La Stampa, 24 novembre 2014
Hillary, alla Casa Bianca. La strategia Clinton sarà quella di smarcarsi dagli errori di Obama e ricordare agli americani i successi economici degli anni 90. Quelli del marito Bill
Il terzo mandato della presidenza Clinton, o il terzo atto dell’amministrazione Obama? Hillary vorrebbe costruire la sua corsa alla Casa Bianca come una continuazione dei successi ottenuti dal marito, mentre i repubblicani puntano a dipingerla come la prosecuzione degli errori commessi da Barack: il futuro degli Stati Uniti dipende da chi avrà successo nel convincere il paese della propria versione di questa storia.
Il declino del presidente
Fonti molto vicine ai centri vitali del potere a Washington descrivono così la partita in corso per il controllo della superpotenza colpita dalla sindrome del declino. I democratici, secondo queste fonti, hanno perso le elezioni di metà mandato a causa della sensazione di debolezza data dall’amministrazione: prima il disastro nel varo della riforma sanitaria, poi l’Iraq e la Siria in mano ai terroristi dell’Isis, e infine l’ebola, che secondo Obama non sarebbe mai arrivata in America, e invece ha viaggiato comodamente sulla metropolitana di New York. L’economia si sta riprendendo e la disoccupazione è ai minimi storici dall’inizio della crisi del 2008, ma i nuovi lavori non sono all’altezza di quelli del passato e la gente non sente la prosperità nel suo portafoglio. A questo si è aggiunta la diffidenza verso un presidente che ha dimostrato di essere un grande intellettuale e analista, ma uno scarso gestore della cosa pubblica. Come ha detto il capo di Eurasia Ian Bremmer: «Bush era un leader che non amava pensare; Obama è un pensatore che non ama guidare».
La sfida ai conservatori
La sua presidenza durerà ancora due anni, e con il solo potere esecutivo Barack potrà ancora determinare la propria eredità storica. In politica estera cercherà di concludere l’accordo per il rinnovo del Protocollo di Kyoto contro il riscaldamento globale, raddrizzare la situazione in Iraq e Siria, fermare Putin, magari concludere il difficile accordo nucleare con l’Iran. Quando agirà da falco, sarà difficile osteggiarlo per il Congresso dominato dai repubblicani, che probabilmente lo aiuteranno anche a finalizzare il trattato Ttip per gli scambi commerciali con l’Europa. In politica interna, però, è già andato allo scontro sulla riforma dell’immigrazione.
A Washington è scoppiata la guerra, che si trascinerà fino alle presidenziali del 2016, con i due partiti che cercheranno di accusarsi a vicenda di aver provocato la paralisi attraverso le loro scelte estremistiche.
Nomination quasi certa
E qui comincia il duello per la prossima corsa alla Casa Bianca. I democratici danno ormai per certa la candidatura di Hillary, alla quale non vedono molte alternative. La senatrice Elizabeth Warren potrebbe pensare di sfidarla da sinistra, ma non sarebbe facile ripetere un’operazione come quella di Obama nel 2008. Una volta vinte le primarie, per la Clinton il problema diventerebbe come impostare la campagna contro i repubblicani. Lei vorrebbe presentarsi come il terzo mandato del marito Bill, che resta popolare, e sul piano economico è il Presidente che ha avuto più successo negli ultimi trent’anni. I repubblicani invece vogliono dipingerla come la continuazione dei fallimenti di Obama, con cui ha lavorato come Segretario di Stato. La sfida si giocherà su questa narrativa della campagna, ma il risultato delle elezioni midterm ha dato una mano a Hillary, per almeno due motivi: primo, le consente di prendere le distanze da Barack, che ormai è un’anatra zoppa anche all’interno del suo partito; secondo, le ha aperto la strada per impostare la campagna contro l’establishment repubblicano, nella speranza che i conservatori prevalgano all’interno del partito rivale e lo spingano a continuare la paralisi ideologica degli ultimi sei anni, a partire proprio dallo scontro sull’immigrazione.
Destra in cerca di candidati
Sull’altro fronte potrebbe metterla in difficoltà Jeb Bush, che è il potenziale candidato più raffinato, e capisce la necessità di allargare la tenda includendo gli ispanici. Jeb, però, non ha lo stomaco per affrontare non solo Hillary, ma le lotte interne contro gli estremisti del Tea Party, che dovrà affrontare e sconfiggere nelle primarie, se vorrà presentarsi alla corsa per la Casa Bianca con una piattaforma moderata accettabile dalla maggioranza degli americani. Un’alternativa a lui potrebbe essere il senatore Rand Paul, che è amico del Tea Party, ma da mesi si sta riposizionando. Oppure Scott Walker, forte della conferma appena ottenuta come governatore del Wisconsin. Di sicuro l’America ci offrirà due anni interessanti, ma pericolosamente instabili.