19 novembre 2014
Gli sgombri, gli abusivi, gli scontri, il disagio sociale e la tolleranza zero. E poi Il “Modello Milano” che punta a migliorare l’efficacia degli interventi contro le nuove occupazioni
Il Giornale,
Anche Milano, per non farsi bagnare il naso da Roma, si è impegnata per aver la propria Tor Sapienza, anzi due: il Gratosoglio e il Corvetto, due quartieri che solo ad attraversarli provocano disturbi gastrici. Si tratta di autentiche polveriere che minacciano di esplodere da molti anni e che, negli ultimi giorni, hanno cominciato a dare segnali preoccupanti di nervosismo (eufemismo). Lunedì e ieri il timore di disordini si è trasformato in constatazione dei medesimi. Infatti è scoppiato il casino. Botte da orbi tra forze dell’ordine e giovinotti esuberanti (altro eufemismo) dei centri sociali, ovviamente di sinistra e, pertanto, coccolati e vezzeggiati dalla pubblica amministrazione rossa (altro che arancione) allo scopo di catturarne i voti.
I tafferugli al Lorenteggio dimostrano quanto sia difficile sgomberare case occupate da una vita. Qui era in corso un’operazione per cacciare una coppia di abusivi da un appartamento situato in una palazzina popolare. Sembrava che tutto procedesse per il meglio, quando si sono appalesati una cinquantina di antagonisti. Cosa sia successo ve lo lasciamo immaginare. Forniamo soltanto il risultato della partita: sei agenti feriti, traffico bloccato, terrore fra i passanti. Scene a cui noi con i capelli bianchi siamo abituati dai tempi eroici del Sessantotto e successivi, allorché i superdemocratici lavoravano per realizzare la rivoluzione proletaria, ricorrendo regolarmente alle P38, che non sputavano acqua bensì piombo.
Ieri, gli epigoni dei violenti anni Settanta hanno concesso il bis al Corvetto, periferia sgangherata e in alcune zone ripugnante. Anche in questo caso la missione era sgomberare. Non un’abitazione qualsiasi, ma due palazzine. Di chi? Non si sa. Ma si sapeva che gli antagonisti se ne erano illegalmente impossessati, istituendovi due centri sociali lustri orsono. Intimare a questa gente di togliersi dalle scatole di cemento non è come invitare una ragazza a uscire per recarsi in discoteca. La reazione dei gentiluomini in questione era dunque prevedibile: violenze d’ogni tipo. Un finimondo di cui, more solito, hanno fatto le spese i carabinieri, nonostante costoro, quanto i poliziotti, passino sempre per cattivoni, aggressivi e crudeli.
Da notare che i numerosi centri sociali milanesi, dal famigerato Leoncavallo in poi, hanno sempre goduto della tolleranza delle cosiddette autorità per motivi non tanto oscuri: evitare grane, non creare bisticci; in termini diversi, esse hanno tenuto di più al quieto vivere che non alla legge. Cosicché gli antagonisti a lungo andare si sono convinti di poter spadroneggiare: non hanno mai pagato né l’affitto né le tasse. In compenso, all’occorrenza, hanno menato le mani a piacimento senza subire punizioni: al massimo, un buffetto.
Poi è stato eletto il sindaco Giuliano Pisapia (già parlamentare di Rifondazione comunista) in sostituzione di Letizia Moratti (Forza Italia) e la tolleranza si è tramutata in benevolenza grazie alla mediazione di Paolo Limonta, portavoce del primo cittadino. Pisapia in campagna elettorale pronunciò un discorso storico del quale vale la pena ricordare la frase principale: «Occupare le case è un atto di legittima difesa da parte di chi è in stato di necessità». Il senso è questo: se rubi una bicicletta o dai del fesso a un giudice o a un politico sei un criminale, se rubi un alloggio sei un povero cristo che, avendo agito per combattere la miseria, non meriti un castigo, ma il perdono o, meglio, un incoraggiamento a reiterare il reato.
Siamo messi così, cari lettori. Tanto è vero che gli abusivi sono tali da decenni e nessuno si è mai sognato di indurli a sloggiare. La situazione è marcita e ora se il prefetto si azzarda a ordinare uno sgombero si scatena la guerriglia e l’occupante non autorizzato si barrica nel quartierino non suo, mette i sacchetti di sabbia alle finestre, il comò contro la porta e si sente un eroe della resistenza. Naturalmente i signorini dei centri sociali, suoi compagni di illegalità, lo supportano, lo incitano e non gli negano prestazioni pugilistiche finalizzate a respingere chi lo voglia allontanare dal sito illecitamente presidiato.
Se siamo giunti a questo punto, ciò dipende dalla circostanza che per un ventennio chi doveva intervenire, nel rispetto dei codici, per ripristinare la normalità, non ha mosso un dito. Mi domando perché la Procura di Milano, così solerte e ligia nell’attenersi all’obbligo dell’azione penale, non si sia accorta dei reati commessi in quantità industriale sotto i suoi occhi. Non oso formulare ipotesi, ma simili distrazioni suscitano qualche malevolo sospetto, che vorremmo fugare con la collaborazione delle toghe rosse, gialle, verdi o nere che siano.Vittorio Feltri
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Corriere della Sera,
Il salto di «qualità» della tensione è ben visibile nella geografia e nei tempi: ridotto alla periferia del Giambellino e circoscritto alla mattinata, lunedì, l’assalto a poliziotti e carabinieri che in via Vespri Siciliani hanno sgomberato un’italiana abusiva; durata sedici ore, ieri, la guerriglia successiva a un altro sgombero, sempre in una periferia, al Corvetto, di due circoli anarchici.
Solo che dopo un’alba di blitz, barricate, cassonetti incendiati, lacrimogeni e una «resistenza» alle forze dell’ordine formata in ordine sparso da residenti regolari e abusivi, incensurati e pregiudicati, italiani e stranieri, ancora in serata e stavolta in pieno centro, fra via Torino, San Vittore e via Tortona, ci sono stati tafferugli. Vetrine di banche imbrattate, prese a calci e a bastonate per sfasciarle. Di nuovo scontri. Di nuovo lacrimogeni. Alcuni fermati. Un agente ferito.
La seconda, consecutiva giornata di violenze certifica, se ancora ce ne fosse bisogno, come l’emergenza case popolari non riguardi più soltanto gli stessi caseggiati e chi li abita. I centri sociali, in particolare proprio gli anarchici, stanno usando la rabbia e il malessere per giochi «politici». Contestano la «debolezza» con la quale il sindaco Pisapia avrebbe contrastato la politica degli sgomberi. Ma per la cronaca, il protocollo d’intesa siglato ieri in Prefettura e finalizzato a combattere le occupazioni abusive (1.200 da inizio 2013), è nato con obiettivi non unicamente di ordine pubblico. Il Comune ha voluto un ruolo forte per la rete sociale, costituita da tutor nei quartieri a rischio (ascolteranno i cittadini e agiranno da «cerniera» con le istituzioni); l’Aler, l’Azienda per l’edilizia residenziale che gestisce 60mila appartamenti, rinforzerà la presenza degli ispettori in periferia. Saranno poi i vigili a presidiare la «centrale operativa» per cogliere le occupazioni e intervenire di conseguenza.
Gli sgomberi, in ogni modo, ci saranno. Ma non più di cinque, sei a settimana. Nessun stravolgimento dell’«agenda». Si parte con gli interventi già programmati ma questo non esclude che saranno operazioni «dure», molto «nette», senza margini di «mediazione». L’offensiva lanciata dalle forze dell’ordine in mattinata al Corvetto non è stata casuale: l’ordine era quello di «liberare» due villette occupate ai civici 30 e 40, il «Corvaccio» e «La Rosa nera», ovvero i circoli anarchici frequentati, secondo la Procura, dai militanti che una settimana fa hanno assaltato in via Mompiani, non lontano, una sede del Partito democratico che ospitava una riunione del Sunia (il sindacato di inquilini e assegnatari di alloggi popolari) e una trentina di anziani.
Gli «antagonisti» hanno risposto con il fuoco appiccato ai cassonetti. Nove le persone bloccate dagli agenti. Tre i giovani saliti sul tetto di una villetta per protesta. Alle sette di sera sono scesi. Poco dopo i disordini sono scoppiati in centro. Alle dieci i ragazzi sono stati dispersi e sono fuggiti lungo i Navigli, tra via Gola e la Barona, nei palazzi che fungono da basi e soprattutto da «fortini».
Andrea Galli e Cesare Giuzzi
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Corriere della Sera,
È stata una settimana di scontri in strada. Di proteste violente contro gli sgomberi. A Milano si contano 9.754 case popolari sfitte (vuote), perché mancano le risorse per ristrutturarle. Dall’anno scorso a oggi, le nuove occupazioni abusive sono state oltre 1.200. Dall’altra parte, 22 mila famiglie restano in lista d’attesa per avere un alloggio.
Prefetto, Francesco Paolo Tronca, come se ne esce?
«Tenendo presente prima di tutto un principio. L’abusivismo non è un problema di sicurezza. O meglio, non è soltanto un problema di sicurezza. Prima di tutto è una questione di disagio sociale, con aspetti che poi toccano la sicurezza».
E la legalità?
«Prima parliamo di solidarietà, di socialità. Tenendo presente questo contesto, bisogna affermare che democrazia e legalità non hanno confini elastici. Quei confini vanno rispettati e fatti rispettare».
Nei giorni scorsi il presidente della Regione, Roberto Maroni, ha parlato di un programma straordinario di 200 sgomberi immediati. Si farà?
«Non sono previsti blitz, né task force. In prefettura, con l’impegno di tutte le istituzioni milanesi, abbiamo firmato un piano che fa chiarezza sugli obiettivi. Le attività del gruppo che ha lavorato in queste settimane non trovano il loro fondamento nella repressione tout court».
Significa che si terrà una linea morbida, considerando il disagio sociale?
«Al contrario. Quando si fa uno sgombero “in flagranza” (nelle prime ore dopo che gli occupanti hanno sfondato la porta di un alloggio, ndr) non significa violare il diritto ad avere una casa. In quel momento, al contrario, si sta tutelando il diritto di coloro che aspettano quell’alloggio da anni».
Gli sgomberi, allora, non aumenteranno?
«Il “Modello Milano” che abbiamo creato punta a migliorare l’efficacia degli interventi contro le nuove occupazioni. Sulle vecchie si procederà come in passato, con una programmazione settimana per settimana, dando precedenza alle occupazioni avvenute da pochi giorni per evitare che si consolidino. L’occupazione è un “reato permanente” e c’è il dovere di intervenire. Il programma di sgomberi non è però uno strumento di accanimento nei confronti di chi si trova in difficoltà».
Le 10 mila case popolari sfitte non sono un «invito» all’occupazione abusiva?
«Il patrimonio di edilizia pubblica non può restare vuoto. Primo, perché si deteriora. E poi perché non si rispetta il diritto di chi ha titolo ad avere un alloggio. E infine, se le case vengono assegnate regolarmente, si azzera l’abusivismo».
Ma ci sono fondi sufficienti per risistemare quegli appartamenti, che per la maggior parte sono inagibili?
«Le istituzioni hanno assicurato il loro impegno. E teniamo presente che il piano è stato firmato in prima persona dal presidente Maroni e dal sindaco Pisapia. È un fatto che mi ha colpito, e che abbiamo interpretato come un intento comune: mettiamoci la faccia davvero, con azioni concrete e ben definite».
Questo «Modello Milano» non rischia di essere sbilanciato sulla prevenzione?
«L’obiettivo fondamentale è quello di ristrutturare le case che non si trovano in buone condizioni, rendere abitabili quelle in condizioni peggiori, snellire la burocrazia per assegnazioni più rapide, alleggerire le procedure, e poi “anche” recuperare gli alloggi occupati abusivamente. È un lavoro che sarà efficace anche sotto l’aspetto della legalità».
Le violente contestazioni anti-sgomberi nelle strade della città raccontano che i gruppi antagonisti si stanno spostando sempre più sulla crisi abitativa. Esiste il rischio di una radicalizzazione diffusa?
«Gli obiettivi seri e concreti che abbiamo fissato per gestire l’emergenza servono ad abbassare la tensione. L’ho ripetuto più volte e il messaggio è stato condiviso».
In passato, però, alcune forze politiche hanno alzato i toni. Dall’altra parte, una contestazione con momenti critici per l’ordine pubblico era in corso mentre in prefettura veniva firmato il protocollo. Basterà l’impegno istituzionale?
«In questo caso, forse più che in altri, non si può strumentalizzare. Da parte di nessuno. Non è accettabile. Perché si creano confusione, equivoci e false percezioni su un gravissimo problema di carattere sociale».
Gianni Santucci