19 novembre 2014
Approvata la prima modifica all’articolo 18: Esclusa dai licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro, sostituita da un indennizzo economico «certo e crescente» con l’anzianità di servizio. Il premier Renzi: «Non toglie diritti, toglie gli alibi»
Il Sole 24 Ore,
Esclusa dai licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro, sostituita da un indennizzo economico «certo e crescente» con l’anzianità di servizio. Il reintegro resta per i licenziamenti nulli e discriminatori e per «specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato», con la previsione di «termini certi per l’impugnazione del licenziamento».
Lo prevede l’emendamento al Ddl delega Jobs act riformulato dal governo e approvato ieri sera dalla commissione Lavoro alla Camera, che modifica la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, riformato nel 2012 dalla legge 92, per i nuovi contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti che debutteranno all’inizio del 2015. «Quando la cortina fumogena del dibattito ideologico si abbasserà – ha commentato il presidente del consiglio, Matteo Renzi sulle e-news – vedrete che in molti guarderanno al Jobs act per quello che è: un provvedimento che non toglie diritti, ma toglie solo alibi. Toglie alibi ai sindacati, alle imprese, ai politici».
In commissione Lavoro alla prova del voto, ieri ha retto la mediazione raggiunta all’interno del Pd – decisivo avendo 21 dei 45 deputati – dal presidente della commissione e relatore, Cesare Damiano e dal capogruppo Roberto Speranza, con il Governo, su un accordo che è stato oggetto di verifiche con gli alleati del Ncd e di Sc. Mentre i gruppi di opposizione in serata hanno abbandonato i lavori per protesta, dopo aver votato contro l’emendamento sull’articolo 18. Quella votata è solo la cornice entro la quale declinare le modifiche sulla disciplina dei licenziamenti che arriveranno con il decreto delegato sui contratti a tutele crescenti, che è quasi pronto e nei piani del Governo sarà operativo ad inizio gennaio per consentire alle imprese che assumono con la nuova tipologia contrattuale di beneficiare delle decontribuzione prevista dalla legge di stabilità.
Tra gli altri emendamenti che sono stati riformulati dal Governo, spicca il chiarimento della norma sulla revisione dei controlli a distanza che, ora, vengono circoscritti agli «impianti» e agli «strumenti di lavoro». L’obiettivo è quello di aggiornare l’attuale articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, datato 1970. In pratica, si potranno sottoporre a controllo la catena di montaggio, ma anche pc e telefonini aziendali. Oggi per far scattare il controllo a distanza «serve un accordo sindacale, e se non si raggiunge, si deve passare per l’ispettorato del lavoro – spiega il professor Roberto Pessi (Università Luiss, Roma) -. Una procedura che dovrà essere resa più flessibile. Certo bisognerà vedere come sarà scritto il decreto delegato che, in ogni caso, si dovrà coordinare pure con gli indirizzi forniti in questi anni dal Garante della privacy».
Da segnalare altre due riformulazioni del governo: con la prima si conferma il «superamento» delle collaborazioni coordinate e continuative. Con la seconda si interviene sui tempi per far entrare in vigore subito le nuove norme contenute nella delega lavoro e nei decreti attuativi. In sostanza il Governo rinuncia alla cosiddetta “vacatio legis": cioè, i provvedimenti entreranno subito vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, e non dopo la vacatio dei 15 giorni. Gli almeno 5 decreti delegati verranno emanati al più presto e, dopo i 30 giorni previsti per il parere (non vincolante) del Parlamento, potranno entrare immediatamente in vigore. Inoltre il Governo ha riformulato anche l’emendamento a firma Polverini-Calabria (Fi) specificando che saranno rafforzati gli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro.
La commissione si prevede che concluderà il voto degli emendamenti entro domani, mentre venerdì il testo del Ddl delega arriverà in Aula per essere licenziato entro mercoledì 26 novembre, come stabilito dalla stessa Camera.
Esclusa dai licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro, sostituita da un indennizzo economico «certo e crescente» con l’anzianità di servizio. Il reintegro resta per i licenziamenti nulli e discriminatori e per «specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato», con la previsione di «termini certi per l’impugnazione del licenziamento».
Lo prevede l’emendamento al Ddl delega Jobs act riformulato dal governo e approvato ieri sera dalla commissione Lavoro alla Camera, che modifica la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, riformato nel 2012 dalla legge 92, per i nuovi contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti che debutteranno all’inizio del 2015. «Quando la cortina fumogena del dibattito ideologico si abbasserà – ha commentato il presidente del consiglio, Matteo Renzi sulle e-news – vedrete che in molti guarderanno al Jobs act per quello che è: un provvedimento che non toglie diritti, ma toglie solo alibi. Toglie alibi ai sindacati, alle imprese, ai politici».
In commissione Lavoro alla prova del voto, ieri ha retto la mediazione raggiunta all’interno del Pd – decisivo avendo 21 dei 45 deputati – dal presidente della commissione e relatore, Cesare Damiano e dal capogruppo Roberto Speranza, con il Governo, su un accordo che è stato oggetto di verifiche con gli alleati del Ncd e di Sc. Mentre i gruppi di opposizione in serata hanno abbandonato i lavori per protesta, dopo aver votato contro l’emendamento sull’articolo 18. Quella votata è solo la cornice entro la quale declinare le modifiche sulla disciplina dei licenziamenti che arriveranno con il decreto delegato sui contratti a tutele crescenti, che è quasi pronto e nei piani del Governo sarà operativo ad inizio gennaio per consentire alle imprese che assumono con la nuova tipologia contrattuale di beneficiare delle decontribuzione prevista dalla legge di stabilità.
Tra gli altri emendamenti che sono stati riformulati dal Governo, spicca il chiarimento della norma sulla revisione dei controlli a distanza che, ora, vengono circoscritti agli «impianti» e agli «strumenti di lavoro». L’obiettivo è quello di aggiornare l’attuale articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, datato 1970. In pratica, si potranno sottoporre a controllo la catena di montaggio, ma anche pc e telefonini aziendali. Oggi per far scattare il controllo a distanza «serve un accordo sindacale, e se non si raggiunge, si deve passare per l’ispettorato del lavoro – spiega il professor Roberto Pessi (Università Luiss, Roma) -. Una procedura che dovrà essere resa più flessibile. Certo bisognerà vedere come sarà scritto il decreto delegato che, in ogni caso, si dovrà coordinare pure con gli indirizzi forniti in questi anni dal Garante della privacy».
Da segnalare altre due riformulazioni del governo: con la prima si conferma il «superamento» delle collaborazioni coordinate e continuative. Con la seconda si interviene sui tempi per far entrare in vigore subito le nuove norme contenute nella delega lavoro e nei decreti attuativi. In sostanza il Governo rinuncia alla cosiddetta “vacatio legis": cioè, i provvedimenti entreranno subito vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale, e non dopo la vacatio dei 15 giorni. Gli almeno 5 decreti delegati verranno emanati al più presto e, dopo i 30 giorni previsti per il parere (non vincolante) del Parlamento, potranno entrare immediatamente in vigore. Inoltre il Governo ha riformulato anche l’emendamento a firma Polverini-Calabria (Fi) specificando che saranno rafforzati gli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro.
La commissione si prevede che concluderà il voto degli emendamenti entro domani, mentre venerdì il testo del Ddl delega arriverà in Aula per essere licenziato entro mercoledì 26 novembre, come stabilito dalla stessa Camera.
Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci
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La Stampa,
1) Cosa prevede l’emendamento presentato da governo e maggioranza sui licenziamenti, per chi verrà assunto con il futuro «contratto a tutele crescenti»?
Fondamentalmente, sono le indicazioni approvate in un ordine del giorno dalla sofferta Direzione del Pd di fine settembre. In poche parole il diritto alla reintegra – il recupero del posto di lavoro – resterà soltanto per i licenziamenti discriminatori (che sono considerati come nulli e mai avvenuti), e solo in alcuni casi per i licenziamenti disciplinari.
2) E per i licenziamenti economici individuali, quelli effettuati perché per il datore di lavoro il dipendente non serve più? Ci sono novità rispetto al testo precedente?
Non cambia nulla di significativo. Nella versione del «Jobs Act» approvata dal Senato, la norma si limitava a indicare come principio per i decreti delegati la «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio». Adesso il testo dice così: «escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio». In pratica c’è solo una definizione più chiara e comprensibile. Il concetto di fondo, comunque, è che una volta licenziato, il lavoratore va a casa. Con in tasca qualche mensilità di stipendio.
3) Ma in quali casi di licenziamento disciplinare sarà possibile la reintegra da parte del giudice?
In realtà l’emendamento non lo dice, visto che parla solo di «specifiche fattispecie»; la materia sarà chiarita nei decreti delegati che toccherà al governo scrivere, che ovviamente diranno anche «quanto» varrà l’indennizzo economico che sostituisce la tutela dell’articolo 18. A quanto si sa, un caso tipico sarà quando un lavoratore viene licenziato perché accusato di aver rubato qualcosa, e poi si scopre che l’accusa era ingiusta. In questo caso potrà recuperare il posto (se vuole).
4) Sì, però a un certo punto si parla di «impugnazione del licenziamento». È un modo per far rientrare dalla finestra l’art.18?
No, dicono gli esperti. L’emendamento dice che la reintegra vale solo per «i licenziamenti nulli e discriminatori e specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato». Poi, che bisogna prevedere nei decreti «termini certi per l’impugnazione del licenziamento». L’impugnazione è un atto con cui un lavoratore denuncia il licenziamento come «invalido», ad esempio se comunicato a voce.
5) Queste novità riguardano tutti i lavoratori?
In teoria, varranno soltanto per quelli che verranno assunti con il nuovo «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti». Per i lavoratori che sono già impiegati da aziende che hanno più di 15 dipendenti, dovrebbe continuare ad operare la «tutela reale» dai licenziamenti «senza giusta causa» prevista dal vecchio articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che però è stata modificata dalla riforma del mercato del lavoro Fornero nel 2012. Il condizionale è d’obbligo, perché il «Jobs Act» volendo potrebbe comportare comunque delle innovazioni. E con il tempo, i pensionamenti e i cambiamenti di lavoro, presto o tardi tutti i lavoratori saranno «a tutele crescenti».
1) Cosa prevede l’emendamento presentato da governo e maggioranza sui licenziamenti, per chi verrà assunto con il futuro «contratto a tutele crescenti»?
Fondamentalmente, sono le indicazioni approvate in un ordine del giorno dalla sofferta Direzione del Pd di fine settembre. In poche parole il diritto alla reintegra – il recupero del posto di lavoro – resterà soltanto per i licenziamenti discriminatori (che sono considerati come nulli e mai avvenuti), e solo in alcuni casi per i licenziamenti disciplinari.
2) E per i licenziamenti economici individuali, quelli effettuati perché per il datore di lavoro il dipendente non serve più? Ci sono novità rispetto al testo precedente?
Non cambia nulla di significativo. Nella versione del «Jobs Act» approvata dal Senato, la norma si limitava a indicare come principio per i decreti delegati la «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio». Adesso il testo dice così: «escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio». In pratica c’è solo una definizione più chiara e comprensibile. Il concetto di fondo, comunque, è che una volta licenziato, il lavoratore va a casa. Con in tasca qualche mensilità di stipendio.
3) Ma in quali casi di licenziamento disciplinare sarà possibile la reintegra da parte del giudice?
In realtà l’emendamento non lo dice, visto che parla solo di «specifiche fattispecie»; la materia sarà chiarita nei decreti delegati che toccherà al governo scrivere, che ovviamente diranno anche «quanto» varrà l’indennizzo economico che sostituisce la tutela dell’articolo 18. A quanto si sa, un caso tipico sarà quando un lavoratore viene licenziato perché accusato di aver rubato qualcosa, e poi si scopre che l’accusa era ingiusta. In questo caso potrà recuperare il posto (se vuole).
4) Sì, però a un certo punto si parla di «impugnazione del licenziamento». È un modo per far rientrare dalla finestra l’art.18?
No, dicono gli esperti. L’emendamento dice che la reintegra vale solo per «i licenziamenti nulli e discriminatori e specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato». Poi, che bisogna prevedere nei decreti «termini certi per l’impugnazione del licenziamento». L’impugnazione è un atto con cui un lavoratore denuncia il licenziamento come «invalido», ad esempio se comunicato a voce.
5) Queste novità riguardano tutti i lavoratori?
In teoria, varranno soltanto per quelli che verranno assunti con il nuovo «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti». Per i lavoratori che sono già impiegati da aziende che hanno più di 15 dipendenti, dovrebbe continuare ad operare la «tutela reale» dai licenziamenti «senza giusta causa» prevista dal vecchio articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che però è stata modificata dalla riforma del mercato del lavoro Fornero nel 2012. Il condizionale è d’obbligo, perché il «Jobs Act» volendo potrebbe comportare comunque delle innovazioni. E con il tempo, i pensionamenti e i cambiamenti di lavoro, presto o tardi tutti i lavoratori saranno «a tutele crescenti».
Roberto Giovannini