Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Morire avvelenati dal mercurio per raccogliere un grammo d’oro al giorno. Meccanici, mercanti, prostitute, ingegneri ma soprattutto minatori: sono il popolo illecito della regione selvaggia di Madre De Dios, in Amazzonia

Quando dieci anni fa Constantina decise di lasciare la miseria della sua casa di Puno, sulle rive del lago Titicaca, credette che se avesse puntato sulle grandi metropoli del Perù, sarebbe finita a far la fame in un sobborgo, senza speranza all’orizzonte. Allora prese la direzione opposta e viaggiò per quattro giorni sulla strada dei primi cercatori d’oro in cammino verso Puerto Maldonado, l’ultimo scalo per le miniere clandestine dell’Amazzonia più profonda. La settimana scorsa, nella notte in cui la polizia ha bombardato i macchinari del suo accampamento, in uno degli attacchi che sta realizzando contro questa lavorazione illegale, inquinante e nociva, Constantina si è tornata a chiedere che cosa fare della propria vita, e ha deciso di restare a scapito dei rischi. Meccanici, mercanti, prostitute, ingegneri ma soprattutto minatori, sono il popolo illecito della regione selvaggia di Madre De Dios, una delle meno abitate del Paese, ma anche quella che consuma più combustibile. A trasformare questa terra di parchi naturali nel luogo in cui 40 mila ettari di bosco sono già andati perduti, è stata la crescita nei prezzi dell’oro che si è registrata a partire dal 2004 e la procedura arcaica per estrarlo dai fiumi con cui molti peruviani cercano di approfittarne da allora. Arrivata coi pionieri, Constantina si trova oggi a difendere una miniera a cielo aperto che ha messo in piedi col marito e 20 braccianti, ma senza nemmeno una carta in regola. Come lei a suo tempo, d’altra parte, migliaia di altri avventurieri scendono quotidianamente dagli autobus che arrivano a Puerto Maldonado, cambiano i loro soldi in oro, la valuta corrente in città, e salgono sulle canoe che vanno ai giacimenti. Sono soprattutto indios delle Ande, per cui il grammo di metallo prezioso che si guadagna in un giorno trascorso con le gambe a mollo, pesa più dei tre o quattro anni che impiega il mercurio a mostrare i propri effetti sull’organismo. Questo e altri veleni, vengono usati a mani nude per agglomerare l’oro disciolto nel fango. Non meno pericolosa, poi, è la professione delle impiegate dei bar come il Dolce Miele o il Caraibica: i bordelli annessi agli accampamenti dei minatori ricevono la visita di un infermiere (e il rifornimento di profilattici) una volta al mese. Per il resto del tempo, le ragazze restano isolate senza contatti esterni. «Non siamo illegali, siamo informali – dice Constantina, adesso che improvvisamente il governo ha deciso di farla finita coi cercatori clandestini della foresta – perché invece di mandare gli elicotteri non ci danno una licenza?». Perché è terra protetta e il mercurio uccide, le hanno risposto. Ma sono argomenti più deboli di quelli che ha la sua povertà.