Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Quel dodicenne ammazzato da un poliziotto di Cleveland per una pistola finta. Solo due giorni dopo la tragedia che ha visto un agente di New York uccidere per sbaglio un altro ragazzo nero completamente disarmato. Queste le ultime notizie dal fronte di un conflitto tra le forze dell’ordine e la gente di colore che ormai sembra andare avanti in tutti gli Usa

Un ragazzo di 12 anni, nero, ucciso dai poliziotti a Cleveland perché aveva alla cintura una pistola finta. È l’ultima notizia dal fronte di un conflitto che ormai sembra andare avanti in tutti gli Stati Uniti, tra le forze dell’ordine e la gente di colore. Un’emergenza che potrebbe tornare a esplodere oggi a Ferguson, in Missouri, se il grand jury incaricato di decidere il caso di Mike Brown emetterà il suo verdetto sulla richiesta di incriminare l’agente Darren Wilson, che lo aveva ucciso nell’agosto scorso.
Sabato pomeriggio, verso le tre e mezza, il centralino della polizia di Cleveland ha ricevuto una telefonata allarmante. «C’è un ragazzo – diceva la voce dall’altra parte dell’apparecchio – con una pistola. Probabilmente è falsa, ma chi lo sa? Intanto sta terrorizzando tutti». Il giovane si era presentato con l’arma al Cudell Recreation Center e aveva iniziato a brandirla in giro. Una volta ricevuto l’allarme, la polizia ha raggiunto in fretta la zona. Due agenti hanno individuato il ragazzo e gli hanno intimato di alzare le mani. Lui invece le ha abbassate verso la cintura, dando l’impressione che stesse cercando di prendere la pistola. A quel punto uno dei poliziotti ha sparato, colpendolo al torso due volte. Il giovane è caduto a terra, e una donna presente alla scena ha urlato agli agenti: «Sempre ammazzare il ragazzino nero, eh?».
Poco dopo è arrivata un’ambulanza, che ha trasportato il ferito all’ospedale. Tutte le cure del pronto soccorso, però, sono state inutili, e nel giro di qualche minuto il giovane è morto. La madre, Samaria Rice, ha detto che gli agenti non le hanno nemmeno consentito di vederlo, prima di portarlo via. Ma alla cintura aveva solo una pistola finta ad aria compressa: una replica realistica, che però non avrebbe potuto ammazzare nessuno. I due poliziotti sono stati sospesi, mentre il procuratore della Cuyahoga County ha aperto un’inchiesta.
Jeff Follmer, presidente della Cleveland Police Patrolmen’s Association, ha difeso così i colleghi: «In situazioni come queste dobbiamo presumere che ogni pistola sia vera. Quando non lo facciamo, è la volta che non torniamo a casa».
Solo due giorni fa un poliziotto di New York aveva ucciso per sbaglio un ragazzo nero completamente disarmato in un complesso di case popolari. Il ragionamento di Follmer è logico e comprensibile, quando ci si mette nei panni di poliziotti che rischiano la vita durante il servizio. Il problema, però, è che troppo spesso questi casi riguardano persone di colore, lasciando sospettare che da parte degli agenti ci sia un pregiudizio razziale che li spinge a essere più violenti quando si trovano davanti ai neri. A Ferguson, nell’agosto scorso, l’agente Wilson aveva sparato e ucciso il diciottenne Mike Brown anche se era disarmato. Oggi tornerà a riunirsi il grand jury che deve decidere se incriminarlo. Se non lo farà, molti temono nuove violenze.