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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Il Pd conquista Emilia Romagna e Calabria, ma il vero trionfatore di queste Regionali è l’astensionismo: alle urne solo il 40%. Bonaccini e Oliverio sono i nuovi governatori di centrosinistra. E la Lega di Salvini doppia Forza Italia, scesa sotto il 10%. Malissimo anche il M5S

Il meglio dai giornali di oggi sul voto regionale in Emilia Romagna e Calabria.

Si temeva l’astensione per il voto regionale in Emilia Romagna e Calabria, ma è andata peggio del previsto. Sei elettori su dieci hanno disertato le urne. Più in Emilia che in Calabria: dove si è registrata, rispettivamente, un’affluenza del 37,67% (contro il 69,98 delle europee e il 68,13 delle precedenti regionali) e del 44,10% (contro il 45,76 delle Europee e il 59,26 delle Regionali) [Virginia Piccolillo, Cds].
 
In Emilia Romagna il candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini (sostenuto da Pd, Sel, Emilia-Romagna civica e Centro per Bonaccini) vince contro Alan Fabbri, candidato del centrodestra (appoggiato da Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia): con distacco netto (49,05% contro il 29,85%), al punto che l’esponente leghista ha riconosciuto la vittoria dell’avversario senza attendere la fine delle operazioni ai seggi. Molto staccata la candidata del Movimento 5 Stelle Giulia Gibertoni (13,30%).
 
In Calabria ha vinto il candidato del centrosinistra Mario Oliverio, ex presidente della Provincia di Cosenza ed ex deputato sostenuto da otto liste si impone con il 61,1 per cento (Pd, Democratici progressisti, Oliverio Presidente, Centro democratico, Autonomia e diritti, La sinistra con Speranza per cambiare la Calabria, Calabria in rete e Cdu). Molto indietro la candidata del centrodestra Wanda Ferro (23,8 per cento).
 
Dato significativo il sorpasso della Lega su Forza Italia, che in Emilia Romagna è stata doppiata: 19,4% per il Carroccio contro l’8,3 del partito di Berlusconi.
 
È il dato sull’affluenza tuttavia ad avere l’effetto di un detonatore. Carmelo Lopapa su Rep: «Ha tutta l’aria di un segnale al governo, nelle settimane segnate dai dati economici negativi e dalle piazze in fermento. Poco dopo l’1 il premier Renzi tira le somme su Twitter: “Male l’affluenza, bene il risultato. Due a zero netto con quattro regioni su quattro strappate alla destra in nove mesi. La Lega asfalta Forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40 per cento”. Matteo Salvini gli replica sempre su Twitter a stretto giro: “Il pallone Renzi si sta sgonfiando. La Lega vola”».
 
Maria Teresa Meli sul Cds: «Renzi ritiene che nonostante abbia vinto in tutte e due le regioni gli daranno del filo da torcere: “So bene che daranno la colpa a me. È ovvio. Ma io non ci casco. Non mi importa. Queste elezioni non avranno ripercussioni sul mio governo, perché queste elezioni non erano un referendum sul mio esecutivo. Chi crede o spera di mettere in mezzo il governo si sbaglia di grosso. Io vado avanti”. L’uomo è fatto così: “Io potrò anche fallire, ma non per queste elezioni. Continuerò a provarci perché so che abbiamo un’unica possibilità, quella di rivoluzionare l’Italia”. Costi quel che costi. Anche quando il prezzo è la minoranza interna che in Emilia, magari, ha preferito non darsi troppo da fare.
 
Scrive Elisabetta Gualmini sulla Stampa: «Tutto ha remato contro le elezioni in solitaria di Calabria ed Emilia Romagna. L’assenza di qualsiasi traino nazionale o locale, perché non votavano le altre regioni e non c’erano altre consultazioni: né quelle per il sindaco, di cui si parla nei bar, né quelle per il governo nazionale, di cui si parla in televisione. Le indagini sulle “spese pazze” dei consiglieri regionali e le dimissioni dei governatori, non hanno certamente creato entusiasmo, anzi hanno demoralizzato parecchi elettori solitamente ligi. A differenza delle ultime regionali, si poteva votare solo in un giorno, non anche il lunedì».
 
Nando Pagnoncelli sul Cds: «Sia in Emilia Romagna sia in Calabria il centrodestra si è presentato diviso, attraversato da molte difficoltà e in una fase di profonda trasformazione, basti pensare alla crescita di consenso della Lega al Nord e all’importanza di Ncd e Udc in Calabria. Inoltre, il M5S che dopo il trionfo del 2013 ha ottenuto risultati deludenti nelle successive consultazioni, in campagna elettorale è apparso in difficoltà non diversamente dalle altre elezioni locali (con l’eccezione di Livorno). Non a caso Grillo ha messo le mani avanti pronosticando risultati deludenti».
 
«Questo risultato Dipende da molti fattori – dice il professor Piero Ignazi – Gli italiani sono chiamati a votare troppo spesso poi c’è disamore verso le Regioni, in particolare l’Emilia, i cui consiglieri sono stati colpiti da indagini giudiziarie che ne hanno intaccato a fondo l’autorevolezza e non va dimenticato che il voto in Calabria ed Emilia viene anticipato per le dimissioni dei presidenti. Ancora: poiché non si vota più per le Regioni nel loro insieme, il valore politico e la portata mediatica dell’evento è molto meno forte. Infine, va detto che le risorse che la Regione distribuisce sono minori di quelle di un tempo» [Diodato Pirone, Mes].
 
Stefano Folli su Repubblica: «C’è anche, certo, un elemento di modernità e di normalità nella tendenza all’astensione. Eppure è meglio non fare confusione. Il voto compatto del passato, figlio di una disciplina quasi militare, era un ricordo già da tempo. Sotto questo aspetto, la fase post-ideologica era cominciata da un pezzo anche fra Bologna, Modena e Forlì. Tuttavia, poiché l’Emilia Romagna non è il Nebraska, il crollo repentino dell’affluenza è un dato dai risvolti politici che andranno indagati a fondo alla luce dei risultati reali. Non sarà un test sulla salute del governo, aveva anticipato con prudenza la Boschi; ma nemmeno potrà essere sbandierata come un successo di Renzi la probabile assegnazione al Pd dei due nuovi governatori».
 
Secondo Pierluigi Battista (Cds) «Matteo Renzi ha giocato tutto il suo appeal sulla “disintermediazione”, sul rapporto diretto tra il leader e gli italiani saltando la mediazione dei corpi intermedi. Ma il massiccio astensionismo di ieri in Emilia-Romagna rappresenta la reazione ritorsiva dei corpi intermedi. Se il sindacato viene messo con le spalle al muro, chi si identifica con la cultura e la politica che si sono insediati nel sindacato diserterà le urne».
 
Scrive a conferma Francesco Bei su Repubblica: «I renziani sospettano che sia stato proprio lo zoccolo duro del sindacato rosso ad assestare un colpo politico preciso contro il governo. Segnali più o meno espliciti del resto non sono mancati alla vigilia del voto. A partire dal clamoroso invito a disertare le urne (come “regalo a Renzi”) pronunciato da Bruno Papignani, popolare leader della Fiom emiliana. Un non-voto politico, alimentato dalla contrapposizione feroce di queste ultime settimane sul Job Act. Anche per questo il capo del governo nel primo ragionamento a caldo tende a vedere il bicchiere mezzo pieno: “Se dopo un mese in cui ci sono stati gli scontri in piazza, le accuse sulla delega-lavoro, le contestazioni quotidiane in fabbrica organizzate da Landini e i raid di Salvini anti-immigrati, siamo riusciti a vincere lo stesso, va bene. Sinceramente va molto bene”».
 
«Il “partito di Renzi” non è ancora maturo. È nato e tuttavia deve ancora crescere. La sfida a tutto campo ha incontrato i primi, seri ostacoli sul campo. In fondo era il primo confronto elettorale dopo l’ubriacatura delle europee ed è arrivato in un momento non facile per il governo sotto diversi profili. Che Renzi perdesse consensi nel vecchio mondo legato alla storia del Pci e del sindacato, era comprensibile. Ma il futuro del fenomeno politico intestato al presidente del Consiglio sarà deciso da un unico, determinante fattore: la capacità del giovane leader di conquistare altri voti (parecchi voti) in settori nuovi della società, in modo da compensare quelli perduti e allargare la base sociale di riferimento» [Stefano Folli, Rep].
 
Il risultato peggiore è quello di Forza Italia: «Alle politiche del 2013 in Emilia Romagna il partito di Berlusconi aveva il 16 per cento, il Carroccio meno del 3. Il fatto che in un anno e mezzo Salvini sia riuscito a colmare lo svantaggio e a ribaltare la situazione non può essere liquidato come un evento locale. Significa che gli equilibri nel centrodestra possono saltare, specie se i leghisti chiederanno agli alleati di assecondare la loro linea dura contro Renzi e di mandare all’aria il patto del Nazareno [Renato Pezzini, Mes].
 
Mario Ajello sul Mess: «“Servo io e questa è la riprova”. Per Silvio Berlusconi, la Calabria è “terra amara”, come la chiamava lo scrittore Corrado Alvaro. Qui il centrodestra poteva tutto. «Eravamo incontrastati in Calabria – ragiona il leader di Forza Italia ad Arcore a proposito del trionfo del centrosinistra – e ora ci siamo fatti del male da soli”. Il centrodestra ha perso perché diviso. E “spero che anche Alfano – incalza Berlusconi – abbia finalmente capito, vedendo ciò che succede in queste regionali, che disuniti si perde”».
 
«Il Movimento 5 Stelle invece, si è semplicemente ritratto. Non solo perché manca di una classe dirigente nei territori. In Calabria Grillo aveva da tempo presagito il crollo. Fosse stato per lui, il simbolo non sarebbe stato nemmeno esposto, come in Sardegna. «Le comunali di Reggio Calabria? Abbiamo scherzato per noi il 2,5% è una enormità. Con le Regionali magari prenderemo il 2,2%. Magari mettiamo lì due-tre consiglieri, non si tratta di prendersi la Regione, non ce la faremo...». Quasi la stessa cosa in Emilia Romagna, dove l’antipolitica aveva trionfato e aveva creato non pochi fastidi al Pd. Solamente un blitz, di malavoglia, di sera tre giorni prima delle elezioni. Praticamente di nascosto» [Elisabetta Gualmini, Sta].