‘77. Erano gli anni delle autoriduzioni nei cinema di prima visione, dell’assalto alla Scala. Io frequentavo i Circoli proletari giovanili. In uno di questi vidi per la prima volta l’eroina di massa. All’interno di questi circoli un gran numero di ragazzi si bucava. C’era gente buttata per terra, mi ricordo, nella stanza una marea di gente fatta. E poi è finito tutto. Con l’assalto alla Scala. Era il periodo della contestazione ai concerti. Per esempio filmo la contestazione ad Antonello Venditti, che è rimasto inedito. Monto invece un film underground sui Circoli in parte di finzione che si chiama La parte bassa. Lo proiettarono al Filmstudio. Il primo spettatore si aspettava un porno» (a Raimo, cit.) [Internazionale.it 15/11/2014].
• «Sono fuori dalle consorterie e i miei film sono politicamente scorretti. Ci sono quelli che devono lavorare, e quelli a cui si può dire la prossima volta. E la prossima volta non arriva mai».
• Nell’ottobre 2014 Valerio Mastandrea scrisse una lettera aperta a Martin Scorsese, pubblicata sul Messaggero, per aiutare Caligari a produrre il suo terzo lungometraggio, Non essere cattivo: «Ti scrivo perché, dopo tanti anni di “resistenza umana” alla vita, a questo mestiere e alle sue dinamiche, questo signore ha avuto il coraggio di scrivere un nuovo copione, e di provare a girare un nuovo film. Da circa due anni un gruppo di amici di cui faccio parte lo sta supportando muovendosi nei meandri delle istituzioni e delle produzioni grandi e piccole ottenendo piccoli risultati ma importanti. Attorno a questo film si è creata un’atmosfera molto rara. In tanti lo vogliono fare per rispetto di questo signore e del più alto senso del Cinema e di chi vive per il Cinema. Molte delle eccellenze del nostro settore hanno espresso la volontà di lavorare gratuitamente o di entrare in partecipazione».
• «“Muoio come uno stronzo. E ho fatto solo due film.” Se n’è uscito così, ad un semaforo rosso di Viale dell’Oceano Atlantico circa un anno fa. Stavamo andando insieme a parlare con un amico oncologo in ospedale. La risposta ce l’avevo pronta ma l’ho lasciato godere di questa sua epica attitudine alle frasi epiche che accompagneranno per sempre tutti quelli che lo hanno conosciuto. Ho aspettato il verde in un altrettanto epico silenzio (sono molti anni che era stato operato alle corde vocali). Ripartendo ho detto “C’è gente che ne ha fatti trenta ed è molto più stronza di te”. Il suono leggero della sua risata soffocata mi ha suggerito il suo darmi ragione, confermato dall’annuire ripetuto della sua testa grande (…) Non ha mai smesso di fare film Claudio. Ne ha girati tre ma ne ha scritti, fatti e visti almeno il triplo. Questo deve accadere ad un regista che vede sfumare i propri progetti per motivi enormi o a causa di persone piccolissime. Pensare, scrivere, vedere, riscrivere, ripensare, vedere ancora fino alla morte del progetto e , nonostante questo, continuare a vederlo finito, il proprio film. Così ha fatto anche lui. Noi che abbiamo avuto il privilegio di lavorarci questo lo sappiamo bene. Ogni film non fatto da Claudio, Claudio lo ha fatto eccome. Come ha fatto il suo terzo e ultimo. Con l’amore e la cattiveria che la malattia gli imponeva. Con la dolcezza di chi riconosce la magia del cinema e delle persone che lo fanno. Con la stronza intelligenza di chi urlava il diritto al cinema da conoscere e da poter fare» (Valerio Mastandrea) [rivamesta.tumblr.com 26/5/2015].