Corriere della Sera, 24 novembre 2014
Scioperi a oltranza: l’acciaieria di Terni come Fiat Mirafiori nel 1980. Con oltre 35 giorni di blocco l’Umbria diventa simbolo dell’operaismo
Ilavoratori dell’acciaieria di Terni evidentemente non sono scaramantici. Infatti con la sofferta decisione presa ieri mattina di prolungare lo sciopero a oltranza fino a mercoledì 26 novembre arriveranno al fatidico numero di 35 giorni consecutivi di blocco. Siamo dunque alla cifra simbolica della Fiat Mirafiori dell’autunno 1980, data che resta scolpita negli annali del sindacalismo italiano e che fa parte della lista delle «eroiche sconfitte».
Più di un mese di sciopero è una dose di conflittualità ancora più dura per un territorio come quello umbro e non è un caso che a premere perché la lotta fosse «rimodulata» non era solo la Confindustria locale ma anche i lavoratori delle ditte dell’indotto. C’è stato persino un tentativo di organizzare un’assemblea di autoconvocati, «poche unità di lavoratori che proponevano il rientro incondizionato» secondo quanto dichiarato dalla Cgil locale.
Non è un mistero, poi, che tra i commercianti sia forte la preoccupazione per il calo di reddito che si farà inevitabilmente sentire nel mese di dicembre nel Ternano. Come avviene in questi casi le assemblee – che si tengono in strada perché in fabbrica non si può – vengono definite «combattute» nelle cronache ma chi le vive userebbe di più l’aggettivo «amare». Saltano fuori non solo le divergenze tra i sindacati, con la Fiom in chiave barricadera, ma anche altre tipologie di differenze tra cui la più evidente è quella che divide gli operai con moglie che lavora da quelli con famiglia monoreddito. Sono contraddizioni che difficilmente vengono raccontate sui giornali, eppure lasciano strascichi e rompono amicizie pluriennali.
Gli operai comunque hanno deciso di andare avanti e cambieranno la forme di lotta solo mercoledì. Il comunicato recita così ma si tratta di una foglia di fico perché se il 26 da Roma non dovesse arrivare l’attesissima fumata bianca la situazione potrebbe radicalizzarsi ancora di più. In questi sei anni di crisi chiusure di impianti ce ne sono state un po’ in tutte le zone del Paese, e in qualche caso le ore di sciopero hanno raggiunto quota 150 (Electrolux), la vicenda dell’Ast ha però qualcosa di particolare. Vuoi perché la crisi dello stabilimento è figlia di una mancata vendita dalla Thyssen ai finlandesi dell’Outukumpu (vietata dal giurassico antitrust europeo), vuoi perché si era sparsa la voce che i tedeschi volessero uscire del tutto dalla siderurgia e, infine, anche perché la top manager italiana che gestisce l’Ast, Lucia Morselli, ha adottato una tattica aggressiva e inutilmente spregiudicata. Per tutti questi motivi Terni è diventata la capitale dell’operaismo duro pur partendo da tradizioni sindacali da Partecipazioni Statali, non certo oltranziste. Delegazioni delle tute blu umbre in queste settimane si sono recate persino a Bruxelles e Monaco per incontrare la Ue e la ThyssenKrupp e poi hanno messo in atto anche un blocco dell’Autosole che ha spezzato l’Italia in due per più d’un paio d’ore.
Ma perché la trattativa è ancora in bilico, visto che in molti avevano giurato su una chiusura già la scorsa settimana? L’azienda ha dato rassicurazioni sul piano industriale: per i primi 24 mesi i due forni di Terni continueranno a lavorare e poi dovrebbe esserci una verifica, si produrrà almeno un milione di tonnellate di acciaio colato, si cercherà di entrare nei mercati del Far East, si trasferirà da Torino in Umbria una linea produttiva e si faranno investimenti in sicurezza e tecnologia per 150 milioni.
I problemi arrivano con i risparmi sul costo del lavoro. Gli esuberi richiesti da Morselli inizialmente erano 573, scesi poi a 290 di cui 165 già coperti da esodi volontari grazie a uno scivolo di 80 mila euro ciascuno. Ne rimarrebbero 125 e l’azienda vuole scrivere nero su bianco che, se non dovesse trovare altri volontari, potrebbe ricorrere ad altrettanti licenziamenti.
Operai e sindacati si oppongono e anche sulla revisione degli istituti della contrattazione integrativa tengono duro. La Thyssen vuole un premio di produzione variabile e ridurre le maggiorazioni sul lavoro domenicale e notturno ma finora non è passata. Si spiega così come la battaglia di Terni sia ancora aperta, tutti dichiarano che «non siamo distanti», intanto però la fabbrica resta chiusa e si pagano salatissime penali di mancata consegna a clienti come Fiat, Electrolux e Indesit.
Non resta quindi che confidare in un buon mercoledì al tavolo ministeriale, e del resto anche per l’ex Lucchini di Piombino questa settimana potrebbero arrivare notizie positive visto che l’asta tra gli algerini della Cevital e gli indiani della Jindal è alle battute finali.
Resta sullo sfondo il rebus Ilva: c’è un’ipotesi di una cordata Mittal-Marcegaglia ma il tempo stringe. E oggi i cancelli dell’impianto Ilva di Porto Marghera saranno bloccati dalla protesta di 300 autotrasportatori che non vengono pagati da aprile. Ad organizzarli è la Cgia di Mestre che, messe da parte per una volta le statistiche del sabato, torna a fare il sindacato degli artigiani.