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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Dopo 15 anni Federer conquista la coppa Davis e con l’Insalatiera completa la sua bacheca. È al prima per la Svizzera: «Sono contento di aver contribuito ad un momento storico del mio Paese, ma questo è un successo della squadra. Di Wawrinka e degli altri ragazzi. Io ho vinto abbastanza nella mia carriera, non avevo bisogno di questo per riempire una casella»

E così il terzo giorno la risurrezione si è completata, il Federer evanescente e dolorante del primo giorno si è trasfigurato, apparendo in tutta la sua gloria e abbagliando il povero Gasquet. La parabola si è chiusa. Tre a uno per la Svizzera, dopo un’ora e 56 di pubblica umiliazione (6-4 6-2 6-2) e ora che la finale è andata come tutto il mondo – tranne i francesi, ma neppure tutti – sognavano, resta da capire se è più la Davis ad aver completato il palmares di un Federer infinito, o più la sua firma che nobilita la vecchia Zuppiera. 
Tutti i grandissimi del Gioco l’avevano alzata almeno una volta, da Borg a Becker ed Edberg, da McEnroe a Sampras, da Agassi a Djokovic e Nadal. Mancava solo lui, il 21esimo fra i 25 n.1 dell’era del computer (e la Svizzera la 14a nazione) ad aggiudicarsi la Coppa. «Erano 15 anni che la inseguivo, e non c’ero mai arrivato così vicino», ha detto dopo il drop-shot ricamato con l’uncinetto dell’ultimo punto, la genuflessione sulla terra rossa, i rituali lacrimoni a beneficio interiore e a favore di telecamere. «Sono contento di aver contribuito ad un momento storico del mio Paese, ma questo è un successo della squadra. Di Wawrinka, che ha dato tanto in questi anni, e degli altri ragazzi. Io ho vinto abbastanza nella mia carriera, non avevo bisogno di questo per riempire una casella». È l’orgoglio un po’ ganassa di un fuoriclasse che la Davis l’ha lungamente considerata (a torto) un di più, quasi un fastidio. Un trofeo fossile che intralciava preparazione e programmazione. Nessun tennista svizzero ha vinto tanti match di Coppa (50) ma nella sua epoca dorata Roger l’ha quasi sempre onorata come si fa con un contratto, giusto per evitare che la Svizzera scivolasse in serie B (e neppure sempre: nel play-off salvezza dello scorso anno contro l’Ecuador la firma ce l’ha messa solo Wawrinka). 
A 33 anni però per lui non è più tempo di scorpacciate negli Slam (il conteggio è fermo da due anni a quota 17). Roger ha capito che il momento di colmare le lacune è arrivato e gli astri, magicamente, si sono allineati: le assenze di Nadal e Djokovic, il boom di Wawrinka in Australia, il calendario favorevole a gennaio l’avevano convinto che sì, stavolta si poteva fare. E senza troppa fatica. Una visita in Serbia, i brividi inattesi con il Kazakistan, dove ha rimediato al crollo di Wawrinka; la passeggiata a Ginevra con l’Italia. Alla vigilia della finale di Lille la schiena malandata e l’incidente diplomatico con l’amico Stan sembravano poter scompigliare i piani, paradossalmente però la squadra davvero malconcia si è rivelata la Francia, confusa dalle scelte sbagliate del ct Clement e dagli infortuni (veri o presunti) del numero 1 dei galletti, Jo-Wilfried Tsonga. Così Roger ha stretto i denti con Monfils, ha fatto da spalla di lusso a Wawrinka in doppio e ieri ha pasteggiato sui resti tecnici e nervosi di Riccardino Gasquet. I 27.400 del «Pierre Mauroy» lo hanno applaudito come si fa con un eroe di tutti. «No, le emozioni del primo Slam e della prima Davis non si possono paragonare», ha risposto. Ora gli resta l’ultima frontiera, l’oro olimpico in singolare (a Londra 2012 si è dovuto accontentare dell’argento). È il più vecchio n.2 di sempre, vuole continuare sino a Rio 2016, quando avrà 35 anni. Oltre il tempo limite, forse, per togliersi l’ultimo sfizio, ma con Federer guai dire mai.