La Stampa, 21 novembre 2014
«Buongiorno, io sono il testimonial vivente, per ora, della malattia...». Parla Giuseppe Manfredi, colpito dalle polveri dell’Eternit: «Quando tirava vento, la polvere bianca si incanalava dentro questa via stretta e sbucava proprio qui, fra le case del centro storico. Qui hanno iniziato ad ammalarsi e a morire i primi che non avevano lavorato in fabbrica. Quelli come me»
Da una settimana aveva una tosse stizzita, di quelle che non vanno via. «Mia moglie insisteva: “Vai a farti vedere, vai dal dottore, Giuseppe...”. Ma io tergiversavo, perché mi sentivo forte. In trentacinque anni di lavoro all’Enel, ho fatto solo 45 giorni di mutua e tutti di fila, quando mi hanno messo il gesso. Ero un tipo sportivo. Correvo, mai un problema, pensavo di essere immune».
Giuseppe Manfredi si presenta all’appuntamento con un sorriso stanco: «Buongiorno, io sono il testimonial vivente, per ora, della malattia...». Il nome è diventato impronunciabile. Non si può dire. Come una maledizione. Perché contiene al suo interno la negazione di qualsiasi speranza. «È stata la prima cosa che mi ha colpito – racconta Giuseppe Manfredi – la delicatezza di tutti. Quando hanno trovato l’acqua nel mio polmone destro, ancora non dicevano niente. E l’infermiere, mentre lo svuotavano con la cannula cercava di tranquillizzarmi. “Il liquido non è scuro”, diceva. “Bene, il liquido non è ancora nero...”. E io non capivo. O forse, non volevo capire. Dopo tre settimane di ricovero, quando sono arrivati i risultati delle analisi, il primario ha pronunciato questa frase: “Abbiamo trovato delle microcellule neoplastiche”. Anche la sua è stata una delicatezza. Ora lo so. Era semplicemente un altro modo per dire la stessa cosa: mesotelioma pleurico». Era il cancro dell’amianto. Quello che porta il polverino, quando si attacca ai polmoni. Il destino di questa città: 1800 morti, 49 nuovi casi nei primi dieci mesi del 2014. La colpa che nessuno sta pagando.
Giuseppe Manfredi cammina piano davanti al Comune, imbocca via Roma, ci tiene ad arrivare fino in via Trevigi. «Guardi, laggiù, al fondo della strada», dice. «Lì c’era l’Eternit. Quando tirava vento, la polvere bianca si incanalava dentro questa via stretta e sbucava proprio qui, fra le case del centro storico. Qui hanno iniziato ad ammalarsi e a morire i primi che non avevano lavorato in fabbrica. Quelli come me». Tutti, identicamente, passati da un calvario inutile. «Chemioterapia. Analisi. Liquido di contrasto. Mi hanno fatto in tutto 46 iniezioni di cortisone. Sono arrivato a pesare 92 chili. Con il medico, alla visita, alla fine scherzavo: sottragga almeno il peso delle mutande...». Ti mettono davanti a un bivio terapeutico che suona in modo terribile: talcaggio pleurico o decorticazione. «A me hanno fatto la decorticazione», dice Giuseppe Manfredi. «Ti tirano via la pleura, letteralmente, attraverso un taglio qui sul fianco. Il tentativo è stabilizzare o almeno rallentare il decorso. Ma sai che presto incomincerai a respirare sempre peggio. Sempre meno...».
Questa città è un cortocircuito di tragedie. Il cognato di Manfredi era un vigile urbano morto due anni fa. Il marito della fioraia del cimitero è morto l’anno scorso. L’amica di infanzia dell’oncologa Elisabetta Gattoni ha bussato alla porta del suo reparto. Giocavano insieme all’oratorio, ma non si incontravano da vent’anni. «“Ti ricordi?”, le ho detto quando l’ho vista entrare. “Io sono Betti...”. E ci siamo abbracciate». L’amica di infanzia di Betti non c’è più. Come non c’è più il geometra Luigino Bozzo, 58 anni, sepolto tre giorni fa. L’ultimo morto. «La cosa più dura è la disperazione in cui cadono i malati – dice la dottoressa Gattoni – tutti la conoscono, tutti sanno come finisce. È una cappa nerissima. È una malattia mostruosa».
Ora tocca a Giuseppe Manfredi e ad altri 48. «Di giorno cerco di fare il testimonial vivente, di notte non riesco a dormire», dice. «Quando ho capito che era il mesotelioma pleurico, sono andato da un mio amico medico e gli ho detto: “Dammi qualcosa per dormire, oppure mi ammazzo”. E lui: “Non scherzare!”. Però ha capito. Di notte è dura, per fortuna i tranquillanti funzionano». Ogni mattina, Giuseppe Manfredi fa una lunga passeggiata al suo passo: «Vado al santuario della madonnina di Lourdes. Quella in memoria di un miracolo di cui aveva beneficiato un casalese...». E sua moglie? «Lei e mia figlia piangono quando non ci sono e sorridono appena rientro in casa».
Mercoledì mattina Giuseppe Manfredi era a Roma, ad attendere assieme ad altri la sentenza della Cassazione. «Mi sono avvicinato al procuratore generale e gli ho detto queste parole: “Non so quanto mi rimarrà da vivere, ma le auguro di soffrire quello che sto patendo io. Mi vergogno di essere un italiano. Perché difendete un personaggio squallido come Schmidheiny, venuto in Italia per fare soldi sulla pelle della gente?”». E il procuratore, cosa ha risposto? «È rimasto immobile, la faccia contratta. I carabinieri mi hanno allontanato, ma uno di loro ha sussurrato: “Ha ragione. Anche io la penso come lei...”. Mi ha fatto piacere».
Il sindaco di Casale è un’ex insegnante di Lettere, si chiama Titti Palazzetti. Dice: «Non ci arrendiamo, anzi… Combatteremo contro questa mentalità da rapina medievale che ci circonda…». Ieri l’hanno chiamata anche dalla Cina e dal Kazakistan. Tutti vogliono capire. E lei, a tutti, spiega che era appena riuscita a sbloccare i fondi per le bonifiche. Perché questa è la storia più spaventosa e, forse, più importante. Essere dentro una città impastata di polverino. Gli scarti di lavorazione dell’Eternit, invece che essere smaltiti, venivano regalati. A sacchi. A pezzi. A tegole. L’amianto è dappertutto. L’hanno trovato sul sagrato di una chiesa, al cimitero, nel cortile di un castello, nei campi da bocce e nei giardini condominiali. Dei 2 milioni di metri quadrati di tetti da bonificare a Casale Monferrato, ne sono stati rimossi solo 600 mila. Servono soldi. E serve una nuova discarica, perché la prima è quasi colma. La maledizione del polverino non è una vecchia storia finita male. Affolla oggi il reparto di oncologia. Il picco è atteso dal 2015 al 2020.
«Psicologicamente non sono mai stato così male», dice Manfredi. «Non è facile accettare che lo Stato italiano difenda i delinquenti, mentre noi stiamo morendo».