Corriere della Sera, 21 novembre 2014
Il premier e le Olimpiadi: «Le facciamo sotto gamba. Che paura volete che facciano? Non c’è progetto troppo grande per l’Italia». La replica di Salvini: «Renzi è un uomo pericoloso. Abbiamo ancora le cattedrali nel deserto per le Olimpiadi invernali a Torino e i debiti per i Mondiali di nuoto di Roma»
Anno 2012, 14 febbraio: «Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l’Italia in quest’avventura che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti». L’allora premier Mario Monti spezzò così il sogno di Roma olimpica nel 2020. Anno 2014, 20 novembre (ieri, durante un’intervista a Matteo Renzi su radio Rtl ): «Se riusciamo a rimettere in moto il Fisco e la Pubblica amministrazione, le Olimpiadi le facciamo sotto gamba. Che paura volete che facciano?».
Due anni e nove mesi sono passati, meno di un ciclo olimpico, eppure sono due ere geologiche differenti per la politica. Renzi rimuove senza reverenze il passato: «A me colpì molto Monti quando disse che le Olimpiadi erano un progetto troppo grande per l’Italia. Ma non c’è progetto troppo grande per l’Italia».
Sfumati i Giochi del 2020 finiti a Tokyo (le prossime nel 2016 saranno invece in Brasile a Rio), è molto probabile che tra dieci anni si torni in Europa. Ma bisogna muoversi subito: le candidature vanno presentate entro il prossimo anno, poi il Cio (Comitato olimpico internazionale) deciderà nel 2017. Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ci sta lavorando da tempo e probabilmente ha incassato il sostegno del presidente del Consiglio quando l’ha incontrato a Palazzo Chigi lo scorso 4 novembre. L’annuncio ufficiale era (ed è) previsto per il 15 dicembre, in occasione delle premiazione dei migliori atleti italiani dell’anno. Ma il premier è stato più veloce della sua agenda, e ha svelato ai radio-ascoltatori e agli italiani tutti «il sogno che abbiamo nel cassetto».
In questi due anni e otto mesi molte cose sono cambiate, ma non la Lega. Era contraria allora e lo è ancora di più oggi. Il segretario Matteo Salvini: «Renzi è un uomo pericoloso. Abbiamo ancora le cattedrali nel deserto per le Olimpiadi invernali a Torino e i debiti per i Mondiali di nuoto di Roma. Abbiamo 13 miliardi di euro non risarciti ai terremotati dell’Emilia-Romagna, una disoccupazione record, ogni giorno chiudono 120 aziende, e il presidente del Consiglio pensa a fare le Olimpiadi in Italia. Non ci sono parole». Esce alla scoperto anche Elvira Savino, deputata di Forza Italia: «È un’arma di distrazione di massa, un altro tentativo di gettare fumo negli occhi dei cittadini». Soddisfatti ovviamente Malagò («Le parole del presidente del Consiglio ci rendono felici, ha dimostrato ancora una volta sensibilità verso il mondo dello sport»), e il sindaco della Capitale, Ignazio Marino: «Condivido il sogno di Renzi e, se saremo in corsa, sarà con ambizione e sobrietà».
Organizzare un’Olimpiade e non finire sul lastrico questa volta sembra possibile, visto che il Cio sta rimediando dopo che gli ultimi Giochi si sono trasformati in salassi insostenibili e fatto scappare più di una pretendente: l’8 e il 9 dicembre i vertici dello sport mondiale si riuniranno a Montecarlo per sancire la «rivoluzione» secondo le linee guida approvate da poco a Losanna. Per esempio: la città organizzatrice sarà sempre una sola e il Villaggio olimpico resterà il cuore della manifestazione, ma alcuni eventi potranno essere «delocalizzati» altrove e addirittura in un Paese diverso. E lo stesso Comitato olimpico potrà «soccorrere» finanziariamente gli organizzatori.
Per questo Renzi e Malagò si sono trovati d’accordo a rilanciare le chance di Roma (che ha già ospitato i Giochi nel 1960). Traguardo difficile ma non impossibile. L’ipotesi di Parigi sembra tramontata, mentre ci proveranno sicuramente Berlino o Amburgo come ha annunciato il Comitato olimpico tedesco. Forse saranno in corsa anche la turca Istanbul e la russa San Pietroburgo. Per gli Stati Uniti le città interessate sono almeno quattro (Boston, Los Angeles, San Francisco e Washington). Il più grande evento sportivo del mondo stuzzica anche le africane Casablanca (Marocco), Durban (Sudafrica), Kenya (Nairobi) e l’asiatica Doha (Qatar).
Solo tra tre anni sapremo quale città avrà vinto, in una sorta di maratona a ostacoli dove gli alleati (e l’attività di lobbying) contano più degli avversari. E almeno per tre anni Roma può sognare.