Corriere della Sera, 24 novembre 2014
Elisabetta regna ma governa solo la sua famiglia. All’Inghilterra ci pensa il primo ministro
Durante le manifestazioni per il centenario della Prima guerra mondiale la regina Elisabetta mi è apparsa particolarmente in forma. Eppure credo sia ormai vicina ai 90 anni. Lei ha avuto modo di conoscerla?
Marta Rossetti
Sesto San Giovanni (Mi)
Cara signora,
Le sono stato presentato nel corso di un ricevimento a Buckingham Palace negli anni Cinquanta. Gli ospiti non erano meno di trecento e a ciascuno di essi erano state comunicate le regole della casa. Le signore avrebbero discretamente piegato le ginocchia per abbozzare un piccolo inchino, i signori avrebbero abbassato il capo. Occorreva attendere che la regina si compiacesse di rivolgere all’ospite qualche parola e rispondere eventualmente alle sue domande. Alla prima domanda occorreva rispondere premettendo «Maestà»; alla seconda risposta, «Madam». Se gli ospiti erano trecento e se ciascuno di essi ebbe diritto a mezzo minuto del tempo regale, Elisabetta, allora poco più che trentenne, dovette rimanere in piedi per due ore e mezza.
Naturalmente vi sono altre circostanze in cui la regina deve dare prova di maggiore duttilità e fantasia: fare conversazione con capi di Stato stranieri, pronunciare brevi discorsi, ascoltare quelli di altre autorità, accettare graziosamente i mazzi di fiori che le vengono offerti da bambini e bambine, assistere al varo di una nave, deporre corone sul monumento ai caduti per la patria. Le occasioni più interessanti sono certamente quelle in cui la regina riceve il Primo ministro, ma le regole della monarchia britannica vogliono che le parti, in questo caso, si rovescino: il premier parla e la regina ascolta. Può chiedere qualche chiarimento, ma le responsabilità del governo sono sulle spalle della persona scelta dal suo partito ed eletta dai suoi concittadini. Questo trasferimento dei poteri dal sovrano al premier è un processo che accompagna l’intera storia britannica dal Seicento ai nostri giorni e che è oggi, ormai, interamente compiuto.
Alla regina resta tuttavia un compito che non può delegare: governare la sua famiglia. Vi fu un momento in cui il compito divenne ingrato. In un discorso del novembre 1992, pronunciato per il 40° anniversario della ascesa al trono, Elisabetta dovette riconoscere che l’anno quasi terminato era stato un «annus horribilis». Non occorreva spiegarne le ragioni. Tutti sapevano che la famiglia reale era ormai una maionese impazzita. Un figlio, il duca di York, aveva sposato una giovane donna che amoreggiava in topless con un suo spasimante sulle spiagge francesi. La figlia, principessa reale, aveva divorziato. La principessa Diana, moglie del principe ereditario, era stata protagonista con il marito di libri scandalosi. E non passava giorno senza che la stampa popolare britannica pubblicasse registrazioni di conversazioni telefoniche boccaccesche fra membri e famigli di Casa reale.
Non era ancora finita. La prova più dura per Elisabetta fu il tragico incidente automobilistico che uccise Diana e l’amante egiziano in un tunnel di Parigi nell’agosto 1997. Elisabetta decise che la cerimonia funebre sarebbe stata privata e lasciò chiaramente intendere in questo modo quali fossero i suoi sentimenti verso la nuora defunta. Ma venne clamorosamente smentita dai tre milioni d’inglesi che si riversarono sulle strade di Londra per rendere omaggio alla «principessa del popolo». Comincia da allora, per la regina d’Inghilterra, la lenta e laboriosa riconquista del prestigio perduto. Vi è riuscita, alla fine, perché la monarchia è uno spettacolo a cui la grande maggioranza della società britannica non intende rinunciare.