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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

Dopo il ricorso contro il prelievo forzoso di 150 milioni alla Rai, il Pd chiede le dimissioni dei consiglieri Colombo e Tobagi ma loro non ci stanno: «Siamo stati eletti su indicazione della società civile proprio per evitare interferenze politiche nella gestione dell’azienda»

Corriere della Sera
Gherardo Colombo, consigliere Rai. Dopo il voto a favore del ricorso contro il prelievo di 150 milioni dal bilancio Rai deciso dal governo, il Pd ha chiesto le dimissioni sue e del consigliere Benedetta Tobagi. Si dimetterà? 
«Siamo stati eletti su indicazione della società civile dopo che l’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva dichiarato di non voler indicare i membri del Cda Rai che sarebbero stati “di spettanza” del Pd proprio per evitare interferenze politiche nella gestione dell’azienda. Stiamo svolgendo il compito che ci è stato assegnato, appunto, dalla società civile. Non da altri». 
Quindi niente dimissioni. Ma la contrapposizione tra il Consiglio Rai e l’azionista, cioè il ministero dell’Economia, non è una contraddizione insopportabile? 
«La Rai è una società per azioni. La disciplina prevista dal Codice civile – articoli 2392, 2380 bis e 2377 – parla chiaro. La gestione della società spetta esclusivamente agli amministratori i quali intraprendono le azioni che giudicano necessarie. Al punto che possono impugnare le deliberazioni dell’assemblea dei soci: perché sono responsabili verso la società, e non verso i soci, dei possibili danni che derivano dall’inosservanza dei doveri. Per spiegarmi: il rapporto tra amministratori, noi, e soci, l’azionista, secondo il Codice civile è assai diverso da quello che è stato prospettato in questi giorni». 
Dunque ritiene che il prelievo di 150 milioni deciso dal governo Rai nella spending review sia un danno per la Rai? Il Pd parla di atto politico e ostile al governo. 
«Non è certo un atto politico né tantomeno contro il governo. Il problema è che dall’inizio si è aperto un dibattito sulla legittimità costituzionale di quell’intervento. Abbiamo consultato costituzionalisti del livello di Enzo Cheli, Alessandro Pace, Massimo Luciani e un amministrativista come Aristide Police. Se i pareri confortano l’ipotesi per cui la questione dell’incostituzionalità non appare né infondata né irrilevante, noi amministratori abbiamo il dovere di tutelare l’azienda proprio perché non siamo dei politici. Mi stupisce il fatto che, proprio mentre si immagina di cambiare la governance della Rai per sottrarla all’influenza dei partiti, quando si prendono decisioni indipendenti succede il finimondo…». 
Secondo il direttore generale Luigi Gubitosi, un consigliere Rai che vota contro il governo deve dimettersi. 
«Mi sembra di aver già risposto prima. Gubitosi, che comunque non fa parte del Consiglio di amministrazione, è un eccellente direttore generale, davvero nulla da dire sulle scelte sotto il profilo economico, finanziario e gestionale. Ma forse non ha ben chiaro il rapporto che ho appena descritto tra amministratori, società e soci secondo il dettato del Codice civile». 
Cosa accadrà dopo una simile frattura tra Cda e Gubitosi? 
«Non lo so… spero che questa situazione si possa superare». 
Non è in difficoltà, vista la sua storia personale, a votare accanto al consigliere berlusconiano Antonio Verro? 
«Ho una prospettiva diversa. Non sono abituato a ragionare in termini di schieramenti ma di contenuti. Questo Consiglio ha spesso adottato decisioni all’unanimità e nessuno si è scandalizzato. Da maggio abbiamo lavorato sul tema del prelievo dei 150 milioni. L’ordine del giorno porta la firma di Verro ma è il frutto di un confronto collettivo approfondito e serio». 
Quindi voi due consiglieri della Società Civile, con Benedetta Tobagi, andrete avanti per la vostra strada… 
«Io parlo ovviamente per me ma credo che tutti proseguiremo. Poiché ritengo che la decisione sia assolutamente in linea con gli autentici interessi della Rai, sarebbe davvero un controsenso se non proseguissi serenamente col mio lavoro».

Paolo Conti

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La Stampa
Brindisi e complotti. Non è il titolo di una fiction ma il “paradosso” in casa Rai, che strappa applausi e capitali in borsa per Raiway ma si spacca in cda. «Però, a quelli che ci accusano di aver oscurato la quotazione delle antenne rispondiamo che se ne faranno una ragione…».
Parla come il premier Renzi ma è Antonio Verro il consigliere più berlusconiano che ci sia alla Rai. Per lui, quel che è fatto è fatto. «Il mio ordine del giorno contro il prelievo all’azienda di 150 milioni di euro era fermo in cda dai primi di luglio. Poi, sempre rinviato. Altro che complotto», tuona. «Se 6 consiglieri su 9, con storie, competenze e culture diverse avviano un’azione contro un provvedimento così invasivo del governo, ci sarà una ragione». E già. La prima è chiara e articolata: «quella di interpretare l’umore e il sentimento dei dipendenti e dei sindacati tutti che non hanno condiviso “l’azione” del governo». Anzi, secondo alcuni pareri legali il prelievo-Rai sarebbe incostituzionale. E da qui, l’azione dei consiglieri per mettersi al riparo anche da eventuali richieste risarcitorie della Corte dei Conti; la seconda meno “istituzionale” ma ugualmente efficace.
Esce dal cilindro di un assai navigato ex consigliere Rai – per il quale l’alzata di scudi segnerebbe l’inizio non solo «del si salvi chi può» ma anche del «ricicliamoci un po’». Segno, spiegano a viale Mazzini, che «nel palazzo della Tv pubblica la rottamazione ancora non s’è vista». Anzi, non è mai cominciata. Tant’è che il cda resta saldamente ancorato - fa notare un manager - «all’era Monti», quando arrivarono «gli alieni» (così la politica bollò il nuovo corso di viale Mazzini) .
E da allora, sottolinea Michele Anzaldi del Pd, è trascorsa «un’era geologica». Tanto è vero che «i tre montiani hanno assunto tre posizioni diverse», insiste Anzaldi: «Gubitosi contro il cda, il consigliere Pinto a favore, la presidente Tarantola astenuta. E questa scelta lascia basiti perché la figura del presidente di garanzia, alla quale si richiama la numero uno di viale Mazzini, nella legge attuale non c’è, non esiste; ma di che cosa parla Anna Tarantola?».
Scontri a parte, la sintesi del caos arriva da una autorevole fonte di viale Mazzini: «Il problema è che tutte le forme di solidarietà politica in cda sono saltate. Il risultato è che la Rai è al collasso». In cerca non solo di una governance migliore ma anche di una nuova missione. «Non mi preoccupo del mandato in scadenza ma della scadenza del contratto del servizio pubblico. Cosa sarà della Rai nel 2016?», conclude Verro. E poi, come si muoverà il governo dopo l’ennesimo scontro con i vertici aziendali? A viale Mazzini raccontano che l’esecutivo è a un bivio: far finta di niente per quanto accaduto, e lasciare che la consiliatura si esaurisca con l’approvazione dell’esercizio di bilancio la prossima primavera, oppure agganciare alla riforma del canone anche quella della governance, come fa capire il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli. Ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo i tempi: troppo stretti anche per un dibattito di riforma Rai. Così ora si fa largo l’ipotesi di cambiare viale Mazzini con un decreto legge ad hoc. Si dirà, «non è mai stato fatto per la Rai». Vero, chiosa una fonte del Cda: «Ma vista la crisi che coinvolge la Tv pubblica e l’intero sistema audiovisivo, la Rai può permettersi il lusso di gettare via altri quattro-cinque mesi?».
Paolo Festuccia

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la Repubblica
Tira fuori un documento dopo l’altro, Benedetta Tobagi. Il lancio di agenzia attraverso cui il Pd di Bersani le prometteva totale autonomia. La lettera a Napolitano dell’Unione europea delle radiotelevisioni in cui si protestava per il prelievo forzoso di parte del canone. L’articolo del codice civile secondo cui gli amministratori sono responsabili verso la società, «non verso i soci », aggiunge lei. I tweet in cui la attaccano, le proposte di dialogo che aveva fatto al Pd «senza ottenere risposta». Critica il direttore generale Luigi Gubitosi, «ha dato un chiaro segnale di fedeltà a questo governo», e la presidente Anna Maria Tarantola: «La sua pavidità ha permesso al centrodestra di cavalcare questa vicenda».
Lei e Gherardo Colombo avete avallato un’operazione contro il governo organizzata dal centrodestra.

«Non è così».
Ma avete appoggiato i berlusconiani. Questo non è in contraddizione con il suo ruolo nel cda Rai, e con la sua nomina?

«Veramente Verro ha riproposto un tema in discussione da maggio. Il consiglio aveva già deciso informalmente di approfondire la modalità del prelievo per verificarne la costituzionalità. Per massimo rigore abbiamo chiesto il parere di 4 giuristi. Poi, con grande dispiacere, abbiamo notato una forte inerzia da parte della persona che fissa l’ordine del giorno, la presidente Tarantola. A furia di rimandare alle calende greche, un consigliere, com’è nel suo diritto, ha posto la cosa all’ordine del giorno. È stata la pavidità, non la prudenza, di Anna Maria Tarantola, a consentire ad Antonio Verro di mettere il cappello su questa vicenda».
Il Pd ha chiesto le vostre dimissioni. Come risponde?

«Con la dichiarazione di Bersani del 18 giugno 2012, in cui il segretario Pd diceva di essere orgoglioso di sostenerci e prometteva di rispettare la nostra indipendenza. I tempi cambiano, adesso dalla responsabile cultura del partito ci arriva una richiesta di obbedienza. È chiaro che chi è al potere vuole una Rai assoggettata al governo, ma il mio dovere non è verso l’esecutivo, è verso il servizio pubblico».
Anche secondo Luigi Gubitosi chi vota contro l’azionista ha il dovere di dimettersi. Lo farà?

«No, ma spiego perché. Questo dg ha mostrato grandi capacità manageriali per come ha gestito la privatizzazione di Rai Way, e per farlo ha dovuto rispettare tutti gli adempimenti previsti per garantirne l’indipendenza, tra cui la nomina di “consiglieri indipendenti”. Ora, però, si fa paladino di una concezione padronale (il padrùn) secondo cui il consigliere deve obbedire all’azionista. È molto grave, così si torna alla Rai com’era prima della riforma del ’75, controllata dall’esecutivo, dalla Dc, da Ettore Bernabei. Gubitosi è in scadenza, come il consiglio: ha voluto dare un segnale di fedeltà a Renzi».
La richiesta di risparmi da parte dell’azionista non è illegittima, in un momento in cui tutti sono costretti a tagliare, non crede?

«Sono stata una partita Iva, ho visto cose che voi umani...non c’è un mio atto che vada contro i risparmi dell’azienda. Cosa sarebbe successo se al governo ci fosse stato Berlusconi? Non stiamo vivendo i tempi dell’editto bulgaro, per fortuna. Proprio per questo però rimane da tutelare il principio cardine della certezza delle risorse della Rai, che deriva dal canone, e che le consente una fondamentale indipendenza dall’esecutivo. In tutta Europa, nei Paesi più avanzati, funziona così. Vogliamo andare verso il modello di autonomia del trust Bbc, o tornare indietro? Non bisogna approfittare di un momento di grande malessere del Paese per far passare l’idea che bisogna solo obbedire all’azionista».
Quindi cosa risponde a chi dice che non volete tagliare gli sprechi?
«Chiarisco una cosa: i soldi sono già stati sottratti, il governo ha dato gli 80 euro agli italiani, e noi abbiamo preso tutte le misure necessarie per non mandare l’azienda in rosso. Abbiamo considerato prioritaria l’assunzione di responsabilità verso il Paese, varando la riforma delle news che porterà notevoli risparmi - e la privatizzazione di Rai Way. Restava un nodo che non si scioglieva, il modo con cui il prelievo è stato fatto: modificando una tassa di scopo in corso di esercizio, ledendo l’autonomia della Rai dal governo».
Annalisa Cuzzocrea