Corriere della Sera, 4 ottobre 2014
Tags : Luisa Casati Stampa di Soncino
Luisa Casati Stampa, la marchesa delle follie. Protagonista eccentrica dei salotti della Belle Époque prima, icona di modernità poi, femme fatale sopra le righe con la vocazione del travestitismo sempre, ma anche dark lady e strega e inoltre musa prediletta dei più grandi artisti del tempo (articolo del 4/10/2014)
Già nel 1904, al Palace Hotel di St. Moritz, era apparsa con una toilette alla Pompadour, l’anno dopo, novella Teodora, aveva stupito a Roma con un abito interamente d’argento ricamato d’oro e un’acconciatura composta da aquile con diamanti incastonati, come già René Lalique aveva ideato per Sarah Bernhardt. Così, sempre a Roma, aveva impersonato il Dio Sole accompagnata da paggi neri dalla pelle spruzzata d’oro, mentre a Venezia, al celebre Ballo Longhi in piazza San Marco affittata per l’occasione, aveva dato una delle sue più spregiudicate interpretazioni entrando in scena con un costume bianco da Arlecchino disegnato da Léon Bakst, il celebre costumista dei Ballets Russes, seguita dai suoi levrieri, un leopardo e un pappagallo. È con queste immagini conturbanti e trasgressive che si è soliti raffigurare Luisa Casati Stampa di Soncino, la «sola donna che mi abbia sbalordito, Coré inafferrabile come un’ombra dell’Ade», come dirà lo stesso Gabriele D’Annunzio, a lungo amante della Divina Marchesa.
Protagonista eccentrica dei salotti della Belle Époque prima, icona di modernità poi, femme fatale sopra le righe con la vocazione del travestitismo sempre, ma anche dark lady e strega e inoltre musa prediletta dei più grandi artisti del tempo: la leggenda sapientemente costruita da letteratura e cronache mondane di Luisa Casati arriva fino a qui. Ma ad aspettarla oggi, ad andare oltre il mito, sarà un palcoscenico nuovo in quello scenario veneziano da lei tanto amato, il Palazzo Atelier di Mariano Fortuny, l’artista che insieme a Paul Poiret, Bakst ed Erté, ne ha vestito i sogni e gli eccessi più arditi. Saranno le sue sale infatti a ospitare la bella mostra curata da Gioia Mori e Fabio Benzi, ricca di oltre cento opere tra dipinti, sculture, gioielli, abiti e fotografie a lei dedicate o da lei commissionate agli artisti e letterati che cedettero al suo fascino, come il poeta Robert de Montesquiou, «frère d’âme et d’esprit» che la cantò nei suoi sonetti, come Boldini e Romaine Brooks, Augustus Edwin John e Ignacio Zuloaga, Alberto Martini e Balla, Boccioni e Depero, Man Ray e Cecil Beaton, tra i grandi. «È stato il lungo lavoro storiografico e filologico sulle fonti a evidenziare la dimensione più consapevolmente artistica della sua figura. Da seduttrice decadente Luisa Casati ha saputo trasformarsi in raffinata interprete delle più avanzate tendenze estetiche del primo Novecento, surrealiste, fauviste, dadaiste. In anticipo sui tempi ha esplorato un nuovo ruolo creativo, mettendosi in gioco a tutti i livelli, interprete dai mille volti e body artist, ma anche ideatrice, regista e produttrice delle sue performance, in nome di quel teatro totale, di quella fusione tra le arti già auspicata da Wagner», precisa Gioia Mori.
«È stata tra le prime a lavorare sul corpo, stravolgendolo completamente, il viso una maschera bianca, gli occhi bistrati di nero, le pupille dilatate dalla belladonna, i capelli tinti di rosso infuocato. Ma gli studi hanno contribuito a mettere in luce anche lo spessore diverso, più intellettuale, del rapporto con D’Annunzio, a lei unito dalla medesima passione per l’occulto e la magia». È un racconto di suggestione, evocativo di luoghi, personaggi ed emozioni, il percorso della mostra. I lavori di Alberto Martini, che la raffigura come Cesare Borgia o una creatura dal fascino metamorfico nelle sue farfalle crepuscolari, le immagini tenebrose di Ignacio Zuloaga, l’elegante pellegrina nella notte di Beltrán Masses, i bronzi di Paolo Troubetzkoy e di Jacob Epstein, l’inquietante Salomè degli acquerelli di Alastair, le fotografie di Man Ray che la trasfigurano in un emblema surrealista e quelle di Cecil Beaton, che la ritraggono negli ultimi anni londinesi, vissuti in solitudine e in povertà.
Da ammirare saranno poi abiti e gioielli stupefacenti, la collana «serpente» e la spilla «pantera» di Cartier, i plissettati Delphos in seta di Mariano Fortuny, moderna interpretazione delle tuniche greche, la collezione di John Galliano per Dior e quella di Karl Lagerfeld per Chanel. «Ma la scintilla che la porterà a una nuova essenza esistenziale, che la farà diventare ‘un’opera d’arte vivente’, come la stessa marchesa amerà definirsi, sarà l’incontro, il coinvolgimento con i futuristi. Con Marinetti, che nel 1917 le dedicherà il Manifesto della danza futurista . Con Balla, Boccioni e Depero, che frequenterà a Roma, a Capri e Venezia e di cui diventerà appassionata sostenitrice anche all’estero e una delle più grandi collezioniste», sottolinea Fabio Benzi. A documentarlo sono i tanti capolavori futuristi in mostra, tra cui quel Dinamismo di un cavallo in corsa + case di Boccioni che è conservato nella residenza veneziana della marchesa, quel Palazzo Venier de’ Leoni in seguito acquistato da Peggy Guggenheim, quasi in un intrigante passaggio di consegne.