La Stampa, 19 novembre 2014
A fare le spese della cattiva politica degli umani sono anche gli uccelli. Parla Jonathan Franzen, il premio Pulitzer appassionato di bird-watching e attivista per la natura
«Il falco che ho appeso qui nel mio ufficio è un suo disegno». Suo, cioè di Fulco Pratesi. La persona che nel suo studio di New York conserva alle pareti un bozzetto del presidente onorario del WWF, invece, è Jonathan Franzen. Il premio Pulitzer autore di «Le correzioni» è infatti un grande appassionato di bird-watching e un attivista per la Natura.
Nel 2011 lo scrittore americano venne in missione in Italia, a Cipro e a Malta. Ne venne fuori il bellissimo reportage «Emptying the Skies», pubblicato sul New Yorker.
Cosa le è rimasto impresso del suo viaggio nel Mediterraneo?
«A Cipro mi ha colpito la scala industriale della cattura illegale di uccelli e la relativa inefficacia della repressione da parte delle forze dell’ordine. A Malta c’era una piccola minoranza di bracconieri molto violenti che infliggeva particolare danno ai rapaci migratori. Il posto in cui ho visto i peggiori cacciatori italiani in azione, invece, non è l’Italia, ma l’Albania».
In Italia ha anche incontrato diverse persone impegnate nella lotta ai crimini ambientali. Cosa ricorda di loro?
«Sono rimasto colpito molto positivamente dallo straordinario lavoro di Anna Giordano in Sicilia, dalle meravigliose guardie volontarie del WWF di Salerno e poi dai cacciatori responsabili che si opponevano alla caccia selvaggia e ancora, dagli ex cacciatori disgustati dal massacro degli uccelli da parte dei bracconieri».
Di recente ha scritto che l’Italia ha una «cupa fama internazionale per la sua ostilità verso la fauna alata». Perché?
«Tra gli ambientalisti e all’interno della Commissione europea e della Corte di giustizia c’è una crescente consapevolezza che l’Italia è un cattivo amministratore della Natura, e degli uccelli migratori in particolare. È diventato difficile ignorare le ripetute violazioni della “Direttiva uccelli” in Italia».
Lei è anche intervenuto con un appello contro l’uso di richiami vivi per la caccia…
«L’Italia nel suo complesso ovviamente non è ostile ai volatili, anzi. Centinaia di migliaia di persone hanno firmato la petizione a favore del divieto dell’uso di richiami vivi. Ma la minoranza che rappresenta la caccia è politicamente molto forte. Il problema non è la mancanza di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica, ma la sensazione di impotenza di fronte a un sistema politico che funziona male».
Tra tutte le specie, cosa la ha attratta così tanto degli uccelli selvatici?
«Potrei parlare per ore di tutte le ragioni per cui li amo: la loro bellezza, la loro ubiquità, la loro importanza ecologica. Ma forse è più interessante capire perché una grossa fetta di italiani non si appassioni a loro. Per millenni, miliardi di uccelli hanno viaggiato attraverso l’Italia, ogni primavera e ogni autunno, e gli italiani ora non ci pensano più, li danno per scontati. Una seconda motivazione, invece, è da ricercare in un tratto per me negativo del vostro carattere nazionale. Un mio amico americano, indignato per il bracconaggio di uccelli a cui aveva assistito nella campagna italiana, mi disse: “Agli italiani piace uccidere qualsiasi piccola, bella creatura che non li interessi direttamente”. Questo ovviamente non è vero per tutti gli italiani, e nemmeno per la maggior parte. Ma è sicuramente vero per alcuni».
Come spiegherebbe a un bambino che cosa è un «cielo vuoto»?
«La cosa terribile del declino delle popolazioni di animali selvatici, tra cui gli uccelli, è che accade così gradualmente che ci si abitua. Central Park, a New York, mi sembra pieno di uccelli durante la stagione migratoria, ma i vecchi mi dicono che non è niente rispetto a 40 anni fa. Gli esseri umani sono estremamente adattabili, e la mia preoccupazione è che i bambini nati ora non sappiano nemmeno cosa stanno perdendo. Gli unici modi per mostrarglielo è portarli in luoghi dove gli uccelli sono ancora abbondanti, e lavorare sodo per invertire il declino cambiando l’agenda politica, preservando sufficiente habitat e – per quanto riguarda l’Italia – ponendo fine al bracconaggio».