La Stampa, 21 novembre 2014
Processo Musy: «Fu ucciso su commissione, il killer pagato dalle cosche» dice un amico di Furchì in un’intercettazione. L’accusa, pm e parte civile, chiedono che venga interrogata Maria Cefalì, moglie dell’amico del cuore di Furchì, Felice Filippis
Il processo Musy fa registrare un nuovo colpo di scena. L’accusa, pm e parte civile, chiedono che venga interrogata Maria Cefalì, moglie dell’amico del cuore di Furchì, Felice Filippis. Riassunto delle udienze precedenti: emerge che i due, entrambi di origine calabrese, avevano mantenuto stretti rapporti anche dopo l’arresto. L’avvocato di parte civile, Giampaolo Zancan, aveva rivelato che un compagno di cella di Furchì, il sedicente 007 Pietro Altana, aveva appreso che nel capanno degli attrezzi dell’orto di Filippis, c’era un’intercapedine sotto il pavimento, nascondiglio di di armi, carabine e pistole. L’uomo, reinterrogato, aveva confermato la circostanza ma chiarito di non avere mai ricevuto da Furchì una pistola; poi frasi, ricavate dalle ambientali, tipo: «Se parlo io, quello si piglia cent’anni di galera....».
«Delitto su commissione»
Il pensionato, tra l’altro sofferente di cuore, si esprime in un indecifrabile dialetto calabrese. C’è voluto un interprete per dare un senso agli scambi di battute della coppia. In sostanza, i due affermano che l’omicidio dell’avvocato torinese poteva essere stato ordinato da entità mafiose non conosciute; che il compenso sarebbe stato di 30 mila euro, depositati sul conto corrente della sorella di Furchì, Caterina e che, infine, «una pistola sarebbe ritornata in Calabria», dopo il delitto.
La difesa: «Solo fesserie»
La prima replica arriva da Caterina Furchì: «Sono indignata, quei soldi li ho avuti da una finanziaria per spese mie personali». E l’avvocato della difesa Giancarlo Pittelli: «Sono affermazioni completamente ininfluenti, tanto per sollevare un inutile polverone. Le considerazioni dei due coniugi, se mai fossero vere, adombrerebbero collegamenti tra Torino e le cosche calabresi. Suona come un insulto alla vittima. E intanto l’assassino vero di Musy circola indisturbato, nessuno lo cerca». Gli avvocati della difesa hanno contestato duramente quest’ultima fase dell’inchiesta «fuori controllo», dicono gli avvocati Maria Battaglini e Maria Rosaria Ferrara. Ma il fascicolo aperto dai pm contro ignoti su un eventuale complice di Furchì consente all’accusa di indagare ancora, anche con il processo in corso. Il presidente, Pietro Capello, ha fatto mettere a verbale la loro posizione.
«Contesto inquietante»
Ma Zancan e il pm sembrano sicuri del fatto loro. Il 2 dicembre Maria Cefalì sarà interrogata e dovrà spiegare ai giudici che cosa intendeva veramente rivelare, in quelle conversazioni registrate dalle microspie sistemate in auto e in casa dagli investigatori della sezione omicidi della squadra mobile. Zancan: «Le intercettazioni consentono di ricostruire l’ambiente e il contesto dove è nato il delitto. La storia dell’arma, che ritorna in più occasioni, si lega in modo forte alla figura di Furchì, così come le altre dichiarazioni. È il sottobosco di un’azione omicidiaria che ha un movente, un tempo definito e una serie di azioni successive. Che ora stiamo ricostruendo.
Udienza decisiva
La deposizione di Maria Cefalì potrebbe essere decisiva. La donna infatti, entra nei dettagli: «...A’ pistola illu s’inde liberau subito...da cu ha mandà mu’ ammazzà chillu, perchè secondo me lui è stato mandato». E il marito: «E u’ pagaru...che si è trovato 30 mila uero nel conto...Me l’ha detto la sorella». Traduzione: l’assassino s’è liberato subito della pistola, l’ha riportata in Calabria.