Corriere della Sera, 24 novembre 2014
Scavare sotto le viti e le betulle delle campagne del novarese per scovare qualche pozzanghera di petrolio. I tecnici escludono danni all’ambiente e alla salute delle persone... Sarà. L’Italia è piena di disastri causati dai tecnici di ieri. Dobbiamo credere che i tecnici di oggi siano più bravi, o più sinceri, dei loro colleghi?
Per gli stranieri del Grand Tour, da Goethe a Dickens a Stendhal, il tralcio di vite che si appoggiava all’olmo o all’ulivo era una presenza caratteristica, quasi un simbolo del paesaggio italiano. La vite, in Italia, si trovava e si trova dappertutto, ma non sempre si appoggia agli olmi. Nelle «terre selvagge» tra Novara e le Alpi che millecinquecento anni fa furono dissodate dai Longobardi, la vite si appoggiava e qua e là ancora si appoggia alle betulle, tenute basse e «capitozzate», cioè con i rami tagliati come altrove gli olmi. Fino all’anno scorso questa era l’unica singolarità di un paesaggio che nessuno mai aveva celebrato, ma che meriterebbe di essere lasciato com’è. Adesso però c’è una novità. Chi si trova a passare nelle campagne di Carpignano o di Fara Novarese vede striscioni e cartelli che dicono «no» agli scavi per il petrolio, e se non è al corrente delle cronache locali rimane sorpreso. Pare che sotto alle viti e alle betulle ci sia il petrolio. Non i giacimenti d’Arabia e nemmeno quelli del Texas: qualche pozzanghera a 5.000 (cinquemila!) metri di profondità, che si vorrebbe sfruttare fino ad esaurimento cioè per qualche anno. I tecnici escludono danni all’ambiente e alla salute delle persone. Dicono che il viavai dei camion si farà in punta di piedi, che le falde idriche non verranno toccate... Sarà. L’Italia è piena di disastri causati dai tecnici di ieri. Dobbiamo credere che i tecnici di oggi siano più bravi, o più sinceri, dei loro colleghi?