Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 18 Martedì calendario

Cosa nasconde il crollo del petrolio. Nonostante il calo dei consumi la produzione continua ad aumentare e il prezzo del greggio va giù. Potrebbe essere un gioco pericoloso dei sauditi per colpire Russia e Iran. Non sarebbe la prima volta

il Giornale,
martedì 18 novembre
Il prezzo del petrolio sta scendendo da alcune settimane. Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno il calo è stato significativo: siamo arrivati a 73/75 dollari a barile (Brent), oggi siamo poco sotto gli 80 (a giugno eravamo intorno ai 100 dollari).
Se un calo tra l’estate e l’inverno è usuale, l’analisi degli indici registrati tra settembre e ottobre evidenzia un andamento anomalo. Soprattutto se teniamo conto di questi aspetti: la situazione in Medio Oriente (nel cui sottosuolo maggiore è la concentrazione di greggio) continua a essere instabile; altri produttori, come Libia, Nigeria e Russia per motivi diversi sono in difficoltà. Quindi, considerato che non ci sono stati crolli nella domanda dei paesi più grandi, come la Cina, un calo del 20-25% sui prezzi in così poco tempo è quantomeno strano.
Se guardiamo i dati ufficiali (rapporto Opec diffuso a metà ottobre) notiamo subito che gli stati aderenti hanno prodotto più petrolio (circa 400mila barili in più al giorno) rispetto al mese precedente. Si produce di più, quindi, ma si consuma di meno (sia in Cina che in Europa e negli Usa). I prezzi continuano a scendere. Qualcuno ci guadagna, qualcuno no. Interessante provare a capire cosa ci sia davvero dietro. Chi è che manovra i fili dei prezzi del greggio? E in quale direzione vuole andare?
Gli economisti Mario Lettieri e Paolo Raimondi (il primo è stato sottosegretario all’Economia del governo Prodi) avanzano un’ipotesi molto interessante. Dietro la decisione di far scendere il prezzo ci sarebbero diverse cause, tra le quali anche l’intenzione dell’Arabia Saudita (condivisa dagli Stati Uniti) di colpire economicamente l’Iran e la Russia. Sarebbe in corso, dunque, una vera e propria guerra commerciale, combattuta con l’arma del petrolio. Dal petrolio, infatti, deriva il 60% delle entrate di Teheran e il 46% di quelle di Mosca. Si capisce subito, quindi, quando sia strategico il petrolio (e il suo prezzo) per questi due Paesi.
Ma è mai possibile che per colpire Iran e Russia si metta in moto un meccanismo così sottile (e perverso) che va a incidere in modo pesante sulle economie di tutto il mondo? Diciamo che non sarebbe la prima volta: nel lontano 1985-1986, infatti, come ricordano Lettieri e Raimondi, l’Arabia Saudita abbassò il prezzo del greggio di 3,5 volte, aumentando al contempo la produzione di 5 volte. Gli sceicchi non morirono di fame – anche se ci rimisero qualcosa (il costo del barile scese a dieci dollari) – ma l’Unione sovietica finì in ginocchio.
Che qualcuno voglia ripetere quell’esperimento? La leva del prezzo del petrolio, unita alle sanzioni economiche, potrebbero infliggere un colpo durissimo alla Russia di Putin. Come ha sottolineato anche il Washington Post una diminuzione del 10-20% del prezzo del petrolio potrebbe contribuire a raggiungere lo «scopo politico» delle sanzioni. Se si riduce il prezzo del greggio, va da sé, si riducono le entrate. Così Mosca e Teheran potrebbero essere costrette a venire a più miti consigli. La prima sull’Ucraina, la seconda accettando un compromesso (per lei al ribasso) sul nucleare.
Il prezzo del petrolio, ormai è cosa arcinota, non dipende solo dal punto di incontro tra domanda e offerta. I fattori da considerare sono molteplici. Ci sono le speculazioni (quelle che nel 2007-2008 fecero schizzare il prezzo del barile a quota 150), mediante lo strumento dei derivati finanziari, e le manovre geopolitiche, più o meno occulte.
Particolare da non sottovalutare: per estrarre petrolio non bisogna solo fare un buco (trivellare) e tirare su il greggio. Ci sono anche attività di ricerca (esplorazioni) e investimenti molto costosi. Per ripagare queste spese secondo un calcolo delle Ioc (International Oil Companies) il prezzo del greggio non dovrebbe scendere sotto i 90 dollari a barile. Se ci scende al di sotto si va in rimessa.
Il Wall Street Journal ha parlato apertamente di «gioco pericoloso dei sauditi» nella guerra dei prezzi del petrolio. Mentre i prezzi in calo di solito aiutano i consumatori, riducendo (almeno dovrebbe avvenire) il prezzo della benzina, secondo gli analisti il calo del prezzo dell’energia stritolerà i profitti di molte società energetiche Usa, soprattutto le piccole imprese. E diventerà assai difficile, aumentando l’ansia degli investitori, alzare i livelli (già ai minimi termini) dell’inflazione.
Ma non tutti sono pessimisti. Il calo del prezzo del greggio secondo l’Economist potrebbe favorire l’eco-nomia mondiale. In che senso? Il settimanale economico britannico sottolinea che una variazione del 10% del prezzo produce uno spostamento dello 0,2% del Pil (stima del Fmi). Se il prezzo cala, dunque, i produttori incamerano meno risorse e queste si spostano sui consumatori, più propensi a fare acquisti. Con ripercussioni positive su tutte le economie del mondo.