Corriere della Sera, 21 novembre 2014
Sophie Kinsella, scrittrice, mamma di cinque figli, ha iniziato come giornalista economica: «Scrivevo i miei pezzi di finanza pensando che chi li leggeva dovesse anche sorridere. Volevo far ridere». Poi si è data alla moda, «per sfuggire alla noia». Ritratto di una donna che, decisamente, ama lo shopping
«Very jealous of Michela top!». L’intervista è finita da cinque minuti, ho appena salutato la scrittrice. Il telefono cinguetta. È lei, mi ha twittato a sorpresa l’«innamoramento» per il mio maglione, che ha fissato curiosa durante la nostra chiacchierata. La moda ha colpito ancora dritta al cuore di Madeleine Wickham, meglio conosciuta come Sophie Kinsella, la sacerdotessa della «chick lit» da 15 milioni di copie. Racconta, con il sorriso pieno, una bella storia al contrario: mentre le sue coetanee si affannavano a prendere la coroncina da intellettuali, lei, laureata in economia ad Oxford, quasi 15 anni fa decideva di mettere al centro di tutto cose come lo shopping, gli estratti conto della carta di credito, le relazioni sbagliate. Lei le chiama semplicemente «vita».
«Divertente, carina, intelligente»
Sophie Kinsella ha scelto un abito italiano per la sua giornata milanese. Verde bottiglia, con piccoli rombi panna: quando si alza in piedi si scopre che è anche alta. «Ma solo perché indosso un bel paio di tacchi», dice mentre incrocia con un strizzatina d’occhio lo sguardo del marito Henry. Lui la segue per le presentazioni in giro per il mondo, sono una squadra. Sul tavolo c’è un castello di libri che si «sgretola» lentamente, ogni volta che lei prende una copia del nuovo «I love shopping in Hollywood» (Mondadori) per autografarlo. Henry ne è sicuro: «Non mi sento il signor Kinsella. Del resto per tanti anni Madeleine è stata “la moglie del preside”. Ora tocca a me fare il marito della scrittrice».
Si sono incontrati nel 1988 ad Oxford e non si sono più lasciati. «Lei è divertente, carina e intelligente. Se dovessi rinunciare a una di queste tre qualità, non potrei fare a meno del buonumore che mi dà mia moglie». Il divertimento è stata sempre una fissazione per Sophie Kinsella, da quando era giornalista economica. «Scrivevo i miei pezzi di finanza pensando che chi li leggeva dovesse anche sorridere. Così ci infilavo il commento ironico, la battuta divertente. Volevo far ridere».
La scelta frivola
Prima di diventare Sophie Kinsella, è stata a lungo Madeleine Wickham. Una laurea in economia, un lavoro stimato, per tutti una donna con qualcosa di intelligente da dire. «Quando sentivo i miei colleghi snocciolare i loro ganci nel mondo della finanza, la loro competenza capillare su ogni tema economico, tra me e me dicevo: non ce la farò mai a diventare come loro». L’antidoto era la pausa pranzo, che durava sempre più di quella degli altri. «Facevo shopping, mi perdevo per Covent Garden, era la mia fuga dalla noia».
L’incontro con Becky, la protagonista del suo primo romanzo «I love shopping», sembra quasi una confessione biografica e la mette in contatto con la sua vera natura. «Realizzare che in ognuno di noi c’è della commedia è un percorso difficile. Parlando di Becky ho parlato di me. Non ho cancellato nulla, ho solo aggiunto». Quando è uscito il suo primo lavoro nessuno l’ha criticata. «Al contrario, ero incoraggiata. Avevo un progetto e questo rendeva molto nobile la mia nuova vita. Mano a mano scoprivo che anche il collega più insospettabile avrebbe voluto condurre un programma radiofonico e che ognuno aveva un piano per il futuro. Mi dicevano: brava, tu ce l’hai fatta». La «chick-lit», la letteratura per pollastrelle, come è stato definito il genere letterario, ha dato forma a un universo libresco attraente non solo per giovani donne, ma anche per i loro compagni. «Nessuno mi ha mai spiegato cosa significasse chick-lit, dunque ho dato io una mia personale traduzione: mi occupo di ciò che interessa alle donne». Molte di loro l’hanno ringraziata, perché immedesimandosi in Becky, in perenne dissesto finanziario causa shopping, hanno riflettuto sulle loro vite. «Le lettrici mi scrivevano dicendo che dopo aver letto il mio libro avevano deciso di riorganizzare le carte di credito». Le workaholic hanno deciso di ribaltare la loro vita. «Una di loro ha lasciato il lavoro da notti insonni e si è messa a gestire un’impresa di pompe funebri».
Figli maschi
Kinsella ad alcuni sembra un cognome italiano. «Quando vengo in Italia, la gente mi chiamava “la” Kinsella». In realtà, quando si è trattato di scegliere il nome giusto, Madeleine-Sophie ha pensato alla mamma. «Kinsella è il cognome di mia madre, ha origini irlandesi. Nella mia famiglia questo ha risvegliato un forte senso di appartenenza, uno scatto di orgoglio». Sophie ha una sorella, Gemma Townley, scrittrice «chick-lit» anche lei, e cinque figli: Freddy, Hugo, Oscar, Rex e Sybella. «Credevo di essere “programmata” per fare solo figli maschi. Quando mi hanno detto che aspettavo una bimba ho detto “ripetete l’ecografia, non è possibile”. Non pensavo a una famiglia così, con Henry non abbiamo pianificato nulla, anche se da piccola avevo una passione per i Waltons, una serie tv con una famigliona americana». La conciliazione in casa Kinsella è agevolata da due baby sitter e da un marito collaborativo. «Tutti i mariti dovrebbero essere parte attiva della gestione familiare. Poi Henry legge per primo quello scrivo».
Equilibrio è una delle parole più ricorrenti: nel lavoro, nella vita, nella coppia. «Credo che ogni donna debba trovare il suo “balance”, in cui capisce che un consiglio di amministrazione la soddisfa più che fare il pane in casa. O viceversa. Io ho scoperto che fare il pane mi rilassa». Parlare di donne occuparsi del loro tempo libero, ma anche delle loro fragilità, soprattutto ora che hanno più potere. «Penso a come si può arginare questa violenza spaventosa contro le donne. Vedo gli uomini in difficoltà e credo che la recessione abbia generato più frustrazione. L’istruzione aiuta a trovare un modo diverso di risolvere le cose e la realizzazione di sé stempera la rabbia. Per questo, se avete un progetto, lottate perché si avveri».