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 2014  novembre 19 Mercoledì calendario

Alla fine l’Opera di Roma trova un accordo per sopravvivere: stipendi autoridotti e licenziamenti ritirati. Siglata la moratoria sugli scioperi e più flessibilità, azzerate le indennità

«Un accordo storico», dice il sovrintendente Carlo Fuortes. «Abbiamo salvato i lavoratori di tutti i teatri lirici italiani», dicono i sindacati. All’italiana hanno vinto tutti, ma quel che è certo è che il patto firmato ieri al Teatro dell’Opera di Roma segna una svolta: l’autoriduzione degli stipendi da parte dei lavoratori, la moratoria sugli scioperi, la maggiore flessibilità sono tutti punti che aprono nuovi scenari sul costo del lavoro e nelle relazioni sindacali, anche fuori dal mondo della lirica.
In sostanza l’accordo firmato ieri mattina all’una, dopo oltre un mese di tensione e trattative, dai delegati delle sette sigle sindacali (anche la ritrosissima Fials) e la dirigenza dell’Opera di Roma, sancisce che il teatro ritiri i 182 licenziamenti, l’intera orchestra e coro, ma i lavoratori rinunciano a parte dello stipendio, limitando le indennità, circa 200-300 euro netti al mese per ognuno. In pratica: viene ridotta l’indennità sinfonica, cioè il compenso per le esecuzioni concertistiche, con un risparmio totale di 250mila euro; altri 250mila si recuperano dall’indennità “Caracalla”: la maggiorazione economica per gli spettacoli all’aperto; gli straordinari verranno regolati arrivando a un taglio di 450mila euro, cui si aggiungono 800mila euro per il minor utilizzo degli “aggiunti” a tempo determinato grazie a una maggiore flessibilità: il martedì si lavora anche prima delle 18, cosa finora off limits per uno scellerato accordo, e gli orchestrali potranno suonare anche in ruoli diversi dal proprio. Ciliegina sulla torta: i sindacati si impegnano «a non ricorrere ad alcuna azione di conflittualità sui punti stabiliti dall’accordo» e a costituire entro febbraio una rappresentanza sindacale unitaria.
Il risparmio totale è di quasi 3milioni di euro, cifra che assicura il futuro dell’Opera («per cui ci auguriamo che il ministro scelga manager competenti», chiosa polemicamente Silvano Conti coordinatore della Cgil). La sovrintendenza si impegna a regole nuove nell’organizzazione: produrre di più (138 recite nel 2014-2015, più 28%, e per l’anno prossimo più 10%) e in modo più intelligente con coproduzioni, repertorio, pianificazione prove... per garantire più introiti al botteghino.
«L’accordo è il segno di una grande assunzione di responsabilità di lavoratori e teatro» dice Carlo Fuortes, il sovrintendente che ha governato questa difficile fase e che il 24 presenterà i risultati al Cda. «Sì, un accordo storico che indica una strada nuova per i teatri lirici», ha commentato Salvo Nastasi direttore generale del Mibact, il ministero della Cultura. Roma potrebbe infatti diventare un “modello”: qualcosa del genere ha fatto giorni fa il Massimo di Palermo, ma in crisi sono il Carlo Felice di Genova, il San Carlo di Napoli, il Maggio di Firenze, il Comunale di Bologna. Meno entusiasti i musicisti: «Meglio feriti che morti», dice un artista del coro, «perderò circa 2500 euro l’anno». «Sì, c’è amarezza anche perché – gli fa eco Francesco Melis sindacalista della Uil – questo accordo è peggiorativo rispetto a quello di luglio. Se non ci fossero stati gli scioperi di alcune sigle... Allora il teatro risparmiava con i pensionamenti e guadagnava con la presenza di Muti».
L’addio del maestro è un fronte amaro ancora aperto. «Ora che la situazione si è tranquillizzata, auspico che possa tornare», dice Fuortes, e così il sindaco Marino, interpretando il sentimento della città. «Ma con noi il feeling si è rotto», lamenta un musicista. «L’importante è aver messo il teatro in sicurezza. Muti ha la carica di direttore onorario a vita – dice Melis – Se vorrà tornare siamo qui».