La Stampa, 24 novembre 2014
Gamberetti, aringhe e merluzzi del Mare del Nord presi all’amo da un esercito di clandestini schiavizzati, costretti a lavorare quasi gratis in condizioni disumane nella flotta da pesca della Gran Bretagna
Henry Mahinay faceva l’autista nelle Filippine. Un giorno ha letto un annuncio che gli prometteva un ottimo salario se avesse accettato di fare parte dell’equipaggio di un peschereccio britannico: molti soldi da mandare a casa, vitto e alloggio garantiti a bordo, lavoro duro ma pieno di avventure. Qualche settimana fa Mahinay è andato dalla polizia, con un dito mezzo amputato ancora sanguinante, e ha riempito tredici pagine di verbale per raccontare come i gamberetti, le aringhe e merluzzi del Mare del Nord siano pescati da un esercito di schiavi, privati di ogni diritto e costretti a lavorare quasi gratis in condizioni disumane. La polizia ha indagato, intercettando pescherecci al largo e interrogando capitani e marinai, e ha scoperto che migliaia di immigrati clandestini sono impiegati nella flotta da pesca della Gran Bretagna senza rispettare le leggi, i salari minimi previsti dai contratti, l’orario di lavoro. L’esperienza descritta da Mahinay agli agenti che lo interrogavano sembra un incubo: è salito a bordo in Irlanda del Nord, ma chi lo aveva portato fin lì gli ha detto che si trovava in Inghilterra. Una volta lasciato il porto, la sua condizione di essere umano è finita: turni di lavoro di 19 ore al giorno, nessun periodo di riposo, un unico pagamento di 100 sterline (125 euro) dopo due mesi e mezzo di pesca. Dormiva in una cuccetta sulla quale filtrava la pioggia e l’acqua di mare e poteva cibarsi solo del pesce che pescava. Quando in un incidente si tagliò parte di un dito, il comandante gli disse che non spettava a lui portarlo in un ospedale. Lo medicò alla meglio, gli disse che era una ferita da niente e di tornare al lavoro. Visto che il dito continuava a sanguinare, dopo qualche giorno lo sbarcò vicino a un porto scozzese. Mahinay cercò prima un ospedale e subito dopo la stazione di polizia. Ci sono circa 12 mila marinai a bordo dei pescherecci britannici, e oggi è molto difficile convincere i pescatori locali a farsi imbarcare. In mare c’è meno pesce, i profitti diminuiscono con i salari. Migliaia di persone vengono dunque ingaggiate in Africa, in Indonesia, in Lituania e Romania con la promessa di un buon lavoro. Il fatto che la pesca si svolga al largo consente però agli armatori di ignorare le leggi e di applicare quelle che ritengono più opportune. Gli immigrati imbarcati sono clandestini, non hanno diritti, vengono scambiati da peschereccio a peschereccio quando un’imbarcazione deve tornare in porto, o sbarcati quando non servono più. Mark Hollis, il detective che si occupa dei nuovi schiavi del mare per la costa scozzese, ha detto che sempre più persone si fanno avanti per chiedere aiuto e denunciare i maltrattamenti subiti. «Ma più gente ascolto – ha ammesso – e più mi accorgo che è come con gli iceberg: vediamo solo il poco che sta sopra, e quello che sta sotto ci fa paura».