il Giornale, 24 novembre 2014
«Mio marito Gucci non meritava di vivere. L’ho amato alla follia ma non dirò mai perché l’ho fatto uccidere». Parla Patrizia Reggiani, reduce da diciassette anni di carcere. «Ora posso solo chiedere di essere amata per quella che sono»
«Il carcere mi ha reso ancora più cosciente del potere che ho sulle persone: al Victor residence, come io chiamo San Vittore, comandavo parecchio e tutte le detenute, indistintamente, mi obbedivano senza fiatare, apprezzando quel rigore che ho imparato dalla mia famiglia e dalla scuola, quando studiavo per diventare interprete parlamentare. All’inizio le ho prese, lo ammetto. Ma le ho subito restituite e con gli interessi. E da allora nessuno mi ha più toccata. Anzi le altre hanno iniziato a imitarmi, a truccarsi, profumarsi, a stare in giardino ore e ore a decorare i vasi, un’attività che mi ha salvato la vita... Credo di aver imparato ben poco in carcere, dove avevo senz’altro meno problemi che nel mondo esterno e mi sentivo in un certo senso protetta. In compenso ho insegnato parecchio, ho portato là dentro il mio mondo, non mi sono fatta sopraffare da quello che ci ho trovato. E adesso neanche mia madre, nonostante la sua tempra da 88enne d’acciaio, mi sgrida più: non osa».
La signora è eccentrica ma non volgare. Indossa un abito di maglia blu elettrico su cui spicca una coloratissima spilla, con cappello, calze e stivali in tinta e siede tranquilla accavallando le gambe su un divano di pelle bianca, profilato in nero che ben si addice al suo pedigree di dama della Milano da bere. Sorride molto, non è alta né longilinea, non è più giovane, non disdegna il botulino seppur a piccole dosi, ma lo charme resta. Per Patrizia Reggiani Martinelli, vedova Gucci – reduce da 17 anni di carcere dopo essere stata condannata come mandante nel marzo 1995 dell’omicidio dell’ex marito Maurizio in uno dei casi giudiziari italiani da jet set che hanno fatto impazzire la stampa di mezzo mondo – è come se il tempo e le vicende che le sono capitate non l’avessero nemmeno sfiorata. Come se questa donna che visse due volte, fosse riuscita misteriosamente a resettare il passato tetro di morte, amicizie improbabili, una malattia feroce, squallide celle di carcere e una fama mai fugata di vedova nera. Conservando solo i ricordi di quel mondo tra gli anni ’70 e ’90 dove il marito, le figlie, le feste, la vita meravigliosa restano cristallizzati in una sempiterna realtà parallela a quella attuale nella quale lei si proietta appassionata nel futuro.
La incontriamo nello showroom «Bozart», marchio storico milanese di accessori di moda di alto artigianato di proprietà della coppia Maurizio e Alessandra Manca con cui Patrizia collabora da aprile e per il quale ha ideato per la primavera estate 2015 una linea di raffinate ed estrose borse in pelle plissettata e multicolore dal titolo a tema Rainbow’s tales, i racconti dell’arcobaleno. I Manca descrivono la loro «dipendente» puntualissima, precisa, immersa nelle riviste di moda e al passo coi tempi, ma diffidente verso il computer. «Patrizia è molto competente in fatto di tendenze, perfetta per testare i prodotti – spiegano i titolari della Bozart -. Sa dirti quel che funzionerà o no, conosce alla perfezione cosa vogliono le donne o cosa detestano. Quando l’abbiamo incontrata ci ha scrutato con aria di sfida: “Così voi sareste i miei nuovi capi!” Le abbiamo risposto: “Ammesso che lei ce l’abbia mai avuto un capo!”». E giù una risata.
«Il plissé è in ricordo di quel gran gala – continua lei – dove andai con Maurizio negli anni ’80 indossando un favoloso abito ricamato con la gonna appunto plissettata. Ma qualcuno ci mise un piede sopra, mi strappò la stoffa e anche il plissé. Il gusto, i materiali, le cose belle, non si dimenticano dopo anni passati a far shopping per il mondo, frequentando le migliori famiglie... Ma non vivo nel passato: la vita deve ancora concludersi, dobbiamo aspettarci sempre cose nuove», sussurra, guardandosi attorno con quegli occhioni che fecero di lei la «Liz Taylor dell’Alta Moda», moglie invidiatissima dell’erede della griffe fiorentina delle due G, il nipote di Guccio Gucci.
«Da quando sono uscita dal carcere mi sono accorta che i veri personaggi da jet set non ci sono più – prosegue la signora -. Catapultata dal carcere in questo mondo pieno di pregiudizi e dove ti accolgono con degli “ah, ben venga” di sufficienza posso solo chiedere di essere amata per quella che sono. La mia vita è stata ed è tuttora piena di amore e cose belle. Anche io e Maurizio ci siamo amati moltissimo e siamo stati tanto, tanto felici, genitori innamorati di due splendide figlie che mi hanno già resa nonna. Lui mi chiedeva consiglio su tutto, conosco a memoria gli archivi della Gucci e se li avessi in mano io adesso saprei certo cosa farne dinanzi a una moda e a delle griffe che trovo assai prive di femminilità. Ma il sogno di riavere la Gucci resterà tale, servirebbe troppo denaro». E con un gesto eloquente della mano, Patrizia indica di averci messo una pietra su.
Le chiediamo quanto le sia costata la sua di femminilità: tutti sanno, signora, che agli inizi degli anni ’90 lei andava a chiedere in giro, quasi ossessivamente, che qualcuno uccidesse per lei suo marito Maurizio. Era una specie di tormentone da high society, tra Sankt Moritz e Saint Tropez.
«Ho sempre cercato di non arrendermi mai agli eventi. Anche il tumore che ho avuto al cervello l’ho combattuto e continuo a farlo tuttora, quando ho qualche capogiro o improvvisamente non so dove sono per qualche minuto, anche con la mia forza di volontà. Ma non volevo Maurizio morto, l’avevo amato come una pazza, era il padre delle mie figlie. In quel momento della mia esistenza, però, ero convinta che un essere come lui non fosse degno di vivere. Perché? Non lo dirò mai. Posso però confidarle che entrambi ci “innamoravamo” delle persone al punto da credere ciecamente in loro. Lui, poi, era peterpaneggiante. Seguiva le persone sostenendone idee e progetti. Poi tornava sempre da me per ammettere, sconsolato: “avevi ragione tu”. Troppo buoni? Sì, eravamo troppo buoni».
E che ci dice signora del risarcimento che aspettano Paola Franchi ultima compagna di Maurizio Gucci e Giuseppe Onorato, ex portiere dello stabile di via Palestro (rispettivamente 700mila euro e 170mila euro stabiliti dalla Cassazione) rimasto ferito durante l’attentato al suo ex marito? «Come disse Oscar Wilde credo molto nella giustizia, poco nella legge, per niente nella magistratura ed è forse per questo che ammiro così tanto Berlusconi – premette secca Patrizia Reggiani -. Io sono nullatenente. Vivo nella villetta di mia madre accanto al tribunale, allo showroom guadagno 600 euro al mese. Maurizio Manca e il mio legale, Danilo Buongiorno, insistono perché devolva il 70 per cento dei miei guadagni a favore di Onorato... Forse lo farò» conclude vaga ma possibilista la signora.