il Giornale, 21 novembre 2014
«Sto in ansia, dunque scrivo». Così la scrittura difese Giovannino Brera dal male oscuro e gli insegnò a mettere l’anima «sottovento» per ben alimentare la preziosa fiammella
Il famoso motto di Cartesio – Cogito, ergo sum – è stato variamente riscritto dai filosofi ma la migliore reinterpretazione si deve a Gianni Brera. Il grande giornalista lo riformulò così: «Sto in ansia, dunque sono». Pare, infatti, che l’Arcimatto soffrisse di stati d’ansia e per tenere sotto controllo agitazioni e palpitazioni e non farle degenerare in angoscia e stati depressivi buttasse giù mezza pillola o di Tavor o di Control, quasi nulla. Ma la vera pillola magica di Giovannino Brera era la scrittura che è di per sé un ansiolitico e chi scrive – dice oggi il figlio di Brera, Paolo – ha meno bisogno di difendersi dall’ansia. Chissà.
Alla metà degli anni Settanta, Brera scrisse un volumetto intitolato Introduzione alla vita saggia ove con ironia affrontò il tema dell’ansia – della sua ansia – per dire con eleganza che essa, se tenuta sotto controllo, non è un male ma un bene: una sorta di spia di sicurezza che mette in guardia dai pericoli. Oggi che siamo tutti ansiosi, il volumetto di Brera pubblicato da Il Mulino è quanto mai prezioso: l’esercizio che invita a fare è mantenere – anche con l’aiuto di una pillola – il carattere positivo dell’ansia, da cui dipende il progresso su se stessi, evitando di farsi prendere dal suo carattere negativo – angoscia e depressione – che Giuseppe Berto nel suo gran libro chiamava Il male oscuro. In cosa consiste allora la saggezza secondo Brera? Nel trovare l’equilibrio o il punto mediano «fra il timore che si spenga e la speranza che lingueggi la fiammella fatidica» dell’anima.
Ma l’Arcimatto era saggio? Il figlio Paolo nella nota posta in coda al volumetto ricorda che la saggezza era assente nella scelte di vita del padre che «ai bivi dell’esistenza spesso sceglieva da sconsiderato». Il più delle volte gli andò bene ma non per i motivi che aveva pensato. Come quando nell’immediato dopoguerra non accettò la direzione di un giornale comunista a Novara, preferendo entrare da semplice cronista alla Gazzetta dello Sport. La scelta fu azzeccata visto che divenne in poco tempo direttore della «Rosea» a meno di trent’anni.
Il volumetto sulla «vita saggia» di Brera è impreziosito da un Elogio della pillola che Carlo Verdone fa a mo’ di prefazione. Perché? Perché «io sono stato un campione di benzodiazepine e non mi vergogno affatto di dirlo». Il punto è sempre quello: come tenere a bada l’ansia. Se non si può essere Seneca o Epitteto che percorrevano stoicamente la via di fuga dalle passioni – ma sarà vero? – allora rimane «la via della farmacia» che percorsa con intelligenza evita i danni degli stati ansiosi (gastriti, coliche, ulcere…). Un po’ di ansia non fa male e «in fondo – nota Brera -, proprio le ansie del gran gobbo di Recanati sono alla base della sua fortuna. Quando era limpido, in lui aveva alla meglio il pedante sul poeta divino». Lo stato d’ansia tendente alla depressione ma commutato in carica positiva dovette essere il segreto anche di Brera che imparò a mettere, come dice, l’anima «sottovento» per ben alimentare la preziosa fiammella. Tutto sta nel capire quando intervenire: «Importante è avvertire il bisogno, cioè intuire il momento in cui l’ansia si dilata ad angoscia, come fumiganti veli di nebbia che alla fine si uniscano in un banco impenetrabile».