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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Il partito di Landini è già nato. D’altra parte se da sinistra si arriva ad usare l’argomento della «questione morale» per dare addosso a Renzi, vuol dire che lo scontro - ideologico e di potere - è profondo davvero. E se già non si è consumata, la rottura pare comunque a un passo

Se da sinistra si arriva ad usare l’argomento della «questione morale» per dare addosso a Renzi, vuol dire che lo scontro – ideologico e di potere – è profondo davvero. E se già non si è consumata, la rottura pare comunque a un passo. Ne è consapevole Landini che – soprattutto dopo lo scivolone di qualche giorno fa sugli «onesti che non stanno con Renzi» – avrà certamente pesato bene le parole prima di farsi intervistare dal Fatto Quotidiano per dire che «il Pd nasconde la questione morale».
Una vera e propria bomba di profondità, non solo sul governo ma pure sul suo premier. È dagli anni Ottanta, infatti, che l’elettorato di centrosinistra si identifica nell’integrità morale di Togliatti prima e di Berlinguer poi, tanto che la questione morale è stata prima l’argomento con cui a sinistra si è caldeggiata Tangentopoli e poi l’arma con cui per un ventennio si è cercato di fermare Berlusconi. Tutto questo Landini lo sa bene e, probabilmente, se ha voluto forzare la mano su un elemento che è parte integrante dell’identità del Pd è proprio per rendere il suo affondo a Renzi più duro che mai.
A sinistra, insomma, la tensione è piuttosto alta. E il livello dello scontro pare arrivato a un punto in cui difficilmente si potranno rimettere insieme i cocci. La piazza dello scorso 25 ottobre ha di fatto rotto il clima di consenso sociale intorno al governo, tanto che gli ultimi sondaggi hanno registrato un deciso calo sia del gradimento del Pd (-5 punti) che di quello del premier (-10). E non contento delle spallate già rifilate a Renzi, Landini torna alla carica. Prima lo accusa di essere votato dai disonesti (e si scusa), poi punta il dito sulla questione morale rinfacciando al governo di fare leggi che «continuano a garantire i disonesti» e di perseguire le «politiche della Confindustria e dei poteri forti». Una vera e propria guerra di posizione, che continuerà anche oggi quando la Camera inizierà a votare quel Jobs Act che piace così poco alla sinistra del Pd di Fassina, Cuperlo e Civati. E che avrà il suo culmine il 12 dicembre, giorno dello sciopero generale.
Un’insofferenza, quella del fronte sindacale da una parte e della sinistra Pd dall’altra, che sembra andarsi lentamente saldando. Questo, almeno, racconta il voto di ieri in Emilia-Romagna. Dove la vittoria del Pd Bonaccini era sì scontata, ma certo non era prevista una così bassa affluenza. E non è un caso che Landini – che peraltro viene proprio da Reggio Emilia – si sia ben guardato dal dare indicazioni di voto agli iscritti della Cgil.