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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

Il gran ritorno di Boccanegra. L’opera che racconta la storia di un avventuriero divenuto doge di Genova è in genere poco amata. Ma sta conoscendo una nuova fortuna. E ora torna nel teatro del primo debutto

La biologia delle opere a volte è strana. Simon Boccanegra è stato sempre poco amato dal pubblico e dai teatri. Perla opaca, capolavoro imperfetto, di quelli di cui se va bene si dice “va capito”. Alzi la mano chi di voi ha mai cantato sotto la doccia un’aria del Boccanegra. Persino Verdi quando parlava del suo “figlio gobbo” non pensava a Rigoletto ma a lui. Diceva di volergli bene come a un ragazzo sciancato: una creatura fragile e bisognosa di cure. E invece la storia e la vita insegnano che prima o poi arriva il momento per tutti.
Sembra proprio iniziata la Boccanegra renaissance, a giudicare da quanti teatri lo stanno rileggendo e da come la parabola mesta e umanissima del corsaro che nel 1339 diventa primo doge di Genova sta facendo breccia nel cuore degli spettatori, se non ancora nelle loro cabine doccia. Domani Simon torna a casa alla Fenice che lo vede nascere il 12 marzo 1857. Gli ingredienti del mischione popolare ci sono tutti. Soggetto da un dramma del 1843 di Antonio García Gutiérrez, lo stesso di Trovatore. I versi del docile e svelto Francesco Maria Piave. Veleni e congiure, tumulti, matrimoni segreti e figlie perdute. E sopra, l’oscillìo del pendolo morale-potere, affetti privati-ragion di Stato. Eppure qualcosa non gira. L’intreccio è avviluppato. La musica resta compressa in una cappa oscura e monocorde. E mancano due cose fondamentali per toccare il cuore: la Grande Storia d’Amore Contrastata e soprattutto melodie da ricordare. Alla prima tutti perplessi, e l’opera torna nel cassetto. Ma il fascino di Boccanegra è proprio questo. Un’opera dalle due vite: come quei cantautori che riprendono live le loro canzoni di quarant’anni fa con arrangiamenti nuovi. L’editore Giulio Ricordi nel 1868 chiede a Verdi di rimettere mano alla partitura, ma niet. Ci riprova nel 1879: l’occasione è una cena a casa sua. Altro niet. Fra gli invitati però c’è quell’Arrigo Boito già incrociato ventenne nel 1862 quando gli aveva fornito il testo dell’ Inno delle Nazioni per l’expo di Londra. Stavolta Boito gli mette sul tavolo un suo libretto da Shakespeare. Otello. Vigoroso, creativo. Il maestro è basito. I due si annusano, si studiano, decido- no di provarsi. E mentre schizza i primi fogli della sua opera dell’avvenire, Verdi sceglie proprio la provetta del Boccanegra per testare in vitro il nuovo sodalizio e recuperare quanto era successo dall’ Aida in poi. In quegli anni l’opera italiana è infatti in piena transizione. Lo schema rossiniano a “numeri chiusi” non regge più. Tutto spinge verso un arco drammaturgico e musicale teso da cima a fondo, dove i brani si dissolvono in un continuum senza cesure. Nei libretti entrano i metri sensitivi della Scapigliatura. Si affermano nuovi ritmi, armonie e formule d’accompagnamento. Sbocciano profumi francesi e inedite raffinatezze strumentali. Nessun influsso diretto del Musikdrama di Wagner, qua da noi ancora ignoto: è un processo indipendente che però imprime al nostro melodramma un moto evolutivo parallelo a quello tedesco. Verdi col nuovo idioma è subito all’avanguardia. Nel vecchio Boccanegra che ancora parla la lingua di Rigoletto taglia, riscrive, rimpiazza. L’orchestra si fa fine, cangiante. La benedizione di Fiesco sostituisce il giuramento con Adorno. Amelia canta già eterea come Nannetta di Falstaff. E nel secondo quadro del primo atto, al posto di inni e danze entra l’imponente scena del Consiglio. Simon 2.0 debutta alla Scala il 24 marzo 1881. Gran successo e giro di prova per il nuovo dream team con Victor Maurel futuro Jago e Falstaff e il tenore Francesco Tamagno, primo Otello.
Sul podio veneziano Myung-Whun Chung torna così ai cartoni preparatori dell’ Otello che aprì la stagione 2012-13. Il baritono Simone Piazzola è Boccanegra, il soprano Maria Agresta la figlia Amelia, il basso Giacomo Prestia e il tenore Francesco Meli i patrizi Jacopo Fiesco e Gabriele Adorno. Nuova produzione Fenice: regia e scene di Andrea De Rosa, premio Ubu 2005, costumi di Alessandro Lai. Diretta Radio3 sabato 22 e in tv su Rai 5 giovedì 27 alle 21.15.