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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Mel Brooks: «Se non avessi fatto questo mestiere, avrei potuto vendere ogni cosa: fiori, accappatoi, auto usate. Sono nato per essere un venditore». Piccole confessioni di un mostro della commedia. Dal Frankenstein Junior che, 40 anni fa, rischiò di non uscire perché era in bianco e nero all’amore con Anne Bancroft, la signora Robinson de Il laureato

Ha 88 anni Mel Brooks. Ma nella sua voce c’è la gioia che di solito appartiene ai bambini. Parlando di Milano, si entusiasma: «Che bellissima città, piena di gente sofisticata, buoni ristoranti. Ho un amico lì, Ezio Greggio. E mi piace molto quella grande chiesa... quella in centro...». Nessuna traccia dello snobismo che si potrebbe permettere chi fa parte della storia del cinema, ma, anzi, un candore spontaneo che lo porta a dire con orgoglio (e in italiano) quanto dell’Italia ami anche «il risotto giallo», indugiando parecchio sulla «i». 
Se non fosse diventato un gigante della commedia, cos’altro avrebbe fatto? 
«Sarei stato un grande venditore. Avrei potuto vendere ogni cosa: fiori, accappatoi, auto usate. Sono nato per essere un venditore». 
Lei, Woody Allen, Neil Simon, Lenny Bruce. L’elenco dei comici ebrei è infinito. 
«Perché ci hanno proibito di fare ogni altra cosa. Non potevamo possedere niente... C’era poca scelta: o fare boxe o film». 
Oggi esce il blu-ray di «Frankenstein Junior»: 40 anni dopo è ancora moderno. 
«I miei film non scadono perché sono sulle persone e suoi loro comportamenti. Questo è il segreto». 
Tra i fan, persone diverse come Hitchcock e Reagan... 
«Tutti amano chi li fa ridere. Perfino i poveri si sentono superiori ai comici. Far ridere è più difficile, ma una buona commedia può anche far piangere: in questo film succede». 
Come è nata l’idea del film? 
«Da ragazzi sia io che Gene Wilder avevamo visto il Frankenstein di Whale del ’31. Ne abbiamo parlato sul set di Mezzogiorno e mezzo di fuoco e lui ha detto: pensa al nipote di Frankenstein che, imbarazzato dalla follia del nonno, nega le sue teorie. Gli ho detto: questo è un film, un bel film. Lo abbiamo scritto in tre mesi, tutte le notti». 
Credevate sarebbe stato un successo? 
«Abbiamo capito che era divertente perché ci abbiamo messo molto a girare: dovevamo interrompere le riprese visto che tutti ridevano. Era un continuo ripetere: “Controllati, smettila di ridere, dobbiamo finire il film, non lo finiremo mai così. Serve disciplina, disciplina!”. E ridevano ancora di più. Però no, non mi aspettavo un successo così». 
Retroscena inediti? 
«C’è una cosa che non ho mai detto. Avevamo fatto un buon accordo con la Columbia Pictures: ci avrebbe dato quasi 2 milioni di dollari per fare il film. Dopo le strette di mano, mentre ero sulla soglia della stanza dove avevamo fatto la riunione coi dirigenti, dico: “Ah, tra l’altro, faremo il film in bianco e nero”, e ho chiuso la porta. Hanno iniziato a corrermi dietro, gridando: “No, no, non puoi farlo in bianco e nero. Il bianco e nero è vecchio, no, no: colore, colore! Tutti ormai hanno il colore, anche il Perù ha il colore”. E hanno rotto il contratto». 
Il film era bocciato? 
«Sì, Frankenstein Junior non sarebbe più uscito. Ma un produttore ha dato alla 20 Century Fox il copione: l’hanno amato e ci hanno dato più soldi. Il bianco e nero doveva essere un addio ai film di quell’epoca». 
E lei, che spettatore è? 
«La condizione è andare al cinema: non mi piace vedere i film su schermi piccoli. Amo stare seduto tra tante persone che guardano e ridono assieme: sono concepiti per questo i film. Ora i ragazzi guardano anche i miei sul cellulare, è folle, non va bene». 
Ha vinto un Grammy, un Tony, un Emmy e un Oscar. Punta al Nobel? 
Ride. «Ho vinto abbastanza premi in vita mia. Ma resto impegnato: il mio one-man show a teatro sta andando molto bene. È uno dei tanti progetti». 
La commedia è cambiata? 
«È diventata un po’ troppo volgare negli ultimi anni. La commedia va fatta con talento e spirito, non si può pensare solo alle parolacce per far ridere. Tra chi apprezzo oggi ci sono Sara Silverman, Adam Sandler e Billy Crystal». 
È stato sposato con Anne Bancroft, la signora Robinson de «Il laureato»... 
«Era di origini italiane, è stata una grandissima artista. Voglio raccogliere i film meravigliosi che ha fatto in un cofanetto». Lo chiamano, deve scappare. Ma prima c’è tempo per un’ultima parola che Mr. Brooks vuole dire in italiano: «Buona fortuna».